Yusupha Joof aveva trentacinque anni. Lavoratore, brava persona, si spaccava la schiena nei campi, nei nostri campi, probabilmente per una miseria o, come tanti altri, persino sotto ricatto.
Stanotte è morto bruciato vivo, in Puglia. Viveva in una baraccopoli, stipato con decine di altri braccianti. In condizioni miserevoli, vergognose, da farci dubitare che si parli di Europa, Italia, XXI secolo. A causa di un piccolo incendio, la sua baracca è andata a fuoco ed è morto tra le lamiere che sono diventate un forno.
Yusupha è l'ennesima vittima di un sistema marcio, quello del caporalato basato sullo schiavismo. Gente sfruttata come bestie da soma e costretta a vivere in ghetti, a gelare d'inverno e bruciare d'estate. Strumentale solo a far guadagnare di più alcuni proprietari terrieri e aziende agricole che con gente disperata hanno l'occasione di ammortizzare i costi d'impresa, lucrando sulla sofferenza altrui e avvalendosi, spesso, di minacce, botte, persino torture.
Lo sfruttamento, in Italia, riguarda tutti.
Perché a chi ti mette nei campi per pochi euro che tu sia bianco, nero, fucsia o lillà non gliene frega niente. Ciò che guardano è la fragilità.
Sradicarlo si può, basta fare controlli a tappeto, continui, sistematici. E se ti trovo con dei braccianti presi con caporalato, tu un'azienda non la apri per un secolo.
Leonardo Cecchi
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