martedì 17 settembre 2024

Dune

 


"Dune", del 1984, è indiscutibilmente il film peggiore della carriera di Lynch, ed è bruttarello forte. Per certi versi sembra che sia stata sbagliata proprio la scelta di Lynch come regista: Eraserhead era stato uno di quei capolavori della serie «ti vendi un rene per comprare la pellicola», con un cast e una troupe minuscoli e perlopiù non pagati. "Dune", al contrario, aveva uno dei budget più alti della storia di Hollywood, lo staff di produzione aveva le dimensioni della popolazione di una piccola nazione caraibica e il film prevedeva strepitosi effetti speciali all’avanguardia (metà dei quattordici mesi previsti per la realizzazione del film furono dedicati ai modellini e alla stop motion). Inoltre il romanzo di Herbert in sé è incredibilmente lungo e complesso, per cui oltre a tutti i grattacapi di una grossa produzione finanziata da tizi in Ray-Ban, Lynch aveva anche il problema di rendere cinematograficamente accettabile la trama, che già nel romanzo è contorta da far paura. In breve, per la regia di "Dune" ci voleva una combinazione fra un tecnico e un esperto di amministrazione, e Lynch, anche se uno dei migliori tecnici sulla piazza,39 è più che altro quel tipo di bambino intelligente che si incontra ogni tanto, pieno di inventiva nelle sue fantasie, in cui si immerge completamente, ma che lascia che gli altri bambini vi prendano parte solo se mantiene il completo controllo creativo sul gioco e le sue regole e i suoi annessi e connessi – in breve, assolutamente non è uno che ci sa fare con l’amministrazione.

Rivedendo "Dune" in videocassetta, ci si rende conto che alcuni dei suoi difetti sono chiaramente responsabilità di Lynch, ad es. aver scelto quel nerd con la faccia di patata di Kyle MacLachlan per fare la parte di un eroe epico, e Sting dei Police, che è clamorosamente incapace di recitare, per il ruolo del cattivo psicopatico, o – peggio – aver cercato di fornire spiegazioni della trama rendendo udibili i pensieri dei personaggi (con quella leggera eco da pensiero ad alta voce) mentre la macchina da presa zooma sul personaggio che fa una faccia pensierosa, un vecchio mezzuccio di cui Saturday Night Live già faceva la parodia da anni quando uscì "Dune". Il risultato generale è un film che fa ridere mentre cerca di essere mortalmente serio, che è la migliore definizione di flop che esista, e "Dune" in effetti fu un flop enorme, pretenzioso e incoerente. Ma di buona parte dell’incoerenza sono responsabili i produttori della De Laurentiis, che tagliarono chilometri di pellicola dalla copia definitiva di Lynch subito prima dell’uscita del film, avendo a quanto pare già fiutato il disastro, e volendo almeno ridurre il film a una durata normale da sala cinematografica. Anche in videocassetta, non è difficile vedere dove sono stati fatti molti di questi tagli; il film appare sventrato, involontariamente surreale.

Per qualche strano motivo, tuttavia, "Dune" finì per essere la «grande svolta» di Lynch come regista. La versione di "Dune" che apparve nelle sale fu, secondo tutte le fonti attendibili, qualcosa che gli spezzò il cuore, il genere di débâcle che nelle leggende sugli Artisti Innocenti e Idealisti Schiacciati Dagli Ingranaggi della Macchina Hollywoodiana segna la fine violenta dell’Innocenza dell’artista – sedotto, affascinato, fottuto, dato in pasto alla foga del pubblico e al furore del magnate. L’esperienza avrebbe potuto facilmente trasformare Lynch in un travet inacidito (anche se probabilmente un travet molto ricco) specializzato in orge splatter ad alto tasso di effetti speciali per i grandi studios. 

Oppure, 'avrebbe potuto mandare di corsa a nascondersi nella sicurezza dell'accademia, a realizzare oscuri 16-millimetri senza trama destinati a un pubblico in pipa e baschetto. Ma l'esperienza non ha prodotto né l'uno né l'altro effetto. Lynch ha sia resistito, sia, in un certo senso, ceduto. La vicenda di "Dune" lo ha convinto di qualcosa che sembra fornire la rotta a tutti i registi indipendenti davvero interessanti - la Campion, i Coen, Jarmusch, Jaglom. «L'esperienza mi ha insegnato una lezione preziosa», ha detto in un'intervista anni dopo. «Ho imparato che preferisco non fare un film piuttosto che farne uno in cui non ho il final cut».

E questo, in maniera quasi lynchianamente bizzarra, è stato ciò che portato a "Velluto blu". Lo sviluppo del progetto di "Velluto blu" facceva parte del contratto sotto il quale Lynch aveva accettato di girare "Dune", e l'enorme fiasco di quest'ultimo ebbe come conseguenza due anni di relazioni piuttosto freddine fra Dino & Dave, con quest'ultimo che si lamentava per il montaggio finale di "Dune" e scriveva la sceneggiatura di "Velluto blu", mentre il primo si strappava i capelli dalla rabbia e i ragionieri della De Laurentiis Entertainment Group eseguivano l'autopsia su un nato morto da 40 milioni di dollari. Poi, più o meno all'improvviso, De Laurentiis ofrrì a Lynch un contratto per realizzare "Velluto blu"; un tipo di accordo molto insolito che deve essere stato ispirato - mi ci gioco quello che vi pare - dalle lagne di Lynch per la versione finale di "Dune" e dal fatto che De Laurentiis da quelle lagne era divertito e seccato. Per "Velluto blu", De Laurentiis offrì a Lynch un budget minuscolo e un compenso ridicolo per la regia, ma il controllo totale sul film. Sembra chiaro che l'offerta fu una specie fi bluff punitivo da parte del magnate, una cosa del tipo Attento-A-Come-Predichi-In-Pubblico. Sfortunatamente, la storia non ricorda quale fu la reazione di De Laurentiis quando Lynch accettò al volo il contratto. A quanto pare, l'Innocente Idealismo di Lynch era sopravissuto a "Dune", egli importavama meno di soldi e budget di produzione che di riprendersi il controllo della sua fantasia. Lynch non soltanto scrisse e diresse "Velluto blu", ne scelse anche il cast, montò il film, e scrisse persino la colonna sonora originale assieme a Badalamenti. Il sonoro e la fotografia furono curati da Alan Splet e Frederick Elmes, due amici intimi di Lynch. E "Velluto blu" fu, di nuovo nella sua intimità visiva e nel suo tocco inconfondibile, un film visibilmente fatto in casa (dove la casa era, ancora una volta, la testa di David Lynch), fu un successo a sorpresa, e resta uno dei grandi film americani degli anni ottanta. 

(David Foster Wallace, "Tennis, tv, trigonometria e tornado e altre cose divententi che non farò mai più")

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