sabato 22 novembre 2025

QUANDO GLI ANIMALI FINIRONO SOTTO PROCESSO: LA FOLLIA GIUDIZIARIA DEL MEDIOEVO




Nel cuore dell’Europa medievale, tra il XIII e il XVI secolo, accadde qualcosa di incredibile: gli animali venivano citati in giudizio, processati come fossero uomini. Documenti e atti ufficiali testimoniano questa pratica, diffusa soprattutto in Francia, Svizzera, e regioni alpine. Maiali, cavalli, cani e persino roditori e insetti vennero accusati formalmente di omicidi, devastazioni e altri reati.


Il caso più celebre fu quello della scrofa di Falaise, in Normandia. Nel 1386 l’animale fu ritenuto responsabile della morte di un neonato. Trascorse giorni in prigione, assistito da un difensore. Le autorità ecclesiastiche e civili si riunirono solennemente per il processo, culminato in una sentenza di condanna. La scrofa fu giustiziata pubblicamente, mutilata e bruciata davanti alla folla. Questa scena non fu un’eccezione: altri processi contro maiali si svolsero a Mortain nel 1394 e a Fontenay-aux-Roses già nel 1266.


L’ordine del creato nelle società medievali era percepito come sacro e inderogabile. L’uomo era posto a un livello superiore, mentre gli animali rappresentavano una dimensione inferiore e soggetta. Quando un animale infrangeva questo ordine, insidiando la vita umana o i raccolti, la collettività avvertiva il dovere di ristabilire la giustizia. Nei processi i giudici analizzavano i fatti con grande rigore: si nominavano avvocati difensori, si raccoglievano testimonianze e si procedeva a una vera sentenza. I maiali erano spesso al centro delle accuse perché, vivendo in contesti rurali promiscui, entravano facilmente in conflitto con bambini e adulti.


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Anche la Chiesa partecipava a queste pratiche. Quando sciami di cavallette devastavano terreni o i topi invadevano i granai, si arrivava a scomuniche solenni e maledizioni. Nel 1516 il vescovo di Troyes minacciò le cavallette di anatema se non avessero lasciato la diocesi. In altri casi, intere popolazioni di insetti, lupi, cinghiali furono processate collettivamente, sempre con la convinzione di poter ristabilire l’ordine divino.


Le cronache riportano decine di processi istruiti con metodo, dal 1266 al 1586. Gli animali venivano incarcerati e sottoposti a riti religiosi e interrogatori. Gli atti processuali descrivono la dettagliata sequenza: arresto, custodia, interrogatorio, nomina del difensore, sentenza finale. La pena capitale era frequente. Ma la funzione era anche simbolica: dimostrare che la giustizia non faceva eccezioni, che ogni infrattore del patto cosmico doveva essere punito.


Queste vicende oggi ci stupiscono e ci fanno riflettere sulla percezione del diritto e della natura nel Medioevo. Il processo all’animale era risposta a un universo in cui nulla era lasciato al caso e la giustizia doveva includere ogni manifestazione visibile sulla terra. Ora quelle sentenze restano nei registri come ricordo di una follia metodica che si vestiva del linguaggio solenne della legge.


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