PRIMA o poi doveva accadere, prima o poi il
papa avrebbe detto la sua sulle proteste dei parroci in Austria.
L'appello alla disobbedienza contro il no al sacerdozio femminile, alla
comunione per i divorziati risposati e al celibato facoltativo dei preti
non sono più una questione di Vienna e dintorni. Anche in Irlanda,
Francia e Germania altri sacerdoti hanno fatto proprie le riforme della
Pfarrer Initiative. L'ultima frontiera a cadere è stata la Slovacchia,
dove il Forum teologico cattolico si è schierato a fianco dei 4oo
parroci austriaci (su un totale di 2.000) in stato di agitazione.
Impossibile che Benedetto XVI rimanesse in silenzio ancora a lungo
davanti all'internazionalizzazione della rivolta.
Per provare a sedare le proteste Ratzinger non ha scelto un'omelia a
caso. Ha preso l'argomento durante la messa crismale, quella nella quale
i sacerdoti rinnovano gli impegni assunti con la sacra ordinazione. In
primo luogo, l'obbedienza al magistero della Chiesa. <Di recente - ha
scandito il papa - un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha
pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche
esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che
dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del magistero, come,
ad esempio, sulla questione dell'ordinazione delle donne>.
Ma la disobbedienza è la via per rinnovare la Chiesa? La domanda di
Benedetto XVI ha riecheggiato in San Pietro. Don Lorenzo Milani,
ribaltando il quesito, avrebbe risposto che <l'obbedienza non è più
una virtù>. Frase celebre che Ratzinger non farà mai sua. Il papa non
è il prete di Barbiana. È l'ex prefetto della Congregazione della fede,
strenue difensore dell'ortodossia, il cardinale che sanzionò teologi
eterodossi del calibro di Leonardo Boff, Gustavo Gutierrez e Hans Kung.
In lui convivono rigore e disciplina in abiti gentili e miti.
Ora i tempi, però, sono cambiati. Il ruolo di Ratzinger è diverso. E la
vicenda dei parroci austriaci è lì a dimostrarlo. Nell'omelia crismale
Benedetto XVI ha ribadito, in maniera netta, che il rinnovamento viene
solo dall'obbedienza, non ha accolto nessuna richiesta degli insorti,
ma, allo stesso tempo, non ha calcato la mano contro di loro, come,
invece, ci si sarebbe potuto aspettare. Per i fautori dell'Appello alla
disobbedienza, in stato di agiazione dal giugno scorso, niente
sospensioni o scomuniche. Anzi, il teologo tedesco li ha servito un
assist di non poco conto, dichiarando di <credere agli autori di
tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per
la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle
isituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove, per riportare la
Chiesa all'altezza dell'oggi>. Quanto basta per spingere monsignor
Helumt Schueller, già vicario generale di Vienna e oggi leader dei
ribelli, a guardare il bicchiere mezzo pieno: <É stata una
spiegazione aperta, non c'è stato alcun divieto e nessuna sanzione da
parte del papa>.
Più del rigore potè la misericordia? Non proprio. Benedetto XVI non ha
alcuna intenzione di confrontarsi con Schueller e compagni. Lo sanno
anche i vescovi austriaci che, guidati dal primate Christoph Schoenborn,
a gennaio sono corsi a Roma per fare il punto su quanto bolle nel
clero di Oltrealpe. Da mesi sono impegnati in un confronto diretto con i
parroci in trincea. Hanno sposato la linea del dialogo rigoroso e
cordiale.
Ratzinger, però, non sarebbe intenzionato a portare la discussione in
Santa Sede, sulla falsariga di quanto sta accadendo con i
lefebvriani. Il papa preferisce giocare la carta della persuasione.
Evitando lo strappo. Davanti al calo vertiginoso dei sacerdoti (-1.500,
dal 2005 al 2009, solo in Italia) Benedetto XVI non può prendersi il
lusso di scomunicare più del 20% del clero austriaco. Dietro di loro ci
sono migliaia di parrocchiani: sarebbe un disastro. Anche il papa fa i
conti, anche Ratzinger è un politico.
Giovanni Panettiere
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