Dopo averlo trucidato, lo lasciarono sulla strada a dissanguare. Ci rimase così tanto a lungo che il comune dovette rifare l'asfalto, perché il sangue l’aveva impregnato.
Alberto Giacomelli, magistrato in pensione, era un uomo riservato, mite, dedito al lavoro. Mai sotto i riflettori. Un padre di famiglia che la scorta la faceva venire un poco più avanti rispetto a casa sua, perché uscendo di casa non voleva “creare confusione”. Una persona onesta che faceva il suo dovere. Lo fece anche nel 1984, quando sotto gli occhi gli finì uno dei provvedimenti più rischiosi dell’epoca: quello del sequestro della casa di Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, “la Bestia”.
Lo firmò senza pensarci due volte.
La mafia aspettò che andasse in pensione. Ce lo “costrinse” il figlio ad andarci, anche se lui gli diceva “tanto mi ammazzeranno lo stesso”.
E così fu, perché i sicari lo uccisero la mattina del 14 settembre, quando ormai era in quiescenza.
Cercarono di farlo passare per delitto passionale per infangarne il nome. Poi per una rivalsa di un gruppo di ragazzi che avevano avuto a che fare con la droga.
Ci vollero anni prima che si capisse che Giacomelli era stato ammazzato per una firma.
Gli assassini non sono mai stati trovati. Giacomelli pagò anche il suo essere un uomo riservato, con la sua storia ingiustamente dimenticata da una grossa parte dello Stato.
In questo giorno, a lui va allora il ricordo di chi non dimentica i servitori dello Stato e il loro enorme coraggio.
Leonardo Cecchi
Nessun commento:
Posta un commento