sabato 9 marzo 2024

Alì vs Frazier

 


- "Tu vuoi battermi? Tu credi di poter battere me Joe? Non lo sai chi sono? Non lo sai che c'è Dio con me stanotte?"

"E allora vuol dire che Dio prenderà un sacco di calci in culo stasera..."


Era il giorno della #FestadellaDonna del 1971. Sarebbe stato il decennio delle donne, in Italia e non solo. Avrebbero fatto sentire la loro voce, chiesto più diritti, dignità ,di decidere del loro corpo, della loro vita. E di donne in quell'arena, al @MaMadison Square Garden ce n'erano a migliaia. Erano star di Hollywood e della televisione, cantanti, modelle ed aspiranti tali, pupe a caccia del pollo da spennare, vecchie signore che avevan visto decine di match, mogli e fidanzate che accompagnavano le dolci metà, prostitute nell'esercizio del loro mestiere, figlie che avevano seguito i padri, lavoratrici che avevano messo da parti i soldi, qualche giornalista. Parevano delicate ed ingenue, tranquille, ma, stando ai testimoni, avrebbero urlato più della controparte maschile, tifato il doppio. Ed erano di ogni colore, razza e religione, come tutti i 20455 paganti quella sera. Come lo erano i milioni di telespettatori che si mangiavano le unghie davanti agli schermi, nei cinema dove veniva proiettato il match. Non era un match di boxe come gli altri, non poteva esserlo per la caratura dei protagonisti, per ciò che si giocavano su quel ring, per ciò che rappresentavano. E ancora oggi quel match, rimane uno dei più grandi eventi sportivi della storia dell'umanità. Era il Match del Secolo.


Da una parte lui, il Labbro di Louisville, la Farfalla, The Greatest, il Più Grande si faceva chiamare, l'ex Cassius Clay diventato poi il Principe Nero: #MuhammadAli. Era velocità, era tecnica, era una lingua che tagliava come il suo jab, era mascella di granito e resistenza, era la farfalla che pungeva come un ape, battiti uomo battiti.

Mai si era visto un uomo alto 190 cm e pesante 95 chili muoversi così, usare uno stile così unico, annichilire gli avversari con tanta maestria. Lui danzava, teneva sempre la distanza, anticipava si spostava, ti bombardava senza che si riuscisse a toccarlo. Ma sapeva come pochi altri rifugiarsi nelle corde, lavorare da vicino, sfiancarti, rubarti le forze, attendere. Era il messia degli ultimi, il Re senza Corona che era stato bandito dagli Dei Oscuri dell'America che mandava al macello i suoi figli in quel Vietnam dove lui non voleva andare. Ora tornava, dopo aver battuto Bonavena e Quarry (pure senza brillare) ed essersi ripreso il diritto di combattere su quel ring.

Tornava dall'esilio portando con sé le preghiere dei liberal, della Hollywood e aristocrazia americana illuminata, dei poveri e disperati dei ghetti, di chi sentiva di vincere quando vinceva anche lui.


Dall'altra l'ex figli di contadini a cui una frattura in giovane età aveva modificato il braccio sinistro. Non poteva più stenderlo ma in compenso era diventato il gancio sinistro più letale mai visto tra i pesi massimi. #SmokinJoeFrazier quello che aveva se l'era guadagnato con il sangue ed il sudore. Aveva fatto la fame, aveva sofferto razzismo e ingiustizie tutta la vita, molto più di Alì, e godeva del rispetto da parte di ogni pugile. Aveva battuto tutti, si era preso la cintura di campione del mondo. Ma "l'altro" doveva ancora affrontarlo. Joe era un pitbull, un infighter, uno di quelli che ti aggrediva, ti tagliava la strada, ti massacrava con mitragliate senza sosta, non si fermava mai. Lui era cuore, coraggio, anche troppo, era potenza assieme ad intensità. Non aveva il talento dell'avversario, non aveva il carisma in grado di far convergere su di sé l'amore di una fetta di mondo. Ma aveva dentro una fame, una voglia di rivincita più forte di ogni altra cosa. Senza volerlo era diventato il paladino degli "altri", dei bianchi conservatori, di quei pochi afroamericani che non amavano Alì, dell'America che odiava quello spilungone, che pregava perché perdesse non importa come. Non temeva né morte né dolore.


Erano amici, erano avversari, si amavano, si odiavano, si rispettavano, si detestavano. Joe aveva aiutato Alì economicamente, aveva convinto il Presidente Nixon a ridargli la licenza, si erano accordati per fare qualche sceneggiata per lanciare l'incontro. Si erano trovati in macchina 8 mesi prima, avevano fatto un viaggio e si erano parlati, di tutto e di tutti, si erano messi in bella posa di fronte ai giornalisti e organizzato un falso tafferuglio in una palestra. Smaniavano dalla voglia di combattere l'uno contro l'altro, in nome di quel qualcosa che oggi nella nobile arte pare perduto: capire chi era il più forte. Alì trattava Joe da pari, ne rispettava l'umanità, il coraggio, la lealtà.

Ma tra Pesi Massimi l'amicizia totale è rara. Erano divisi dal voler essere il migliore, dal voler primeggiare. Parte il 1° round e Alì parte senza mostrare di aver sofferto il lungo stop, fa viaggiare le gambe, il jab taglia come al solito, mosso dalla mano del maestro, il diretto destro idem. Frazier è come sempre un diesel, parte piano, perde i primi round, ma mano a mano si infila nella sue combinazioni, comincia a carpirne il ritmo, a sincronizzarsi. Alla fine del 3° lo centra con un gancio sinistro alla mascella che si sente per tutto il Garden. Ed è un monito. 


Dal 4° round lo costringe alle corde, lo bombarda ai fianchi, allo stomaco, poi quando è il momento mira alla testa. Il Labbro di Louisville accusa la stanchezza, sono colpi che gli tolgono fiato, che lo costringono (lo ha capito) di volta in volta a muoversi più lentamente, più pesantemente. Non smette mai di colpire Joe, la cui faccia si gonfia, ma non ne arresta mai l'azione, anzi, questa cresce. L'arbitro Mercante ha il suo daffare per dividerli, Alì usa il peso per cercare di stancare il rivale, gli abbassa la testa. Tutto inutile, Joe non si ferma. Alì reagisce ma i suoi pugni sembrano non aver effetto, poi all'11° incassa un gancio sinistro terrificante e si ritrova a terra, ma l'arbitro incredibilmente non fa partire il conteggio, dà all'ex Campione il beneficio di una scivolata irrealistica. I round finali son combattuti ma Joe è sempre una frazione più preciso, più deciso, più intenso, più affamato. E' la sua notte, l'ha attesa per tutta la vita, da quando lavorava nei campi e aveva il poster di Joe Louis in camera, è lì per tutti gli anni passati a morire di fame a Philadelphia quando l'allora Cassius Clay era già una celebrità, per quando aveva vinto come lui l'oro olimpico e tornato a casa non aveva trovato che vuoto e silenzio.


Aveva perso il lavoro al mattatoio, i figli facevano la fame, si era salvato perché un giornalista lo aveva riconosciuto, gli aveva parlato, aveva pubblicato un articolo su di lui. E allora qualche sponsor era arrivato, aveva ricominciato a combattere. Al 15° round Alì abbassa troppo il destro per cercare un uppercut. Era un errore che faceva spesso e stavolta venne punito come mai prima d'ora. Joe se ne accorge, lo anticipa, e fa partire non un gancio ma IL GANCIO. E Alì, tra le grida del Garden finisce a terra, con la testa che si gira di 180 gradi a mezz'aria. Ancora oggi non si capisce come si sia rialzato, come sia riuscito a finire in piedi il round che lo vede martellato di cazzotti, ma ce la fa. Il verdetto è unanime alla fine del round. Frazier batte Alì ai punti, conferma la cintura di Campione del Mondo. I due si scambiano qualche parola a fine incontro. Sono entrambi esausti, Alì barcolla, la testa è viva ma il corpo è morto, Joe ha la faccia come un melone. Alì lo guarda, aveva detto deridendolo: "Se vincerai mai contro di me Joe, io mi metterò a strisciare e dirò al mondo - Joe Frazier mi ha battuto! Joe Frazier è il più grande di tutti i tempi! - ". Joe gli legge nella mente, gli mette una mano sulla spalla "Non devi strisciare, noi non dobbiamo mai strisciare. Sei un grande pugile".


Alì non riconoscerà la sconfitta, dirà di esser stato derubato, che ha messo più colpi. Sincerità, livore o tattica mediatica? Chissà. Ma li comincerà l'odio di Joe verso Alì.

Per Joe invece in ospedale si mette male, ha un collasso, il fegato fa i capricci, il grande Bert Sugar in ospedale telefona ad Alì e gli dice che in corsia gira la voce che Smokin Joe sia morto. "Se è vero" gli risponde Alì "io non combatterò mai più". Ma è una fake news, Joe si riprende dopo qualche giorno. Si sarebbero incontrati altri due volte Ali e Joe, e possiamo dire che entrambi siano serviti all'altro per tirare fuori il meglio, ma anche che si siano distrutti a vicenda. Ma rimane, a tanti anni di distanza la definizione di "Match del Secolo". Quel match del 1971 è e rimane la boa attorno a cui ruota una rivoluzione semantica della boxe senza precedenti.  Perché quella sera dell'8 Marzo, due uomini salirono su un ring e dettero tutto. Ma non combatterono per se stessi soltanto. E nella boxe, lo sport che per Hemingway è quello a cui "tutti gli altri vorrebbero assomigliare" più di vittorie o sconfitte fin dall'alba dei tempi conta solo questo.


8 Marzo. New York, anno del Signore 1971.

La boxe e lo sport cambiavano per sempre.

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