“Nella capitale di un regno della Cina, ricchissimo e molto esteso, il nome del quale ora non ricordo, viveva un sarto che si chiamava Mustafà, senz’altra distinzione se non quella che gli dava la sua professione. Il sarto Mustafà era molto povero e il suo lavoro gli procurava appena quanto era necessario per mantenere se stesso, sua moglie e un figlio che il cielo gli aveva dato. Il figlio, che si chiamava Aladino, era stato allevato con trascuratezza ed era un monellaccio.”
Inizia così la versione "cinese" e probabilmente originale della fiaba di "Aladino e la lampada meravigliosa", fiaba che noi conosciamo all'interno della raccolta di fiabe orientali e che siamo abituati a veder contestualizzata a Baghdad. Anche in questa antica versione c'è il genio, anzi ce ne sono tre, c'è l'anello magico, e c'è il tappeto volante. La provincia cinese è quella dello Xinjiang, dalle cui oasi: Khotan, Kashgar e Yarkand uscivano tappeti meravigliosi, i quali confluivano poi a Samarcanda, nome quest' ultimo con il quale i mercanti attribuivano ogni manufatto annodato proveniente da quelle province e di cui la città di Samarcanda era divenuta centro di raccolta e smistamento.
Antonine Galland apprese di questa favola in uno dei suoi viaggi, da un cristiano maronita di nome Hanna Dyab, originario della città di Aleppo, in Siria.
È pertanto plausibile che il tappeto volante originale di Aladino fosse uno sfavillante manufatto di "Samarcanda" e non un tappeto di area mediorientale.
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