A Salvatore Bennici immobilizzarono il figlio Vincenzo davanti agli occhi. Volevano che guardasse mentre lo ammazzavano. Quello gridava, voleva soccorrere il padre, ma non ci fu niente da fare: i mafiosi gli esplosero quattro colpi alla testa, crivellandogliela. Fu uno spettacolo orrendo per il figlio, che rimase solo in quel cantiere con il padre morente con la testa ridotta a brandelli.
La colpa dei due, padre e figlio, era stata quella di essersi opposti al pizzo. Erano proprietari di una piccola azienda edile, di quelle che in Sicilia tiri su con enorme fatica, se non sei amico degli amici. Loro c’erano riusciti dopo anni di sacrifici, di lavoro duro. Di imprenditore che scende in cantiere con l’operaio.
Poi era arrivata l’occasione per un piccolo salto: un subappalto per un acquedotto. Immediatamente erano arrivate le richieste di pizzo. Telefonate minacciose, escavatori bruciati, porte di casa date alle fiamme. Salvatore disse no e denunciò tutto, sistematicamente. Non si piegò e non mollò.
Per questo lo ammazzarono. Era il 25 giugno del 1994. E vollero che il figlio guardasse affinché si piegasse.
Salvatore Bennici, come Libero Grassi, pagò il coraggio e l’onestà con la vita.
E in questo giorno, il ricordo va a lui. Eroe civile di cui va tenuta in vita la memoria.
Leonardo Cecchi
Nessun commento:
Posta un commento