Si discute se le copie di molecole tanto complesse possano mantenerne l'efficacia
MILANO - La vecchia Aspirina è una molecola (acido acetilsalicilico) composta da 21 atomi. L'insulina ricombinante (ottenuta cioè attraverso le biotecnologie, copia conforme della sostanza naturale) è fatta di 788 atomi organizzati in 52 molecole. L'eritropoietina, un ormone anch'esso riprodotto in laboratorio, arriva a 4 mila atomi. Nei più evoluti farmaci biologici si arriva oggi a 20 mila. Queste cifre spiegano chiaramente la differenza tra i farmaci tradizionali, figli della chimica, e quelli moderni, prodotti della biologia e costruiti elaborando cellule (del sangue o dei tessuti, da virus o tossine) attraverso complicate tecniche di purificazione e di ingegneria genetica (la più importante è quella del DNA ricombinante).
MALATTIE - I farmaci cosiddetti biologi costituiscono ancora oggi solo il 30% del mercato (erano l'11% nel 2000), ma sono quelli più avanzati, quelli su cui si fa affidamento per affrontare alcune delle malattie più gravi: il cancro innanzitutto e malattie autoimmuni come l'artrite reumatoide, il lupus, la sclerosi multipla, le malattie infiammatorie dell'intestino, la psoriasi. E sono soprattutto i farmaci del futuro. Ora il problema che si pone è il seguente: è possibile "copiare" molecole così complesse, ottenere dei "replicanti" che abbiano lo stesso valore terapeutico? La questione non è solo accademica o inerente al marketing delle aziende farmaceutiche. Perché i farmaci biologici, tra i tanti pregi, hanno anche un importante difetto: sono molto cari. Sono la causa principale dei pianti e delle lamentele di direttori sanitari, Asl e amministrazioni regionali per la loro incidenza attuale e soprattutto futura sui bilanci. E non solo in Italia. Il poter disporre di copie valide, e meno costose, potrebbe alleviare la sofferenza economica dei sistemi sanitari. Si possono realizzare insomma i farmaci "biogenerici", che vengono denominati biosimilari?SCADENZE - La questione si pone, a maggior ragione, perché già sono scaduti i brevetti dei primi biologici (a cominciare dall'insulina, nel 2001) e ora si attende la scadenza di molte importanti molecole. I primi cinque biologici oggi più venduti (tutte molecole dai nomi complicati che finiscono in "mab") scadranno tra il 2014 e il 2018. Biosimilari, dunque, esistono già, ma si prevede un esplosione del mercato di questa classe di farmaci (da 243 milioni di dollari attuali a 3,7 miliardi nei prossimi cinque anni) via via che si libererà una trentina di brand. Al di là degli aspetti economici, medici e amministratori sanitari, ed è questa la questione più importante, si chiedono se ci si potrà fidare dei biosimilari. Su questo tema è in corso un dibattito analogo, ma ancora più complesso, a quello che ha accompagnato per anni la contrastata crescita dei generici. Esiste in primo luogo un problema di sicurezza. «Le molecole dei biologici sono grandi, complesse e instabili — spiega Martin Van Trieste, vice presidente e responsabile del controllo di qualità della Amgen, azienda californiana che è stata tra i pionieri nella ricerca e produzione di farmaci biologici —. Ogni molecola è prodotta da un singolo processo industriale e bastano piccole variazioni nella catena produttiva per cambiarne le caratteristiche. È quindi praticamente impossibile produrre farmaci identici. Ci sono inoltre problemi di contaminazione, non solo nella produzione ma anche nel trasporto, aggravati dal fatto che la produzione è globalizzata. Da una singola fabbrica il farmaco va in tutto il mondo e d'altra parte i principi attivi arrivano da tutto il mondo. Negli Stati Uniti l'80% delle sostanze arriva da fuori, da almeno 150 Paesi».
EFFICACIA - Gli allarmi riguardanti biologici contaminati o falsi sono frequentissimi: l'ultimo in ordine cronologico riguarda un farmaco antitumorale, importato negli Usa, forse proveniente dalla Turchia. Famoso è il caso che nel 2008 riguardò l'eparina: allora una malattia colpì i maiali cinesi, che erano i principali "fornitori" del principio attivo, ricavato dalle loro mucose; ne seguì un rialzo mondiale del prezzo, che spinse alcuni fornitori ad adulterare la sostanza alla base dei farmaci. Il secondo problema riguarda la reale efficacia di questi nuovi generici. Visto che è impossibile (su questo tutti concordano) realizzare copie identiche dei biologici, - tant'è che si chiamano "biosimilari" - che cosa garantisce medici e pazienti sul fatto che funzionino davvero come le molecole originali? L'Europa, per prima, ha emanato nel 2005 linee guida per l'approvazione dei biosimilari, recepite anche dall'Italia, gli Stati Uniti solo da pochi mesi, al termine di lunghe discussioni e diatribe, che sono comunque significative delle difficoltà incontrate. L'idea di fondo è che i biosimilari (come i generici) non devono seguire le normali procedure che accompagnano l'approvazione dei nuovi farmaci, ma devono dimostrare la loro equivalenza terapeutica ai farmaci di marca che vanno ad affiancare.
DIFFERENZE - Ma i biologici sono molto diversi fra loro, sono spesso molto specifici e la loro efficacia dipende molto dall'appropriatezza del loro uso e talvolta sono anche contestati per lo scarso vantaggio terapeutico che offrono a fronte di costi molto elevati. I biosimilari insomma andranno a complicare un quadro già molto articolato. «In verità ci sono almeno due tipi di biosimilari — dice Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri e presidente della commissione Ricerca e Sviluppo dell'Aifa —. Per quelli più semplici, a struttura chimica ben definita, come l'insulina o l'ormone della crescita, possono bastare le stesse regole dei generici. Per gli altri più complessi occorrono per l'approvazione studi clinici di confronto con i farmaci di marca. In qualche caso questi test non saranno semplici, perché richiederanno tempo. Saranno questi test comunque a tagliare la testa al toro: una volta superati non ci sarà motivo per preferire l'uno o l'altro farmaco». Se la qualità, insomma, verrà garantita, la salute potrà essere difesa a un costo più basso, con una riduzione prevista nel lungo periodo di circa il 30 per cento.
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