Fabio Isman
Il Messaggero 21/4/2012
A Madrid vasi scavati clandestinamente ma dal 2004 nessuna mossa dello Stato
L’Italia
stenta parecchio a rivendicare le antichità che le sono state
sottratte, dal 1970 scavate clandestinamente dal sottosuolo (un milione e
mezzo di reperti, da valutazioni dell'Università di Princeton), e poi
avviate ad un mercato internazionale assai lucroso: soltanto i circa 200
oggetti restituiti al nostro Paese dai musei americani e da rari
collezionisti o mercanti valgono, calcola il Los Angeles Times, almeno
un miliardo di dollari. Però tantissimo c'è ancora da fare, e i governi
sembra che se ne siano dimenticati. Per esempio, c'è una vicenda
singolare. Nel 1999, il museo archeologico di Madrid acquista la parte
antica di una (dice Art-News) delle 200 maggiori collezioni al mondo.
Quella di José Luis Vàrez Fisa, formata dal 1984, con acquisti
soprattutto alle aste: 181 oggetti del bacino mediterraneo (anche
etruschi e magnogreci), dal V secolo a.C. al V dopo, pagati 12 milioni
di euro dalla Spagna, ma sovrastimati fino a dieci volte i prezzi
correnti, dice un docente di Barcellona, José Manuel Cruz Valdovinos.
Vengono esposti nel 2004. Ma, osservando il catalogo, due studiosi
italiani si accorgono che almeno 22 reperti, appena scavati (prima del
restauro, ancora sporchi di terra), erano già nelle foto di due famosi
trafficanti, frattanto processati in Italia: Gianfranco Becchina e
Giacomo Medici, condannato in via definitiva a otto anni e a dieci
milioni da versare allo Stato, soltanto come provvisionale. Foto
sequestrate nel 1985 e nel 2001, nei caveau di Ginevra e Basilea. Gli
archeologi romani Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini ne informano il
ministero. Ma invano: non succede nulla. La notizia è pubblicata con
grande clamore sui giornali, anche internazionali, a luglio 2010. Giorni
fa, l'archeologo José Maria Luzón Nogué, direttore del Prado dal 1994
al 1996, a un convegno chiede a José Fumanal, vicedirettore generale
spagnolo delle Belle arti, notizie di quei vasi. E si sente rispondere:
«Le leggi di restituzione esistono, ma l'Italia non ci ha richiesto
nulla». Qualcosa pare che si sia fatto: i carabinieri del Comando per la
tutela hanno verificato il catalogo; Maurizio Fiorilli, vice avvocato
generale dello Stato, ha chiesto al ministero di occuparsene. E basta.
Quando il ministro Lorenzo Ornaghi l'ha saputo da Louis Godart,
consigliere culturale del Quirinale, era stupito. Uno degli oggetti è
ritratto nel laboratorio di Fritz e Harry Biirki: gli stessi che hanno
restaurato il celebre cratere di Eufronio con La morte di Sarpedonte
restituito dal Metropolitan di New York, e oggi a Villa Giulia. Ma, per
carità, non è certo l'unico caso. Ancora nel 2009 (perché la Grande
Razzia non è finita: continua a produrre effetti perversi, è il terzo
mercato clandestino mondiale, dopo la droga e le armi), 1'Art Institute
di Chicago ha comperato un'anfora etrusca a figure nere, finita nella
black list, creata dall'Associazione dei direttori di museo americani
l'anno prima, in cui inserire gli oggetti senza un passato, se non il
buio degli scavi di frodo e provenienze quanto mai incerta. Infatti, il
vaso è stato acquistato a un'asta di Christie's, a New York. Ma prima, è
transitato per il Giappone: l'avevano Tosca Fujita e il Kurashiki
Ninagawa Museum, nella provincia di Okayama: due ottimi clienti proprio
di Becchina. Poi, è passato ai fratelli libanesi Hisham e Ali Aboutaam,
entrambi coinvolti nelle vicende della Grande Razzia e già sodali di
Medici. Indagati in Egitto, Iran e altrove, perquisiti in Svizzera
dall'allora Pm Paolo Giorgio Ferri, hanno restituito «volontariamente»
all'Italia 241 antichità, per il valore di 2,4 milioni di dollari. Che
per questo genere di cose si usino le case d'asta, non deve stupire:
quelle Sotheby's di antichità a Londra, annoveravano come miglior
cliente proprio Medici (205 antichità messe in vendita in due sole
aste), e per questo sono state sospese nel 1997; l'anno dopo, Becchina
chiede 320 franchi svizzeri a quella di New York, per foto d'oggetti
messi in vendita e non restituite. Nella black list sono finiti anche
due scudi del VI sec. a.C., con la testa di Acheloo, scavati in Etruria e
del diametro di quasi mezzo metro: acquisiti nel 1998 dal museo di
Dallas, tramite Edoardo Almagià, mercante assai noto a Roma ed
attualmente sotto inchiesta. Nel medesimo anno, e allo stesso museo,
Almagià ha ceduto anche un cratere in terracotta pugliese a volute, alto
quasi un metro, pure lui ormai nella famosa lista nera americana, e non
ancora restituito. Non sono nemmeno iniziate le rivendicazioni nei
confronti di alcuni musei giapponesi, che, dai documenti Becchina,
vantano centinaia di oggetti scavati di frodo nel nostro Paese. Dagli
atti processuali, i carabinieri sanno dove sono situate varie migliaia
di antichità strappate al sottosuolo della Penisola; ma se l'Italia non
le reclamerà, come ha fatto finora con gli oggetti acquistati da Madrid,
difficilmente, un giorno, le potremo rivedere a casa. I ritorni
volontari sono terminati da tempo: ormai, i musei restituiscono soltanto
quando ne sono proprio costretti dall'evidenza, o dalle minacce
processuali. Molti Paesi hanno mutato le loro norme, ma il nostro ancora
no; e i processi, come quello True, finiscono quasi sempre in
prescrizione. Qualcosa bisognerà pur fare, no?
http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=95199
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