Immediatamente dopo aver saputo del pestaggio, avevo contattato la direzione del carcere. Avevo chiesto come potesse essere accaduto. Ho recuperato quello scambio.
La direttrice parlava di una “violenta ed imprevedibile aggressione”.
Si era verificato l’esatto opposto di ciò che dovrebbe accadere davanti agli occhi di uno Stato consapevole, vigile. Che cura, e che non abbandona. Ma Francesco Valeriano e la sua famiglia sono stati abbandonati. Alla sofferenza, a un calvario durato sei mesi, alla morte arrivata ieri 11 dicembre.
L’ultimo giorno di una vita che doveva essere recuperata, salvata.
Il carcere dovrebbe essere una scuola, un luogo in cui si impara a vivere in libertà e con gli altri. Oggi invece è una camera di tortura, alimentata a indifferenza.
E ne siamo tutte e tutti responsabili

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