Avete votato la destra ? Se vi aspettavate riforme o interventi di tipo “sociale” avete sbagliato tutto perché, pur richiamandosi alla “destra sociale” questi lestofanti del sociale non interessa un fico secco e tutti gli interventi fatti in questi anni di sgoverno sono stati finalizzati ad aumentare le disparità esistenti tra ricchi e poveri. Dunque anche in questa finanziaria per la sanità (e non solo) seguiranno la regola: se sei ricco vai nei migliori istituti nazionali gestiti da “luminari”, se sei povero aspetti e se la malattia peggiora sono caxxi tuoi. Viesti si sbaglia quando dice che tutti i governi non sono intervenuti per migliorare la sanità italiana. Ecco un elenco di alcuni interventi fatti dal Governo Conte:
SANITÀ
● Basta tagli in sanità: 2 miliardi in più per il fondo sanitario nazionale nel 2020 e 2 miliardi per edilizia e innovazione tecnologica
● 3,2 miliardi per la sanità nel decreto rilancio: raddoppiati posti in terapia intensiva e sub intensiva
● Creata la figura dell’infermiere di famiglia
● 20 mila assunzioni tra medici e infermieri
● 3,5 miliardi per la sanità e per la protezione civile nel decreto cura Italia
● I numeri dei contratti di specializzazione medica disponibili sono aumentati di quasi il doppio. Da 8.000 dello scorso anno sono diventati 13.400
● 235 milioni in bilancio ai MMG per apparecchiature diagnostiche
● Stabilizzazione precari sanità con 36 mesi di contratti a tempo determinato a dicembre 2020
● Abolito il superticket
● Istituita la rete nazionale dei registri tumori e referto epidemiologico
● Con il decreto Calabria sblocco del tetto di spesa e del turn over in sanità
● Assunzione specializzandi al 4 e 5 anno
● Con il Ddl contro le aggressioni agli operatori sanitari, sono state inasprite le pene per chi commette questi odiosi reati
AUTONOMIA: L’ULTIMO BLITZ CONTRO LA SANITÀ DI TUTTI
GIANFRANCO VIESTI – IL FATTO – 20.11.2025
Nonostante la sentenza della Corte costituzionale, le forza politiche di maggioranza non demordono dal perseguire l’autonomia regionale differenziata, cioè la secessione dei ricchi. Un progetto che renderebbe l’Italia un paese arlecchino, con la nascita di regioni-Stato (secessione) e che accrescerebbe le sue disuguaglianze interne (dei ricchi). Il breve intervento in Parlamento di Calderoli lo scorso 12 novembre lo mostra limpidamente. Non mutano le tattiche utilizzate: azioni il più nascoste possibili agli occhi dell’opinione pubblica, ruolo centrale di istituzioni tecniche, marginalizzazione del Parlamento, retoriche comunicative che sollevano ampie cortine di fumo. Nell’ambito del progetto d’insieme, invece, sembrano mutare un po’ gli obiettivi prioritari. Ora ne appaiono due in particolare: la definizione dei Lep anche per le funzioni già svolte dalle Regioni in modo da giustificare le disparità esistenti; la concentrazione delle richieste sulla sanità (forse da sempre il vero potere da conquistare). La sentenza della Corte e la scadenza di uno dei traguardi da rendicontare per il Pnrr impongono di definire i Lep (cioè i “livelli essenziali delle prestazioni”). Questione centrale sin dalla riforma costituzionale del 2001: Lep significa definire quali sono i diritti, precisamente misurabili, da garantire a tutti gli Italiani ovunque vivano. Questione colpevolmente ignorata per un quarto di secolo dall’intero schieramento politico. Ora il punto è tecnicamente assai complesso ma politicamente chiaro. Se fisso livelli ragionevoli dei diritti e quindi dei servizi pubblici necessari per soddisfarli, scopro che principalmente al Sud essi non sono garantiti. Dovrei quindi stanziare nuove risorse di riequilibrio. Anche se non lo faccio, scopro il fianco a richieste, per il futuro, costituzionalmente fondate. Quindi, l’idea geniale del ministro Calderoli e dei tanti tecnici interessati che si prodigano per aiutarlo: stabiliamo che i Lep corrispondono all’attuale livello dei servizi. Ma questo livello è palesemente diverso da regione a regione, da città a città! E allora troviamo un escamotage : la commissione Cassese (con il contributo di diversi “esperti” anche meridionali) suggeriva di tirare in ballo il costo della vita; se sosteniamo che vivere al Sud costa meno, possiamo pagare meno i dipendenti pubblici: quindi ci facciamo bastare le attuali risorse. Con la legge di Bilancio, nella quale sono state incongruamente inserite disposizioni sui Lep, si batte un’altra strada: i servizi da garantire sono quelli che sono oggi forniti agli “effettivi beneficiari”. Dove non ci sono, vuol dire che non servono. “A volte ritornano”: già ai tempi del governo Renzi fu stabilito che, se in una città come Reggio Calabria non c’erano asili nido, significava che il fabbisogno era zero: le donne calabresi potevano tranquillamente stare a casa a badare ai figli e a cucinare. Quali che siano i parametri, la Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard, ora presieduta da una docente già consulente di Zaia proprio per la secessione dei ricchi, è pronta a trasformarli in numeri e in fabbisogni finanziari. Veniamo alla sanità. Il governo sostiene che i Lep ci sono già. Corrispondono ai Lea (i “livelli essenziali di assistenza”), che esistono da tempo. Peccato che in molte regioni, non solo al Sud, non siano garantiti: per cui, ad esempio, si muore di più di tumore perché non si fanno sufficienti screening . E peccato che da sempre non esista alcuno strumento finanziario che possa, destinando risorse aggiuntive mirate, consentire di raggiungerli. Sono teoria, non concreti diritti. Ma figurarsi se il governo Meloni può essere interessato a meccanismi perequativi per la sanità pubblica (d’altronde non interessavano neanche ai governi precedenti). Ma ora c’è molto di più: la destra italiana sta dando l’assalto finale al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), come si vede, da ultimo, dalle decisioni prese in Lombardia, commentate da Vittorio Agnoletto su queste colonne. Per salvare il Ssn occorrerebbe ricostruire una cornice normativa nazionale di fondo, proprio per evitare quanto sta succedendo. Invece, per affossarlo definitivamente basta mettere ogni potere, ancor più di quello di oggi, in mano alle Giunte regionali. Così il privato interno ed esterno ai servizi sanitari, e i colossali interessi economici che esso muove, potranno prosperare a danno della sanità pubblica senza più alcun limite. E si riuscirà finalmente a ricreare una sanità di classe: dove i più abbienti saranno coperti e i fastidiosi poveri si arrangeranno rinunciando alle cure. Per questo la secessione è dei ricchi: perché l’autonomia regionale differenziata è un potentissimo strumento aggiuntivo per scardinare, senza che i cittadini se ne accorgano troppo, l’universalismo dei servizi pubblici proclamato dalla Costituzione.
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