È interessante e curiosa la storia delle parole con cui i nostri progenitori hanno chiamato questa strana gallina arrivata dalle Americhe. In Toscana cominciarono a chiamarlo "tacchino", perché le sue piume erano screziate, piene di tacche appunto, ossia di macchie, come si diceva allora. E allo stesso modo i piemontesi lo chiamarono "pitto", ovvero dipinto, e ancora adesso qui a Parma lo chiamiamo "pit". Siccome però nel Cinquecento arrivarono qui in Europa i tacchini, i pomodori, il mais, le patate - e l'oro naturalmente - prima che avessimo ben chiaro da dove davvero provenisse tutto questo ben di Dio, il tacchino in Francia fu chiamato "coq d'Inde", ossia gallina d'India, da cui - per crasi - l'odierno termine francese "dindon", in Inghilterra "turkey", come se venisse dalla Turchia - e anche il mais noi lo chiamiamo ancora granoturco - e nei paesi di lingua tedesca "Calecutischerhahn", ossia gallo di Calcutta. Quello che era strano, esotico, mai visto prima, doveva essere o turco o indiano, perché non sapevano di preciso né dove fosse la Turchia né dove fosse l'India. In fondo non lo sapeva di preciso neppure Cristoforo Colombo tanto da "buscar el levante por el poniente".
A dire la verità non è che noi sappiamo poi molto di più di quei nostri bis-bis-bisnonni, che adesso ci sembrano così ingenui. Forse riusciamo a indicare su un mappamondo che quel rettangolo a fianco della Grecia è la Turchia e che quel triangolo rovesciato più a destra è l'India, ma ci fermiamo lì, perché la storia che ci insegnano a scuola, dalle elementari all'università, è rigorosamente eurocentrica e tratta poco e male le vicende di quei paesi che escono dalla nostra visione così schiettamente provinciale.
Almeno noi alla fine abbiamo scoperto che il tacchino non è né turco né indiano, ma americano.
E gli americani oggi festeggiano, davanti a un tacchino, il Thanksgiving day, il Giorno del ringraziamento. Ovviamente i tacchini hanno un po' meno da festeggiare. A parte quello più fortunato che viene "graziato" dal Presidente. Si tratta di un rito che si ripete da qualche anno: un tacchino - a volte una coppia - viene risparmiato dal Presidente in carica, sotto gli occhi delle telecamere, e, invece di essere ripieno e cotto al forno, viene inviato nella tenuta di Mount Vernon, in Virginia, nella casa dove è nato Washington. In genere il tacchino fortunato muore poco dopo, perché prima del Ringraziamento - così come avviene a tutti gli esemplari della sua specie - è stato ingrassato oltre i limiti della sua struttura ossea: il tacchino è carne da macello, modificato artificialmente per diventare sempre più grosso, con un petto sempre più sviluppato e quindi la grazia presidenziale non fa che prolungare la sua agonia. Comunque gli americani credono - o si illudono di credere - che quel tacchino sia più fortunato dei suoi simili.
Ma in fondo, come ci hanno insegnato Cochi e Renato: "Puli puli puli pu fa il tacchino" con tutto quello che segue...
Luca Billi
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