giovedì 4 dicembre 2025

La battaglia di Montaperti

 


«𝘓𝘰 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰 𝘦 '𝘭 𝘨𝘳𝘢𝘯𝘥𝘦 𝘴𝘤𝘦𝘮𝘱𝘪𝘰

𝘤𝘩𝘦 𝘧𝘦𝘤𝘦 𝘭'𝘈𝘳𝘣𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘭𝘰𝘳𝘢𝘵𝘢 𝘪𝘯 𝘳𝘰𝘴𝘴𝘰,

𝘵𝘢𝘭 𝘰𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯 𝘧𝘢 𝘧𝘢𝘳 𝘯𝘦𝘭 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘰 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘪𝘰.»


La battaglia di Montaperti ebbe luogo il 4 settembre 1260 e rappresentò uno degli scontri più sanguinosi dell’intero Medioevo italiano. Si svolse tra le forze guelfe di Firenze e quelle ghibelline di Siena, sostenute da contingenti provenienti da città alleate come Pisa e da cavalieri fuoriusciti fiorentini. Lo scontro nacque da tensioni politiche interne alla Toscana, dove i comuni erano divisi dall’appartenenza alle due grandi fazioni che si contrapponevano in tutta la penisola, con le famiglie ghibelline senesi e fiorentine determinate a prevalere nel conflitto che avrebbe deciso il predominio sulla regione.


A Firenze il governo era allora saldamente in mano ai guelfi, che avevano cacciato le principali famiglie ghibelline. Alcuni di questi esuli trovarono rifugio a Siena, dove il governo dei Nove, pur non completamente schierato, finì con il favorire la presenza dei fuorusciti. La città mantenne un orientamento ghibellino più marcato dopo l’intervento dei sostenitori di Manfredi di Sicilia, desideroso di limitare l’ascesa guelfa in Toscana. Le tensioni tra le due città sfociarono presto in provocazioni e scontri minori lungo i confini territoriali, con continue scorrerie o atti ostili da parte di gruppi armati che operavano ai margini dei territori comunali.


La decisione fiorentina di muovere guerra contro Siena avvenne nel corso del 1260, quando il governo guelfo, forte di un esercito molto più numeroso, ritenne possibile ottenere una vittoria rapida. Firenze contava sull’appoggio di alleati come Lucca, Prato e altre città guelfe, mettendo insieme un contingente che, secondo le cronache, superava i ventimila uomini. Anche le fonti più prudenti parlano di un esercito molto più consistente rispetto a quello senese, che si aggirava attorno alle quattromila unità di cavalleria e a un numero variabile di fanti, rafforzato però da contingenti ghibellini provenienti da diverse città toscane. Le forze senesi potevano inoltre contare sulla determinazione degli esuli fiorentini, guidati da Farinata degli Uberti e da altri nobili che vedevano nello scontro la possibilità di riconquistare la loro città.


Le operazioni preliminari alla battaglia cominciarono già nell’agosto del 1260, con i fiorentini che penetrarono nel territorio senese e presero possesso di alcune postazioni minori. L’esercito guelfo, forte della sua superiorità numerica, avanzò con sicurezza, convinto che Siena non avrebbe potuto resistere a lungo. In risposta, i senesi decisero di evitare uno scontro diretto in campo aperto finché non fossero riusciti a ottenere rinforzi ghibellini sufficienti. La scelta di temporeggiare consentì loro di radunare nuove forze, tra cui i cavalieri di Provenzano Salvani, figura di rilievo della politica senese, che assunse un ruolo di guida sia militare che simbolica all’interno della città.


Alla fine di agosto i senesi radunarono le proprie truppe all’interno della città, facendo giurare ai cittadini la difesa del comune. La tradizione vuole che venisse portato nella piazza del Campo il carroccio, simbolo dell’unità cittadina, davanti al quale fu celebrato un rito solenne. Dopo questi preparativi, l’esercito uscì da Siena in direzione sud-est, muovendosi verso la zona di Montaperti, dove intendeva incontrare l’avanzata fiorentina. Il luogo era caratterizzato da colline morbide, spazi aperti ma anche pendii che avrebbero potuto favorire l’impiego strategico della cavalleria e permettere azioni di aggiramento. La scelta del terreno fu parte integrante del piano senese, che puntava a sopperire all’inferiorità numerica con una disposizione più accorta delle truppe.


L’esercito fiorentino, dal canto suo, avanzava con una organizzazione tipica dei comuni guelfi: il carroccio era situato al centro dello schieramento, circondato dalla fanteria, mentre le ali erano difese dalla cavalleria. Alla guida delle truppe vi erano i principali rappresentanti della politica cittadina, determinati a infliggere una sconfitta decisiva ai senesi. Tra i fuoriusciti che combattevano nelle file ghibelline, invece, spiccavano nomi che sarebbero poi rimasti nella storia, come Farinata degli Uberti, impegnato non solo a riconquistare Firenze ma anche a dimostrare il valore della sua parte politica.


Le due armate si incontrarono nei pressi del torrente Arbia, non lontano da Montaperti. Il confronto cominciò nella mattina del 4 settembre con alcune scaramucce e con movimenti di assestamento delle truppe. I fiorentini, forti della superiorità numerica, tentarono un attacco frontale per rompere lo schieramento senese. I senesi, invece, posero parte delle loro forze su una collina che dominava il campo di battaglia, in modo da poter osservare le manovre avversarie e intervenire al momento opportuno con cariche mirate.


Lo scontro vero e proprio iniziò con una carica della cavalleria guelfa, che cercò di rompere il centro ghibellino. I senesi riuscirono a reggere grazie all’intervento dei contingenti di rinforzo provenienti da Pisa e degli esuli fiorentini, che combatterono con determinazione eccezionale. La mischia centrale diventò presto confusa e sanguinosa. Le cronache dell’epoca parlano di uno dei più feroci combattimenti mai visti nella regione: tutte le unità presenti, compresi nobili e cavalieri di alto rango, si scontrarono direttamente senza risparmio.


Uno degli episodi più celebri della battaglia riguarda l’intervento del traditore Bocca degli Abati, nobile fiorentino schierato con i guelfi ma segretamente passato ai ghibellini. Secondo il racconto tramandato, Bocca colpì a tradimento il portabandiera della cavalleria fiorentina, provocando confusione nelle file guelfe. La perdita dello stendardo fu uno dei momenti critici dello scontro: molti cavalieri, non riconoscendo più il segnale visivo che indicava la posizione della loro unità, cominciarono a disperdersi o a ritirarsi in modo disordinato. L’episodio indebolì notevolmente l’ala fiorentina e favorì l’iniziativa dei senesi, che colsero l’occasione per sferrare un contrattacco.


Provenzano Salvani comandò la carica decisiva delle forze senesi, accompagnato dai suoi cavalieri e dai contingenti alleati. La pressione esercitata sul centro guelfo aumentò rapidamente. Sul lato destro fiorentino i ghibellini attaccarono con violenza crescente, sfruttando la confusione creatasi dopo il tradimento. La resistenza dei reparti centrali fiorentini iniziò a cedere, mentre gli uomini posti a difesa del carroccio tentavano disperatamente di mantenere la posizione. L’inclinazione naturale del terreno, unita alla perdita di coesione tra le file guelfe, favorì l’avanzata senese.


Lo sfondamento definitivo avvenne quando la cavalleria ghibellina riuscì a spezzare la linea difensiva fiorentina, provocando il crollo dell’intero schieramento. A quel punto, la battaglia si trasformò in una fuga caotica dei guelfi. L’inseguimento proseguì per diverse miglia e venne ricordato per la violenza dei combattimenti corpo a corpo. La zona intorno al torrente Arbia fu descritta come un vero e proprio campo di sterminio. Le stime sulle vittime sono molto variabili, ma tutte concordano sul fatto che la battaglia fu tra le più sanguinose del periodo. La tradizione parla di migliaia di morti, con numeri che oscillano tra diecimila e ventimila caduti, anche se le fonti più moderne tendono a ridurre queste cifre.


La presa del carroccio fiorentino fu il momento simbolico della vittoria senese. Le truppe ghibelline lo catturarono dopo un ultimo, violento assalto, e lo trascinarono come trofeo verso Siena, accompagnato dai prigionieri e dalle insegne guelfe abbandonate sul campo. Molti nobili fiorentini furono uccisi o catturati. I fuorusciti ghibellini, in particolare, si distinsero nell’inseguimento, guidati dal desiderio di vendicare l’esilio subito anni prima. Tra loro spiccava Farinata degli Uberti, che divenne una delle figure più ricordate di quel giorno.


La vittoria di Montaperti ebbe conseguenze politiche immediate. Firenze, priva delle sue principali difese, cadde nelle mani dei ghibellini. Le famiglie guelfe furono costrette alla fuga o subirono dure ritorsioni. I ghibellini, tornati al potere, instaurarono un governo favorevole all’imperatore Manfredi, consolidando per alcuni anni il predominio ghibellino nella Toscana centrale. Siena, dal canto suo, celebrò la vittoria con grande entusiasmo: la città visse uno dei suoi momenti di massima gloria politica e militare, che rimase impresso nella memoria collettiva e nella cultura cittadina.


Provenzano Salvani, principale protagonista militare e politico della vittoria, acquisì un prestigio straordinario. La sua figura divenne simbolo della difesa dell’indipendenza senese e dell’abilità militare della città. L’impatto emotivo della battaglia rimase forte anche nei decenni successivi, soprattutto per la crudeltà dello scontro e per il numero elevato di vittime registrate tra i fiorentini.


La battaglia provocò anche ripercussioni a lungo termine sugli equilibri politici della regione. Il ritorno dei ghibellini a Firenze non fu accompagnato da una pacificazione duratura. Con il mutare della situazione politica e con la sconfitta di Manfredi a Benevento nel 1266, i guelfi tornarono presto al potere nella città. Tuttavia, lo scontro di Montaperti rimase negli anni un episodio evocato come simbolo della ferocia delle lotte intestine che dividevano i comuni italiani del XIII secolo.


Il territorio intorno a Montaperti portò a lungo i segni della battaglia. Vaste aree furono lasciate incolte per anni, e numerosi ritrovamenti di armi e resti umani furono registrati anche nei secoli successivi. I cronisti medievali descrissero la zona come un luogo di memoria tragica. In particolare il torrente Arbia fu spesso citato come il punto in cui si accumulò la maggior parte dei cadaveri e del sangue versato durante la fuga dei guelfi.


Nel corso del tempo la battaglia entrò nella tradizione storica e letteraria della Toscana. Le cronache senesi celebrarono la vittoria come una dimostrazione della forza e dell’astuzia militare della città. Firenze, invece, ricordò a lungo Montaperti come una delle sconfitte più umilianti della propria storia, un trauma collettivo che segnò profondamente il sentimento politico cittadino. Lo scontro fu considerato non solo un episodio militare, ma anche un momento decisivo nelle lotte tra le fazioni che avrebbero continuato a lacerare l’Italia comunale per decenni.


Il campo di battaglia divenne oggetto di un culto della memoria, con la costruzione nei secoli di monumenti e lapidi dedicate ai caduti. Ancora oggi la collina di Montaperti conserva tracce topografiche e testimonianze che permettono di ricostruire le fasi dello scontro. La presenza del cippo commemorativo, posto sul poggio dove si ritiene si sia deciso l’esito della battaglia, tramanda il ricordo dell’evento come uno dei più rilevanti della storia medievale toscana.


La ricostruzione dei fatti avvenuti quel giorno continua a basarsi su testimonianze coeve, come quelle dei cronisti senesi e fiorentini che cercarono di descrivere con precisione lo svolgimento dello scontro. Tuttavia, la quantità di episodi narrati e la forte componente emotiva presente nelle fonti rendono complessa una valutazione completamente oggettiva. Nonostante ciò, gli elementi fondamentali appaiono chiari: la superiorità numerica guelfa, l’efficacia delle manovre ghibelline, il ruolo decisivo del tradimento e la violenza dell’attacco finale. Tutti questi fattori concorsero a creare una delle pagine più rilevanti della storia bellica italiana medievale.


L’esito della battaglia di Montaperti segnò un punto di svolta negli equilibri politici della Toscana del XIII secolo. Lo scontro, durato ore e caratterizzato da ondate successive di combattimenti, rappresentò il culmine della rivalità tra Siena e Firenze e della divisione tra guelfi e ghibellini. Il dominio ghibellino ristabilito dopo la vittoria non fu destinato a durare a lungo, ma il ricordo di quella giornata rimase impresso a fondo nella memoria collettiva delle due città rivali.


La battaglia si impose come un episodio destinato a rimanere nella storia per l’intensità dello scontro e per il massacro che ne seguì. La fuga dei guelfi lungo il torrente Arbia, l’inseguimento senza tregua da parte dei senesi e la quantità impressionante di caduti fecero di Montaperti un simbolo dell’asprezza delle guerre comunali. La narrazione dei fatti, tramandata attraverso generazioni di cronisti, mantenne vivo il ricordo del giorno in cui Siena riuscì a prevalere su un avversario più grande e più potente, grazie alla determinazione delle proprie truppe e alla capacità di sfruttare ogni debolezza del nemico.


Il contesto politico e militare successivo mostrò quanto fosse fragile l’equilibrio ottenuto con quella vittoria. Nonostante la conquista di Firenze e il ritorno dei ghibellini al governo, i mutamenti della politica italiana determinarono un rapido capovolgimento della situazione pochi anni dopo. Tuttavia, la storia della battaglia di Montaperti continuò a essere un punto di riferimento per la memoria collettiva delle due città, un evento che sintetizzava in modo concreto la violenza e la complessità delle lotte comunali.


La battaglia rimase così un episodio centrale nella storia della Toscana medievale, caratterizzato da un intreccio di rivalità cittadine, alleanze mutevoli, tradimenti e atti di coraggio individuale. Il campo di Montaperti, teatro di uno degli scontri più cruenti del tempo, divenne il simbolo di una stagione storica segnata da conflitti che ridefinirono non solo i rapporti tra le città, ma anche l’assetto politico dell’intera regione. I fatti narrati dalle fonti e tramandati nei secoli rappresentano l’ossatura di un avvenimento che continua ancora oggi a essere studiato e ricordato come uno dei momenti più intensi e significativi delle guerre tra comuni italiani.


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