MANCAVA SOLO ZAKI
Ora che a Bologna abbiamo visto di tutto — cortei violenti, guerriglia urbana, petardi contro la polizia, cassonetti incendiati, il centro storico trasformato in un set di guerra — mancava giusto lui: Patrick Zaki, pronto a spiegare al mondo che la partita Virtus–Maccabi sarebbe stata… una “messinscena globale”.
Sul Manifesto ci racconta che quella gara sarebbe nientemeno che una strategia di “sportwashing” organizzata dal governo israeliano.
Peccato un dettaglio:
il Maccabi gioca in Eurolega da decenni. Non è un complotto, è sport.
E allora via, giù con i paragoni pesanti: le Olimpiadi del ’36, la Germania nazista, il solito “e allora la Russia?” tirato fuori a caso.
Una retorica che semplifica tutto, incasella tutto, confonde tutto.
Poi arriva la stoccata finale:
Bologna avrebbe “venduto l’anima”.
Come se una città fosse un blocco unico, come se tutti dovessero pensarla allo stesso modo, come se chi vuole vedere una partita senza finire tra lacrimogeni e vetrine sfondate fosse un traditore di qualcosa.
La soluzione di Zaki?
Semplice: boicottare la partita.
Chiudere lo sport quando non ti piace chi scende in campo.
Ridurre il mondo a una tesi da megafono.
Ma lo sport — quello vero — è sempre stato un luogo di incontro, non un palcoscenico da chiudere quando la realtà non combacia con lo slogan del giorno.
La storia si studia.
Non si reinventa.
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