venerdì 26 gennaio 2024

Buchi Bianchi.

 


“Marsiglia. Hal è nel suo studio, in piedi davanti alla lavagna. Sono seduto alla scrivania, nella grande sedia che si inclina, i gomiti sul tavolo, gli occhi puntati su di lui. Inizia così la mia avventura con i buchi bianchi. 


Hal è americano, credo abbia un po’ di sangue cherokee. Forse è quel sangue che gli dà la dolcezza con cui stempera la brillantezza delle sue idee. Gentile, preciso con il suo fare tranquillo, da ragazzo molto maturo. Sta cercando di dirmi qualcosa che non capisco. Un’idea su cosa possa capitare a un buco nero nel momento preciso in cui finisce la sua lunga vita.


Ricordo le sue parole: Le equazioni di Einstein non cambiano se ribaltiamo il tempo; per avere un rimbalzo rovesciamo il tempo e incolliamo le soluzioni.


Sono confuso. Poi d’un tratto vedo cosa intende. Wow! (Io sono italiano, non resto tranquillo). Vado alla lavagna e faccio un disegno. Mi batte forte il cuore.

Ci pensa: sì, più o meno questo. Io: è un buco nero che si trasforma in bianco per effetto tunnel all’interno, ma all’esterno può restare eguale. Ci pensa ancora un po’: sì..non so..cosa dici, potrebbe funzionare?


Ha funzionato. Perlomeno nella teoria. Sono passati nove anni da quella conversazione nella luce chiara di Marsiglia. Sull’ipotesi che i buchi neri si possano trasformare in bianchi ho continuato a lavorare. È un’idea che mi sembra bellissima. 


È l’idea che voglio raccontare. Non so se sia giusta. Non so neppure se i buchi bianchi esistano veramente, nella realtà.

Quando studiavo a Padova per il dottorato, Mario Tonin ci insegnava fisica teorica: ci diceva che secondo lui ogni settimana il buon Dio legge il Physical Review D, la celebre rivista di fisica. Quando trova un’idea che gli piace, zac! La mette in pratica, riarrangiando le leggi universali. 


Se così fosse, mi piacerebbe che Tu lo facessi.”


Carlo Rovelli nel suo libro Buchi Bianchi.

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