Anzio: ombrelloni e lettini sui resti della villa imperiale
Il mare, bellissimo, è lì davanti. Dal belvedere alla fine di via Furio Anziate è possibile spaziare con lo sguardo. Intanto da sotto dove c’é la spiaggetta e da sopra dove alberi e cespugli permettono di ripararsi dal gran caldo estivo, è un sovrapporsi di voci e di rumori. Con l’immancabile melodia di qualche canzone neppure tanto in sottofondo. Al centro del belvedere c’è una statua di Nerone. Anche lui sembra guardare l’orizzonte. Ed è una fortuna! Almeno così non può rendersi conto di come i suoi eredi lontanissimi, noi insomma, hanno ridotto la sua villa maritima.
Ad Anzio, paese sulla costa laziale, affollata meta del turismo balneare romano, l’archeologia è presente in maniera poderosa. Ma i resti più importanti e più famosi sono senz’altro quelli appartenenti alla villa imperiale, che occupano quasi per intero la riviera di Ponente, tra la riva e la via della Fanciulla d’Anzio. Un piccolo centro di accoglienza, nel quale sono il plastico ricostruttivo del complesso e la storia delle ricerche, consente di farsi almeno un’idea della sua passata grandezza. Così come i pannelli con la descrizione delle diverse parti della villa che si trovano lungo il percorso perimetrato da cespugli verdi, realizzato ai lati del corpo costruito centrale.
Peccato che da qui i resti che si possono vedere sono davvero esigui. Anche se impreziositi da alcune porzioni di pavimenti a mosaico a tessere bianche e nere a dir poco pregevoli. Ben altro lo spettacolo che si può ammirare dal marciapiede, aldilà della recinzione che impedisce l’accesso alle strutture. Muri anche possenti, conservati per una ragguardevole altezza, in opera reticolata, basi di colonne, basoli stradali fuori posto. Un susseguirsi di resti ai quali ragazze già in bichini e mamme con al seguito bambini urlanti non sembrano interessarsi per niente.
Poi si ha l’impressione che la villa finisca. C’è la proprietà che include il faro. All’ingresso due belle colonne con relative basi e soprastanti capitelli. Tutto antico. Come i basoli in selce riutilizzati per pavimentare il piazzale all’ingresso. Basta oltrepassare questo blocco per rendersi conto che la villa prosegue. Altri muri in opera reticolata, fino a via Furio Anziate, la strada che scende al Belvedere, delimitata sul lato a monte proprio da resti in opera laterizia e reticolata. Lì dentro le strutture sopravvivono anche se dividono gli spazi con dei grandi cespugli di fichi, vegetazione infestante. E non mancano bottiglie di vetro, cartacce e qualche busta di plastica.
Per rendersi conto della straordinaria bellezza della villa, della sua inimmaginabile estensione, della complessità delle soluzioni tecniche adottate, bisogna scendere al mare. Dal belvedere dove c’è lastatua dell’imperatore è facile. Pochi gradini e si è sulla piccola spiaggia. Tra le sedie a sdraio, gli ombrelloni e le cabine dello Stabilimento Balneare Lido di Nerone.
Solo da qui ci si accorge che il belvedere è stato realizzato su alcune strutture voltate, in opera reticolata. Usate impropriamente per gettarvi ogni tipo di immondizie. Solo da qui ci si rende conto che la spiaggia artificiale è appoggiata su possenti muri del complesso antico. Muri che proseguono anche in mare. Utilizzati da alcuni bagnanti come trampolino per i tuffi ed in parte per realizzarvi un pontile in mare. Ancora in costruzione per conto della Regione Lazio come si legge su un cartello apposto in coincidenza di una delle estremità della struttura.
Da qui camminando sulla spiaggia per centinaia e centinaia di metri le strutture, imponenti, grandiose, proseguono lungo l’alta costa. Ora più conservate, ora meno. Pareti altissime in opera reticolata con cinture laterizie oppure tratti più modesti di muratura che sembrano fuoriuscire dalle pareti naturali. Non è possibile avvicinarvisi più di tanto. Una cancellata, lungo la quale ogni tanto si aprono degli accessi, comunque chiusi, impediscono di osservarne i particolari. All’interno si è provveduto ad installare un impianto di illuminazione che consente di osservarne la bellezza. Anche di notte. Peccato ci si sia dimenticati di provvedere ad un sia pur minimo corredo informativo.
Nessun pannello. Nessuna indicazione. Fatta eccezione per una fotocopia in carta della ricostruzione della villa, affissa sulla cancellata in corrispondenza dei tre cassonetti delle immondizie differenziate a servizio dei bagnanti. Individuare questo tratto del lungo fronte a mare della villa non è poi così difficile, anche perché esiste un altro punto di riferimento. Dei tubi in PVC che discendono orizzontalmente dall’alta parete antica e scaricano direttamente sulla spiaggia. Anche se utilizzando questa indicazione, a dire il vero, si corre il rischio di fare confusione.
Infatti, più avanti ci sono altri tubi discendenti dall’alto, e ugualmente in PVC, che non differentemente dai primi scaricano sulla spiaggia. Facendo lo slalom tra asciugamani ed ombrelloni si arriva alla fine della recinzione. Che non coincide però con l’estremità del complesso antico. Anzi. Le strutture proseguono, quasi arrampicate sull’alto costone naturale. Molte in evidente precarietà. Minacciando di crollare, d’improvviso, in basso. Per questo c’è una grande insegna che avverte del pericolo di crolli.
Sembra inutilmente, considerando che soprattutto nei giorni di maggiore frequentazione della spiaggia i bagnanti allungano i loro asciugami fin sotto la parete. Le strutture proseguono ancora fino al piccolo promontorio “forato” da tre gallerie antiche, le “grotte di Nerone”, che consentivano di raggiungere la spiaggia aldilà.
Le innegabili difficoltà esistenti nel tutelare e valorizzare strutture naturalmente esposte al rischio di deperimento non sembrano giustificare una così modesta offerta. L’esistenza di almeno due piani di percorrenza ancora un ostacolo insormontabile alla loro visita. Di più, alla loro comprensione. La villa avulsa da qualsiasi percorso turistico. Nel quale le sue strutture siano parti significative di un tour ragionato. Per questo quelle strutture per molti non sono altro che un trampolino da cui tuffarsi.
Per questo il Museo archeologico nel quale si conservano vere e proprie opere d’arte continua ad essere visitato solo da pochi. Ma in fondo l’impressione è che vada bene così. Altrimenti si proverebbe a fare qualcosa di più.
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