La prima volta venne messa al muro. I fascisti si divertivano a sparare nella sua direzione avvicinandosi passo dopo passo. Poi, quando videro che non parlava, la torturarono. Botte, schiaffi, minacce. Ma lei non fece i nomi dei compagni.
Quindi si stancarono e la portarono nel carcere di Monza. Per passarla a “mani più esperte”, quelle dei nazisti. Si scomodò persino un colonnello della Gestapo per lei.
Prima provarono a comprarla. Poi, quando la sua risposta fu il silenzio, la torturarono di nuovo. E lei, di nuovo, non parlo.
Decisero allora che con lei non c'era niente da fare. Però magari ucciderla lì sarebbe stato poco per questa partigiana che non parlava, che resisteva alle torture e li insultava con il suo silenzio. Quindi ebbero un’idea: spedirla in un campo di concentramento.
A lei, Pierina Vitali, quell’idea non piacque però molto. Ma all'inizio rimase buona, in silenzio. E poi, durante il viaggio, ebbe lei un’idea: sfondare il finestrino del camion che la stava trasportando e lanciarsi giù in corsa. Così Pierina riconquistò la libertà. La libertà di tornare a combattere come partigiana. La libertà di vivere una vita da italiana e da donna libera. Una vita di lotta che si è conclusa il 17 febbraio del 2020, a 96 anni.
A Pierina, anche quest'anno il ricordo di tutti noi. Resterà nei nostri cuori come uno dei più grandi simboli di forza.
(Foto di Andrea Tognoli)
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