domenica 29 settembre 2024

L’uomo in foto si chiamava Ferruccio Laffi.

 





Arrivò che la sua casa già bruciava. Corse dentro, ma non trovò nessuno. Sperò allora che i nazisti avessero “solo” portato via tutta la sua famiglia. Ma poi andò verso il cortile e vide. Vide che tutti coloro che amava erano lì, a terra. Ad alcuni i nazisti avevano aperto la pancia, e i maiali si erano già avventati sui corpi. Poi, in un angolo, notò il corpo nudo di un piccolo uomo, tutto rannicchiato, era suo padre. Era lì perché i nazisti l’avevano ucciso per ultimo. Prima di trucidarlo avevano infatti voluto fargli assistere al massacro di tutta la sua famiglia.


Quel giorno Ferruccio, che aveva solo 16 anni, seppellì 18 persone. Ma non il suo dolore. Che si è portato dietro per tutta la vita. Un dolore immenso, indescrivibile, che noi non possiamo neanche immaginare. Il dolore di vedere e rivedere, ogni giorno, la fotografia di tutti coloro che amavi trucidati e lasciati a marcire in un angolo. Il dolore di vedere il corpo di chi t’ha cresciuto rannicchiato in un angolo, sapendo il patimento che deve aver provato. Il dolore di ricordare ogni colpo di vanga dato per scavare la fossa dove li hai poi adagiati con le tue mani. 


E se oggi abbiamo il lusso di provare questa difficoltà, lo dobbiamo anche a Ferruccio. Che ha passato tutta la vita a ricordare con sofferenza quell’immenso dolore che fu la strage di Marzabotto per tenere viva la memoria. A riaprire, ogni giorno, quella ferita per gli altri. Specialmente per i più giovani, per le generazioni future, affinché quell’orrore nazista, anche grazie al suo ricordo, non tornasse mai più.


A Ferruccio, che è scomparso lo scorso gennaio, va il ricordo di tutti noi. A lui e a tutte le vittime della strage di Marzabotto.

Leonardo Cecchi 

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