Nella vasta pianura del Tavoliere, dove il profilo del Gargano taglia l'orizzonte come una scura muraglia calcarea, la civiltà daunia ha lasciato un'eredità che non si trova nei grandi templi o nelle cittadelle fortificate, bensì in lastre di pietra rettangolari che sfidano il tempo.
Le stele daunie, monumenti funerari diffusi principalmente tra il settimo e il sesto secolo avanti Cristo, rappresentano uno dei fenomeni artistici e religiosi piΓΉ singolari dell'Italia preromana. Questi manufatti non sono semplici lapidi, ma vere e proprie pietrificazioni del defunto.
Funzionavano da segnacolo per le tombe dei ceti aristocratici dell'antica Daunia, concentrati soprattutto nell'area di Siponto e Cupola. Scolpite nella pietra tenera locale, le lastre antropomorfe raccontano la vita, il rango e le credenze di un popolo che non ci ha lasciato testi scritti.
Il popolo dauno ha affidato alla minuziosa incisione della pietra il compito di tramandare la propria identitΓ .
L'aspetto piΓΉ affascinante di questi monumenti risiede nella loro complessa iconografia, che trasforma la superficie della pietra in un tessuto narrativo. Le stele erano originariamente dipinte con colori vivaci, di cui oggi restano solo deboli tracce, ma Γ¨ il rilievo a svelarci i dettagli.
Le figure femminili appaiono avvolte in vesti cerimoniali riccamente decorate, adornate da collane a piΓΉ giri, grandi fibule a staffa lunga e pendagli complessi che scendono dalla cintura, noti agli archeologi come chatelaine.
Questi dettagli non sono puramente estetici ma fotografano con precisione l'abbigliamento rituale delle donne di alto rango, offrendo informazioni preziose sull'arte tessile e sull'oreficeria dell'epoca, materiali che il tempo ha in gran parte cancellato. Le teste, spesso scolpite a parte e inserite nel collo della lastra, presentano lunghe trecce che cadono sulle spalle, un dettaglio che umanizza la rigiditΓ geometrica del supporto.
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Diversa e altrettanto eloquente Γ¨ la raffigurazione maschile, dove l'identitΓ del defunto si fonde con quella del guerriero. Qui domina la panoplia militare: lo scudo rotondo protettivo e soprattutto il kardiophylax, una placca rettangolare o quadrata posta a protezione del cuore e del torace, sostenuta da cinghie incrociate.
Spesso compare la spada, riposta nel fodero e tenuta orizzontalmente all'altezza della vita, simbolo di potere e di forza fisica. Ma la narrazione non si ferma all'apparenza esteriore del defunto.
Negli spazi liberi tra le vesti e le armi, gli artigiani dauni incidevano scene di vita quotidiana o rituale, popolando la pietra di esseri umani impegnati nella caccia, nella tessitura, in processioni funebri o in offerte alle divinitΓ . Non mancano creature fantastiche e mostruose, forse guardiani dell'oltretomba o simboli apotropaici destinati a proteggere il viaggio nell'aldilΓ .
La riscoperta e la comprensione di questo immenso patrimonio si deve in gran parte
all'opera instancabile di studiosi come Silvio Ferri, che salvarono centinaia di frammenti dal reimpiego nell'edilizia rurale o dalla distruzione.
Molte stele furono infatti trovate fuori dal loro contesto originale, riutilizzate come materiale da costruzione o per coprire canali, un destino che ne ha frammentato l'integritΓ ma non il messaggio.
Oggi custodite prevalentemente nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, all'interno del Castello Svevo-Angioino, queste sentinelle di pietra continuano a fissare il visitatore con un linguaggio visivo potente.
Esse testimoniano l'esistenza di una societΓ stratificata, fiera delle proprie tradizioni e capace di elaborare un linguaggio artistico autonomo, pur mantenendo contatti con l'altra sponda dell'Adriatico e con le culture illiriche. Il loro silenzio Γ¨ solo apparente, poichΓ© ogni incisione Γ¨ una parola scolpita in un discorso eterno sulla morte e sulla memoria.
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