Francesco Clementi
Domani il ministro Giarda dovrebbe proporre la sua prima relazione sulla
spending review. Ma allora perché, in epoca di spending review per
tutto ciò che è pubblico, non festeggiare questo 1° maggio di crisi
facendo sapere ai lavoratori, in trasparenza e responsabilità - cioè per
bene e nel dettagli - come i loro sindacati usano il denaro pubblico
derivante dalle nostre tasse?
L’Italia è in una forte recessione. E abbiamo appena
saputo che vi sarà un nuovo aumento della tassazione per fare fronte ai
costi della crisi mentre, al tempo stesso, non si riesce a far sì che
lo Stato sia il primo a pagare per i suoi debiti con i privati.
Eppure di sprechi dei soldi pubblici ancora ce ne sono.
Basti pensare a quanti soldi pubblici “sono andati persi” (diciamo
così) leggendo le inchieste del caso Lusi e della Lega, invece di
utilizzare quel finanziamento pubblico per garantire l’uguaglianza delle
chances di partecipazione di tutti alla vita politica (ex artt. 3-49
Cost.), un finanziamento che invece deve essere opportunamente mantenuto
a mio avviso.
In questo quadro, a brevissimo –si dice- arriverà la
spending review del pubblico, ossia “la” revisione della spesa
pubblica, in modo tale da rendere la nostra spesa pubblica, appunto,
molto più efficiente, riducendone i costi ed evitando così
l’innalzamento dell’Iva.
In attesa di tutto ciò, posto che nulla può essere
fuori dalla lente del controllo di come i soldi pubblici vengono spesi,
mi è venuta una domanda, che ho girato ad alcuni colleghi giuslavoristi,
ma ho ricevuto risposte un po’ vaghe. Per cui la pongo, qui,
pubblicamente: quanto denaro pubblico ricevono i sindacati per porre in
essere la loro funzione ex art. 39? Detta in altri termini: quanto pesa
sul bilancio pubblico il sistema di finanziamento delle organizzazioni
sindacali? Immagino non poco. Anzi, secondo alcune inchieste
giornalistiche, moltissimo. [Si v. il volume del giornalista de
l'Espresso Stefano Livadiotti: S.
Livadiotti, L’Altra Casta. Privilegi. Carriere. Misfatti e fatturati da
multinazionale L’inchiesta sul sindacato, Milano, Bompiani, 2009]. Assai sinteticamente, mi risulta che il loro bilancio dovrebbe essere alimentato, sostanzialmente, da tre fonti principali di finanziamento:
(a) i finanziamenti diretti, tramite le ritenute salariali;
(b) i finanziamenti indiretti, tramite l'attività dei c.d. enti parasindacali (patronati, CAF ed enti bilaterali);
(c) i finanziamenti percepiti tramite la retribuzione percepita dai
lavoratori per lo svolgimento di attività di natura sindacale durante
l'orario di lavoro, in forza dei diritti sindacali sanciti dallo statuto
dei lavoratori e dalla contrattazione collettiva.
Escludendo i finanziamenti diretti (a), sarebbe
utile conoscere a quanto ammontano dettagliatamente gli altri quelli di
derivazione pubblicistica, posto peraltro che manca -come per i partiti-
una legge che disciplini le organizzazioni sindacali. Forse, non
sarebbe male se queste informazioni, in piena responsabilità e
trasparenza, venissero alla luce in modo davvero pubblico, in
modo tale che tutti possano cogliere fino in fondo il senso delle spese
e delle scelte fatte in ragione della importante funzione democratica
che i sindacati svolgono.
Di sicuro –immagino- gli addetti ai lavori ne hanno piena contezza dell’ammontare
del finanziamento pubblico ai sindacati. Ma allora perché, in epoca di
spending review per tutto ciò che è pubblico, non sarebbe utile che lo
sapessero anche chi, come me, non è un esperto di bilanci sindacali? In
fondo, anche quelli sono soldi pubblici e tutti-tutti dovrebbero
conoscere nel dettaglio come vengono spesi, a maggior ragione se spesi
per tutelare una importante funzione democratica.
Perché non festeggiare questo 1° maggio di crisi facendo sapere ai lavoratori, in trasparenza e responsabilità -cioè per bene e nel dettaglio, come i loro sindacati usano il denaro pubblico derivante dalle nostre tasse?
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