Era il 27 marzo del 1973.
In quegli anni i nativi americani erano arruolati esclusivamente come comparse. I ruoli principali nei western venivano affidati ai visi pallidi. Non erano solo ignorati, erano soprattutto non rispettati. La critica si scagliò contro di lui, ma Brando riuscì a chiedere giustizia dal pulpito del leggero mondo dello spettacolo, a una cerimonia seguita da 85 milioni di persone.
La notte del 27 marzo 1973 a salmodiare il the winner is per Brando c'erano Roger Moore e Liv Ulmann. Lui con lo smoking di 007 ancora addosso, lei impigliata in una tenda verde. Quando chiamarono Don Vito, al suo posto si alzò un' attrice vestita da nativa americana, Sacheen Littlefeather, che arrivò al podio sotto lo sguardo di milioni di spettatori. I presentatori uscirono di scena come in un carillon e la giovane iniziò a parlare: “Rappresento Marlon Brando, che mi ha incaricato di dirvi che non può accettare questo generoso premio a causa del trattamento oggi riservato agli indiani d’America nell’industria del cinema”.
Sacheen non potè, però, finire il discorso : «La comunità cinematografica è responsabile di aver descritto l'indiano come un selvaggio, ostile, simbolo del male. E' già abbastanza difficile per i bambini crescere in questo mondo. Quando i bambini indiani vedono la loro razza dipinta come nei film, le loro menti vengono ferite in modi che non possiamo immaginare».
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