Il Romanista (J.Savelli)
"4 giornate per arrivare all'esonero di un allenatore cui meno di tre mesi prima hai fatto firmare un triennale. Anche nella realtà parallela del calcio italiano, una roba del genere, se non un unicum, è comunque un’eccezione"
Quattro giornate di campionato per arrivare all'esonero di un allenatore cui meno di tre mesi prima hai proposto e fatto firmare un contratto triennale. Anche nella realtà parallela del calcio italiano, una roba del genere, se non un unicum, è comunque un’eccezione. Al di là di dietrologie e ricostruzioni fantasiose come una presunta rivolta dei cosiddetti senatori, De Rossi ha avuto il torto di sbagliare due tempi di questo avvio di stagione: il primo con l’Empoli e il secondo con il Genoa. Come lui stesso ha chiesto il giorno del suo insediamento, non l’ho mai considerato uno stagista che dovesse imparare il mestiere allenando un club importante come la Roma, la sua Roma. Come accaduto a qualunque altro tecnico ha commesso degli errori, sbagliato qualche formazione, non azzeccato qualche sostituzione, ma il lavoro che aveva in mente di fare quest'anno dopo aver preso in corsa a gennaio una squadra che era stata pensata è costruita da altri, non era praticamente nemmeno iniziato. Tra arrivi di mercato dell’ultimo minuto, infortuni, squalifiche, soste per gli impegni delle nazionali, la nuova Roma a Trigoria non si è mai vista e la decisione di esonerarlo In maniera peraltro brutale e offensiva, non ha per me alcuna giustificazione di natura tecnica. Dei confronti anche accesi con l'amministratore delegato Lina Souloukou si sussurrava da settimane, confronti che lo stesso De Rossi non ha mai negato anche se ne aveva sminuito la portata a normali discussioni di lavoro. Questioni legate ad esempio alla scelta del direttore sportivo o all’acquisto alcuni giocatori dei quali aveva ammesso apertamente di conoscere poco e niente eancora all’ingaggio all’ultimo minuto di Hummels che Daniele avrebbe voluto avere a disposizione molto prima. Ma le gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono stati probabilmente tre casi chehanno via via reso la convivenza tra allenatore e dirigenza sempre più difficile fino ad arrivare alla rottura traumatica consumatasi nello sbigottimento generale. Prima il dietrofront di Dybala che aveva già salutato tutti, un problema tattico da risolvere per l’allenatore che si era preparato durante tutto il ritiro a farne meno, un problema economico per il club che aveva accettato un’offerta irrisoria pur di liberarsene e che forse si aspettava che De Rossi non utilizzasse più l’argentino anche per scongiurare il rischio del rinnovo automatico del suo contratto. Poi le interviste rilasciate da Francesco Totti che nel sottolineare come con De Rossi si parlassero quasi quotidianamente, ha sostanzialmente bocciato il mercato della Roma e predetto che Daniele avrebbe fatto da parafulmine se non fossero arrivati rapidamente i risultati, interviste che Daniele non ha contraddetto nemmeno nei passaggi più duri nei confronti della proprietà. Infine la netta presa di posizione sul caso Zalewski, che De Rossi ha dichiarato di aver subito ed attribuito esclusivamente alla società chiamata in causa pubblicamente nella conferenza stampa di sabato scorso. Tre indizi che per me fanno una prova: De Rossi è stato cacciato per essere stato se stesso, uomo, calciatore e ora allenatore con la schiena dritta e il coraggio di assumersi ruolo e responsabilità che la sua storia romanista hanno sempre raccontato. Una storia cheper ora si chiude con una pagina che più brutta non si poteva immaginare. Speriamo non sia l’ultima.
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