Sfondare, nel mondo del calcio, non è solo una questione di talento. Conta anche il carattere, la costanza, più di tutto conta l'amore per la disciplina. Gianni Comandini era uno a cui piaceva giocare e a cui piaceva segnare, e di talento ne aveva in quantità: il Vicenza lo acquista giovanissimo, lo lascia a Cesena e lui segna 14 reti a vent'anni, per poi la stagione successiva vestire il bianco-rosso e mettere la palla in fondo al sacco per 20 volte. È promozione per i veneti, è consacrazione per questo talento che passa al Milan per circa 30 miliardi di lire proprio a ridosso del 2000, l'anno in cui con l'Italia Under-21 Comandini si laurea Campione d'Europa. In rossonero, però, succede qualcosa: chi lo sa se Comandini, che ha carattere profondo e sensibile, non reagisce male alle prime inevitabili critiche che giocare in rossonero porta con se, chissà se sente la responsabilità di tutti quei miliardi spesi per lui. Segna 2 reti in un clamoroso derby della Madonnina vinto dal Milan per 6 a 0, sembra l'inizio di tutto e invece siamo già quasi ai titoli di coda: dopo aver tentato un rilancio in provincia (l'esperienza rossonera dura appena una stagione) Comandini cala sempre di più in resa e in motivazione, e a 28 anni si ritira precocemente, scoprendo il surf, i viaggi, la pace della vita di provincia, dove può finalmente essere se stesso. Al Milan resta il ricordo di un ragazzo che poteva essere fortissimo ma che forse non è stato capito e che certamente è stato acquistato con un po' troppa fretta.
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