Se c’è una donna che ha segnato in modo indelebile la storia politica di questo Paese, quella è stata senza dubbio Tina Anselmi.
A 17 anni è stata costretta ad assistere all’impiccagione di 31 prigionieri innocenti catturati durante un rastrellamento, tra cui anche il fratello della sua compagna di banco.
Quel giorno, davanti a quelle immagini strazianti, prese una decisione che avrebbe cambiato per sempre la traiettoria della sua esistenza. Si arruolò nella Resistenza col nome di battaglia “Gabriella”, fu staffetta partigiana, salvò la vita a chissà quante persone trattando coi tedeschi la liberazione.
E poi, nel dopoguerra, fu insegnante, si impegnò in politica, divenne deputata con la Dc, eletta ininterrottamente per 24 anni, sottosegretaria nei governi Rumor e Moro, fino a diventare, nel 1976, ministra del Lavoro, prima donna in un’epoca in cui le donne in politica erano quasi inesistenti.
A lei si devono tre leggi capitali della Repubblica come quella sulla parità salariale e di trattamento sul lavoro tra uomo e donna, l’istituzione del Servizio sanitario nazionale e la legge 194 sull’interruzione di gravidanza che oggi qualcuno vorrebbe rimettere in discussione, proprio lei che era cattolica ma dall’intransigente laicità.
Ma Tina Anselmi è stata anche la Presidente della Commissione di Inchiesta (e unica donna) sulla loggia P2 che ha messo a nudo i legami tra Stato, massoneria deviata e criminalità organizzata, e per questo fu deligittimata, dileggiata da un potere interamente maschile a cui non si piegò mai.
Se n’è andata il primo novembre del 2016, a 89 anni, nella sua Castelfranco Veneto.
Antifascista, femminista nei fatti (e non solo a parole), in un Paese degno di questo nome Tina Anselmi sarebbe stata anche la prima donna Presidente della Repubblica.
Quanto manca oggi, in questa politica di analfabetismo morale e nostalgici, una donna del coraggio, la pulizia, l’onestà, la competenza, il senso delle istituzioni che fu di Tina Anselmi.
Una grande italiana.
Lorenzo Tosa
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