MASADA 1565 CAPITOLO 13
MASADA n° 1565 ROMANZO-
UNA SECONDA POSSIBILITA’- CAPITOLO 13
Viviana Vivarelli
Omaggio a Elisa – L’amore
è più forte della morte- I figli. Un mistero
Ho imparato a
capire
che il dover
morire
fa parte della
vita.
Che ogni giorno è
morire
in ogni battito del
cuore.
Ed è con tenerezza
infinita
che la comprensione
acquista
mi costringe ad amare la
vita.
(Elisa)
Oggi sono molto contenta. Ieri ho ricevuto quattro
persone in pena e spero di aver dato ad ognuna un po’ di speranza, fiducia nella
vita, coraggio per andare avanti. Mi spiace di aver risposto male a una persona
che voleva solo vedermi. Rispondo sempre male a chi vuole solo vedermi come se
fossi una curiosità da andare a trovare o un pezzo da museo da visitare, ma devo
moderare anche questo. Sono io che sbaglio. Ci sarà un senso anche nella sola
curiosità e potrebbe essere un tramite per dare qualcosa di me anche così. Devo
rendermi conto che ogni cosa ha il suo senso e non devo respingerla solo perché
non lo vedo. Ma migliorerò.
Proseguo le mie cure a distanza sull’amica operata di
cancro che è sotto chemio e sul signore di 88 anni che non ho visto mai, ma che
curo sulla foto e che per Enrico è come un secondo padre. Anzi oggi l’ho sentito
per telefono e mi ha detto che sta bene con una bella voce calda e gentile. La
mia amica, poi, è andata a una festa e ha ballato il rock and roll. Sono due
miracoli. Non li ho fatti io. Li ha fatti la vita,
Ma io stessa ho sperimentato i miracoli della vita.
Qualche volta sono i miracoli della morte, ché poi morte e vita non sono due
opposti ma l’una confluisce nell’altra e solo quando non ci crediamo non
riusciamo a vederne la continuità.
Ho avuto anche una lettera di insulti per quello che
scrivo, ma non mi ha tolto il senso di aver fatto qualcosa di bene, anzi mi ha
ridimensionato e mi ha fatto capire quanto è difficile vivere bene e come si
debba accettare anche di essere insultati se si cerca di aiutare gli altri,
perché il mondo ha bisogno di tutti e contiene tutto, ma va bene così. Va bene
così.
Quando presi a sperimentare la scrittura automatica,
il messaggio in genere riguardava me; l’angelo mi dava consigli su come condurre
la mia vita ed era rigoroso e severo. Questi angeli furono diversi e sembravano
succedersi secondo una sequenza connessa alle fasi della vita di cui capii ben
poco. A volte chiedevo per altri e mi furono dette cose che non sapevo, anche di
uomini e donne di cui non conoscevo nulla, nemmeno il nome... Qualche volta i
messaggi furono belli, ma ce ne fu uno…
Prima però, devo ricordare il primo cerchio che tenni
nella mia casa, quando iniziò il mio lavoro con gli adulti e si formò questo
gruppo bellissimo con cui realizzammo tutti un grosso lavoro di coscienza e di
evoluzione. Passavamo molto tempo insieme, mezza giornata la settimana, più
tanti incontri bellissimi a casa dell’una o dell’altra o in montagna o al parco,
e scandagliammo insieme con grande entusiasmo vari campi del sapere, partendo
dalla filosofia, poi la psicologia, la psicoanalisi… ma più di tutto parlammo
dei nostri problemi che erano quasi sempre problemi della relazione famigliare.
Il gruppo durò otto anni e divenne per noi una
seconda famiglia, provocando fenomeni psichici sincronici notevolissimi. Come
avviene per due elettroni che hanno fatto un stesso lavoro, fare lavoro d’anima
creò un gruppo telepatico, perché cosa c’è di meglio che piangere insieme ridere
insieme, mangiare insieme e cantare insieme, per essere una cosa sola? Per cui
le nostre onde mentali entrarono in fase in modo armonico, amplificandosi, e
capitava che durante la settimana una avesse un problema, un’altra lo sognasse,
la terza portasse un libro che conteneva la soluzione o si fosse imbattuta in
una storia, una poesia, una frase che lo riguardava. Anche i sogni presero ad
intrecciarsi come se ci fosse una sola mente che ci guidava in una armonia
crescente e fu in questo gruppo che apparvero spontaneamente gli angeli. Ci
furono anche vari fenomeni paranormali che alcune avvertirono simultaneamente,
non tutte, ma alcune sì.
Su questo gruppo io scrissi, come ho detto, otto
grossi libri di analisi, otto diari in cui riportai ogni loro osservazione e
variazione. Loro li leggevano e questo serviva a rivedersi oggettivandosi,
producendo un fenomeno di amplificazione del corso evolutivo, una specie di
analisi collettiva e di evoluzione collettiva.
Una delle persone più belle del gruppo, amatissima da
tutti, fu Elisa. Non so nemmeno dire se fosse bella. Piccola e
mobile, esile e acerba, con un’aria da eterna ragazzina. Ma per noi è sempre
stata bellissima.
Ho la sua foto davanti che mi sorride col suo sorriso
dolce e ammiccante ed è come averla vicina. Minuta, col visino triangolare e i
capelli corti e biondo chiaro, ricci come quelli di un bambino. L’amica per
antonomasia, la migliore delle creature e la più deliziosa e accogliente
delle padrone di casa.
La conobbi a casa di Graziella che ci faceva provare,
mi sembra, qualche sua ginnastica rilassante, e, dopo, mentre aspettavamo
l’autobus su un marciapiede di Via Saragozza, la invitai ai miei ‘incontri di
filosofia’. Ma lei si schermì dicendo che la filosofia non la interessava. Ma
non era vero.
Poi ricevetti uno strano biglietto in cui si firmava
‘piccolo fiore’, che mi inquietò perché odio le lettere anonime e non immaginai
nemmeno che fosse lei. Infine si decise a venire, convinta dalle altre. E da
allora non ci lasciò più …finché fu in vita e diventò uno dei pilastri portanti
del nostro cerchio di amiche.
Era del Leone, gentile e solare, innamorata come
tutti i segni Leone, del mare e del caldo, amante dei viaggi che compiva
prevalentemente in camper col marito Gino, un grosso orso ruvido e a tratti
volgare, con la fronte bassa e i lineamenti pesanti.
La sua casa era molto bella, piena di oggetti strani acquistati nei viaggi, una casa dei ricordi, circondata da un giardino verde. Bravissima cuoca, di una accoglienza e gentilezza straordinarie.
La sua casa era molto bella, piena di oggetti strani acquistati nei viaggi, una casa dei ricordi, circondata da un giardino verde. Bravissima cuoca, di una accoglienza e gentilezza straordinarie.
Ma la vera casa era quella di montagna, una casuccia
sull’Appennino, in un piccolo gruppo di case rurali, fuori paese, dove andava ai
fine settimana e dove andammo a volte anche noi, la casa delle fate. Piccola e
angusta con le finestrelle di un tempo a inferriate, il camino, e mobili vecchi
e d’accatto, vecchie seggiole impagliate, panche, il lungo tavolo esterno sotto
la pergola d’uva, il prato antistante malcurato, il bosco di castagni vicino, il
panorama quieto. Niente di pregiato o spettacolare, ma proprio per il suo sapore
di tempi andati e il suo carattere rustico e senza pretese, un luogo dove
sbracarsi, essere se stessi, sedersi sullo scalino o sdraiarsi nell’erba,
mangiare tutti insieme padellate di cose deliziose, salvia appena colta e
fritta, spaghetti a olio e ajo, salsicce alla griglia, bevendo vino rosso e
imbriacandosi un poco, tra il sole e l’ombra cangiante della pergola, sotto cui
era bello cantare a squarciagola o ridere a crepapelle o sognare come cullati
dall’insieme odoroso di rosmarino e mentuccia, tra le mosche e gli uccellini,
nella brezza leggera o nel calore del sole che irradia, tra una fauna strana di
cani, gatti, galline, persone bizzarre pescate chissà dove, veri soggetti da
esame psichiatrico, ché lei tutti accoglieva con la stessa cordialità e
gentilezza e metteva tutti insieme, il grande primario col contadino, la ragazza
rumena con la vecchia duchessa, l’intellettuale con la casalinga…
Dolcissima Elisa, di una disponibilità e cordialità
infinita, quasi infantile nei suoi entusiasmi e nei suoi vestiti da bambina sul
corpo esile, lieta e aperta alla gioia, sempre positiva, anche quando era
triste, anche quando doveva essere disperata.
Era una cuoca straordinaria, capace di trasformare un
pugno di erbe di campo in una frittata deliziosa e profumata o di creare una
complicata torta nuziale impalpabile e candida come una nuvola da grand’Hotel.
Era la persona perfetta che faceva sentire a suo agio anche il ragazzotto non
sbocciato e infelice o la nevrotica di turno. Tutti con lei si rilassavano,
stavano bene, erano a casa.
Il marito accanto a lei spiccava per contrasto. Scuro
quanto lei era bionda. Grosso quanto lei era piccolina. Grossolano quanto lei
era aerea e aggraziata. Cosa avesse unito due esseri così diversi rrimase sempre
un mistero.
Venne anche lui ai corsi qualche volta. Ci faceva
ridere con barzellette pesanti, spesso in dialetto bolognese, che dovevano
averlo aiutato quando faceva il rappresentante di mattonelle; non so quanto
seguisse i nostri discorsi filosofici, ma c’era in lui come una violenza
trattenuta, uno sbandamento genetico, da manigoldo, e spesso ci sbalordiva con
racconti su se stesso da cui emergeva una mancanza di scrupoli e una furbizia
basse e meschine. Innamoratissimo della moglie, era però capace di farla
soffrire crudelmente e di approfittarsi di lei, che riusciva comunque ad
addolcirlo e migliorarlo. La faceva piangere spesso, perché diceva che dopo
“Rendeva di più sessualmente!” Lei gli rispondeva: “Amami meno, ma amami
meglio!”
Eppure quell’uomo grossolano e corpulento faceva dei
sogni bellissimi e poetici. Ne ricordo una che chiamai “il sogno in forma di
mandala”.
"Sono in un monastero cistercense, giallo dorato, col
sole che lo illumina, vedo il giardino con in mezzo con la
fontana, 4 lati e il portico, in mezzo il vecchio pozzo, tutto è
bellissimo, restaurato; dal portico si aprono, come occhi illuminati dal sole,
le varie sale piene di quadri in oro, bellissimi, finestre bifore e trifore,
lavorate. Sfarzo incredibile, cuscini, divani.”
Per quanto il sognatore apparisse come un uomo
grossolano e aggressivo, attaccato al bere, al mangiare e al sesso, il sogno era
molto più evoluto di lui, un mandala dove abbiamo la centralità quadrata
dell'inconscio, il luogo della calma e della gioia. É bellissimo anche l'insieme
di stanze (possibilità) attorno a questo Sé quadrato. Gino ha
sognato la sua immagine interiore, la sua anima. La quaternità è
l'elemento stabile dell'universo. Il sogno è arioso, aperto, la fontana
zampillante! Quale migliore immagine dell'anima che risorge, rimessa a nuovo,
antica e bella
Gino era un uomo spavaldo e privo di scrupoli, ma,
finché lei fu in vita, questa specie di vulcano in procinto di erompere fu in
grado di condurre un’esistenza normale e di sembrare una persona perbene. Ma,
quando lei morì, la sua vita prese strade strane e storte. Cominciò a bere fino
a cadere in crisi etiliche e prese a fare frequenti viaggi in Brasile dove
cercava un piacere torbido e trasgressivo con minori di entrambi i sessi, cosa
di cui al ritorno si vantava con gli amici di Elisa, così scandalizzati dalla
sua pesantezza greve e insopportabile che alla fine smisero di invitarlo, ché
anche quegli inviti glieli avevano fatto per memoria di lei.
Elisa aveva due figli, che erano già grandi quando la
conobbi, ed erano enormemente diversi da lei, senza somigliare nemmeno al padre,
la ragazza grezza e quasi maschile, brusca e sgarbata, il maschio inquieto,
senza pace, con sfuggenti occhi scuri, altrettanto sgarbato e indisponente. E’
incredibile a volte quanto i membri di una stessa famiglia non si somiglino
affatto, come isole separate e senza analogie. Se Elisa avrebbe potuto aprire
una scuola per insegnare la grazia e l’accoglienza, i figli sembravano alieni
dalla gentilezza e dalla cordialità della madre, come scogli rinserrati in se
stessi in una cupezza angosciante.
L’umanità e la dolcezza di Elisa, invece, erano tali
che chiunque la conosceva si sentiva in diritto di disporne continuamente, di
invaderla, di sfogarsi con lei in ogni momento della giornata, di usarla come
psicologo o confessore. E lei con tutti era accogliente, sempre
disponibile, senza dare mai segni di stanchezza, anche con i più paranoici, e
nel gruppo ne avevamo, capace di dare giusti consigli, di alleggerire una
situazione pesante, di dire un motto spiritoso per sdrammatizzare una tragedia,
per ridurre a dimensioni normali un dramma.
Credo che di lei ricordiamo soprattutto la sua
gaiezza, l’incredibile leggerezza che portava con sé come fosse una
farfalla.
In verità non aveva avuto una vita facile. La madre
era morta presto di leucemia e lei stessa, giovanissima, aveva avuto questa
malattia terribile, e, in quel tempo, era stata l’unica sopravissuta delle
malate di leucemia all’ospedale S. Orsola. La sua guarigione era stata
considerata una specie di miracolo. La vita le aveva dato una seconda
possibilità. E lei l’aveva usata al meglio, per il bene degli altri.
Salvata per vero miracolo da quel male tremendo, si
era dedicata alle famiglie dei ragazzi leucemici dell’ospedale S. Orsola e le
ospitava spesso, quando venivano dal sud, e andava a trovare i ragazzi malati
presentando se stessa come una guarigione possibile. Era in costante rapporto
con dei medici del S. Orsola che invitava alle sue favolose cene. Ma era anche
l’ancora e la salvezza di una serie di sbandati, isterici, complessati,
nevrotici che accoglieva e ospitava con la massima gioia, come se fossero delle
perle.
Noi tutte amavamo Elisa per la sua gaiezza costante,
la sua luce allegra e sbarazzina, la capacità di accoglierci e ascoltarci ogni
volta che avevamo dei dispiaceri e di saperci portare alla fiducia e alla
speranza. Ci accoglieva anche nella sua casina rustica di montagna e penso
spesso a quelle domeniche bellissime, nel grande prato o sotto i castagni, al
sole, e a come ci sentivamo spensierate e felici, ritornati bambine.
Ricordo che una volta, a tavola, eravamo mezze
ubriache e prendemmo a cantare pezzi d’opera, senza sapere le parole e nemmeno
la musica, cosa che ci faceva ridere ancora di più, in un tripudio generale e
Pia, che era la più compassata e perbenista, si sbracò togliendosi la camicetta
e rimanendo in reggiseno, persa in una totale felicità e cantando completamente
sciolta e a suo agio come non l’avevo vista mai.
I suoi pranzi di Bologna erano memorabili, li
preparava tre giorni prima ed erano un tripudio di dolcezze, non erano pranzi ma
vere espressioni d’amore, tripudi di bellezza. Ma quando tutto era pronto e
perfetto, con i calici che scintillavano sulla candida tovaglia, e le luci sulle
porcellane chiare e i fiori deliziosi del centrotavola e i fiocchetti di seta
rossa attorno ai rotolini con i pensieri d’amore accanto al tovagliolo,
e le candele accese, e tutto il salotto lustrato a fondo e lucente, e
tutto era perfetto nei minimi particolari, lei appariva fresca e in ordine,
senza traccia di stanchezza, come fosse appena arrivata e non avesse corso,
cotto e preparato per tre giorni, pronta ad accogliere il nostro abbraccio. Mai,
nemmeno in tre vite, sarei capace di preparare un pranzo di gala come faceva
lei!
L’ultimo giorno del 1995 ero in montagna con Elisa, a
casa di sua sorella, con vari amici, facevamo festa per la fine dell’anno e dopo
mezzanotte io feci un po’ la maga e predissi il futuro dei presenti, facendo
estrarre ad ognuno una runa da un sacchetto di velluto rosso e leggendo poi il
responso da un libretto altrettanto rosso, molto carino, scritto da uno
psicologo americano, che forse di rune celtiche non sapeva molto ma che
sicuramente sapeva scrivere cose poetiche e accattivanti.
In genere i messaggi erano gradevoli e pieni di buoni
pensieri ma, quando fu il turno di Elisa, il messaggio che uscì fu terribile,
venne una runa di morte, io non sapevo nemmeno che ce ne fosse una e restai
scioccata, tra lo sgomento dei presenti, l’atmosfera della festa rovinata. Io,
nascondendo male la mia angoscia, presi a dire a Elisa che doveva assolutamente
farsi fare un’analisi del sangue. Lei era pallidissima. Mi ascoltò muta. Grazie
ai suoi amici medici del S. Orsola, pochi giorni dopo il sangue era stato
analizzato e il responso fu: di nuovo leucemia.
Cominciarono così mesi terribili. Aveva
già avuto la leucemia da giovane e sua madre ne era morta. Ora
dopo 17 anni: la recidiva.
Lunghe chemio la distrussero, dentro e fuori
dall’ospedale. Quando stava un po’ meglio veniva ancora da noi, minuta e come
franta dalla chemio, senza capelli, piccolina, col suo zucchettino bianco fatto
all’uncinetto in testa, i muscoli ridotti a uno stato larvale, le forze quasi
inesistenti. Alla fine tentarono il trapianto del midollo spinale
prendendolo dalla sorella, ma non servì a nulla.
Nelle lunghe giornate d’ospedale si salvava solo con
la musica e la poesia. Diceva che la sua anima si spostava in luoghi
meraviglioso. Nella spossatezza viveva rari momenti d’estasi.
Letto n. 28
Da una settimana
.. da quando?
Il grigio spinge ai vetri.
Entra nella stanza
toglie i colori
ma non confonde
la mia anima.
OKEI IL PESO E’ GIUSTO
Massa muscolare ben distesa
lasciata ad ammollare mollemente
con Cortison-Urbasan bollente
per una settimana
I risultati sono garantiti.
I muscoli son spariti
e modella sottile evanescente
diventata.
Inizia la sfilata:
modello Giuditta.
Lo strascico trattiene la caduta
lungo la passerella di sfilata.
Riprovo col verde mio pigiama
a strisce e striscio sulla stuoia
serpente boa, palude, biscia.
L’ultima prova, la più dura:
camicia bianca trasparente
d’oro, piena di nastri e lacci
Mi tiran due bastoni
infiocchettati come due colonne
di un tempio decaduto.
Effetto assai sicuro!
Il pubblico presente mi declama
Domani ripeteremo la serata!
Dieta
Urbason cortisone= 40 mg. Al mattino e 40 mg. La
sera
per un mese.
Continuare il mantenimento con 60 mg. Il
giorno
Si consiglia per gli ottimi risultati ottenuti in
breve tempo.
In una delle fasi di miglioramento, era venuta anche
ad un corso di ginnastica, col povero corpicino che si reggeva a stento, e il
suo zucchetto fatto all’uncinetto, bianco, sulla testa ormai senza capelli.
Sorrideva. Sempre.
Ma via via era diventata un mollusco come non avesse
più ossa. Non si reggeva più in piedi. Non riusciva a muoversi, nemmeno per
andare a letto e restava sdraiata sul divano del salotto esangue. Noi andavamo a
trovarla e, anche in quelle condizioni, riprendevamo come degli egoisti la
vecchia abitudine di raccontarle i nostri guai e lei, anche in quelle
condizioni, ci ascoltava, ci aiutava. E’ una cosa di cui ancora mi vergogno: il
nostro egoismo di sfruttarla fino all’ultimo, di mettere sopra di lei, così
sfinita, i nostri guai quotidiani. Ricordo che metteva insieme le ultime forze
per prepararci dal divano le tartine e altre squisitezze e anche così senza
forze era lei che riusciva a pensare a noi.
Ma arrivò un giorno in cui Elisa rifiutò la chemio.
Con l’estate, chiese di essere portata un’ultima
volta nell’isola greca che le piaceva tanto. E il marito, straziato, la
accontentò. Ma quando arrivò là, fu chiaro che la malattia avanzava troppo
rapidamente e fecero appena a tempo a tornare.
Nel settembre era tutto finito.
Nel momento in cui se ne andò, noi tutte, amiche,
eravamo sparse lontane. Ma ognuno di noi ‘seppe’ in qualche oscuro modo che
qualcosa di grave stava succedendo.
Ad una cadde un vaso che stava sopra un armadio. Un’altra rovesciò una boccetta di inchiostro. Qualcuna aveva fatto un sogno premonitore.
Ad una cadde un vaso che stava sopra un armadio. Un’altra rovesciò una boccetta di inchiostro. Qualcuna aveva fatto un sogno premonitore.
Era mezzogiorno e io stavo per cucinare ma, quando
avvicinai la mano ai rubinetti del gas, scoprii che erano come inchiodati, non
riuscivo a muoverne nessuno, e nemmeno il rubinetto centrale, come se qualcosa
avesse cementato i fornelli. Tutto inspiegabilmente bloccato per
vari minuti.
Poi venimmo a sapere che a quell’ora se n’era
andata.
Non riesco nemmeno a dire quanto ci mancò. Eravamo
orfane di lei. Io ero caduta in una disperazione profonda. Continuavo a ripetere
dentro di me che volevo ‘telefonarle’, volevo sentirla ancora per telefono e
sentire la sua voce fresca e allegra, volevo essere consolata da lei per averla
persa, come ero stata consolata tante volte quando mi succedeva qualcosa di
brutto e mi sfogavo con lei e dopo stavo meglio. Ma lei non rispondeva. Questo
bisogno cocente di parlarle andò avanti per un po’ al punto che a ogni squillo
del telefono mi balzava il cuore e speravo assurdamente che fosse lei che mi
chiamava.
Poi l’amarezza prese il sopravvento su
tutto.
Un anno dopo, stavo casualmente camminando in una
strada della zona periferica dove Elisa era vissuta e, di colpo, me la sentii
accanto. Non stavo nemmeno pensando a lei e solo dopo realizzai che ero nella
parte della città dove era la sua casa. E lei arrivò come una folata di vento di
primavera. Ricordo perfettamente quel momento. Il grigio del lastrico. Il grigio
delle case. Il grigio del cielo. Poi lei arrivò e fu tutto luminoso, colorato,
come fosse arrivato il sole. La sua gioia era totale, assoluta, mi
girava attorno come più tardi avrei sentito mio marito. Come una trottola. Era
viva! Stava bene! Era felice! Ero tutta avvolta dalla sua gaia felicità Quasi il
suo movimento mi stordiva, mi rendeva ebbra di gioia, stralunata e felice, come
lei. Elisa era tornata finalmente a casa!
Il primo giorno di quel gennaio del 96, dopo la
maledetta runa di morte, quando ancora non sapevamo l’esito delle analisi, ero
di nuovo a Bologna, e per placare la mia agitazione, chiesi all’angelo un
responso sulla mia amica, di cui non sapevamo ancora nulla. Quello che venne in
scrittura automatica fu molto sconfortante. E oggi, ogni volta che leggo questi
versi profetici, non posso fare a meno di piangere.
Lunghi passaggi di privazione
Senza tregua i controlli
Rilassati in vista degli eventi
Tragici e tristi
Come un piccolo fiore (1)
La morte verrà sepolta
A scuoterti i rami fragranti
La figlia non più sola (2)
Il marito sperso ramingo...
Tu tieni ben fermo il
concetto
Del tuo essere puro
Purificato senza macchia
Nell’asse mediano
Tutto comincia dalla testa
Luce del tramonto, luce dell’alba
La lotta più forte è dentro
Come un’oasi di resistenza
Vanno e vengono in cammino
Forze nuove e foglie che cadono
Finché tutto sarà pronto
Per l’ingresso del Signore
Sia benedetta colei
Che ha conosciuto la
gioia
Gli amici si illuminano
Al solo nominarla
Tutte si disperdono le ombre maligne
Infine è tornata
Colei che
aspettavamo
Per allietare il
desco
Con tutti i suoi sorrisi
(1)
Piccolo fiore fu il
nome con cui firmò il suo primo scritto
(2)
Durante il funerale
la figlia trovò l’amore.
Nel gruppo del
martedì, molte scoprirono i loro talenti, chi il canto, chi la scrittura, chi la
pittura.. Elisa scoprì la poesia.
Ci lasciò un
libro con le sue poesie.
Nella prima
pagina è riportata la sua ultima lettera a noi tutti.
“Ai miei
cari, i parenti e gli amici, unisco tutti in queste mie parole perché la forza
di scrivere ad ognuno non c’è più. Spero che questa mia venga letta fra tanto
tempo, ma non ha importanza. I sentimenti sono sempre gli stessi di ora, di
allora.
Vi ringrazio
per esservi lasciati amare. È stata la ragione della mia vita. Senza di voi
avrei avuto una vita arida e vuota e l’amore che ho avuto per voi ne ha fatto
una ricchezza immensa.
Sono stata
felice con tutti voi e continuerò ad esserlo attraverso il vostro
ricordo.
Il mio
passaggio sulla madre terra non si cancellerà mai più.
Sarò
energia, farò parte del cosmo, sarò la spiga.
Sarò la
danza e il canto, E saremo sempre insieme in questa avventura emozionante. La
vita per me lo è stata, nei momenti tristi e entusiasmanti. È una bellissima
avventura che vale la pena di vivere in ogni suo momento.
Non ho la
mente lucida e non trovo le parole che proprio volevo usare per il mio saluto,
ma voi andrete al di là di questo, sentirete il mio abbraccio, il mio voler
bene, la mia serenità nel dirvi che sono sempre con voi
Elisa
Elisa fu molto
religiosa nel senso più spirituale ma non fu mai osservante, anzi si definiva
atea, aveva tanti amici preti ma non andava in Chiesa, non credeva nemmeno
nell’anima, e, pur praticando l’essenza di Dio, non riconosceva il nome o il
culto di un dio. Ma per l’infinito queste sono cose senza importanza. L’unica
cosa veramente importante, e lei ce lo ha insegnato,
è l’amore.
SONO VIVA
E quando il
silenzio
intorno
non è
silenzio
so che sono
viva.
Nella danza del
vento
nel canto delle
foglie
sotto i passi
sciolti
nel pianto delle
nuvole
che invadono la
stanza
so che sono
viva.
E nel mio
silenzio
so che sono
viva.
(Elisa)
Quando io lascerò questa
casa
il deserto intorno,
l’aria calda,
l’affetto degli amici, il
sole luminoso
tutto
porterò
nel cuore e nella
mente.
E vi guarderò con gli
occhi della memoria.
Sarò insieme a
voi
giovani e
generosi
innamorati ed
affettuosi.
Ed il mio
augurio:
che voi siate sempre
felici!
(Elisa)
Una lettrice mi
scrive:
Ciao Viviana, sono
Daniela, ho potuto leggere la tua mail solo questa mattina, volevo ringraziarti
di avermi resa partecipe dell’omaggio a Elisa, mi è entrato dentro, ha toccato
le corde di un dolore enorme che io mi porto dentro, e quindi mi ha scatenato
prima un’emozione di grande dolore ma subito dopo di dolcezza infinita, mi ha
dato nuovamente consapevolezza del fatto che la cosa più giusta è quella di
riuscire a trasformare il dolore in amore, pazienza ed accoglienza degli altri.
Sono contenta di averne ripreso coscienza perché in certi momenti il mio dolore
fa emergere talmente tanta rabbia, che mi accorgo di essere aggressiva nei
confronti di chi mi sta di fronte, soprattutto mi accorgo di sfogare questa
rabbia verbale nei confronti delle persone a cui voglio bene. Pensa, Viviana, è
stata talmente forte l’emozione mentre leggevo la poesia di Elisa che la posta
elettronica aperta davanti a me ha iniziato a vibrare e non smetteva più. La
batteria era ovviamente carica e il computer è nuovo. Non aveva mai fatto così
ma è logico, in quel momento io vibravo come uno strumento.
.
In cima alle sue poesie,
Elisa ne aveva messa una di Oscar Wilde:
La morte significa
riposare
sotto la soffice terra
bruna
con l’erba che
ondeggia
sopra la testa e
ascoltare il silenzio.
Non avere passato né
futuro.
Dimenticare il tempo,
perdonare
alla vita e raggiungere
finalmente la pace
poiché l’amore ti
accompagna sempre
e l’amore è più forte
della morte.
.
Ricordare Elisa mi ha mosso
molte cose dentro. Ma l’inconscio è stato colpito in particolare dalle
differenze tra lei e i suoi figli, un caso che ho incontrato spesso. Negli
incontri del martedì ascoltavo moltissimi sogni e tanti di questi riguardavano
proprio il rapporto con la famiglia.
Elisa amava enormemente i
propri figli e si preoccupava molto per loro. Di Ugo diceva “Bimbo non tutto
sorrisi e dolcezze, come avevo sognato. Bimbo chiuso dentro una corazza di
arroganza, durezza di difesa”. Di Giovanna parlava di “cuore muto,
che non sa affrontare la forza della vita”.
Io per altri motivi mi
trovava una figlia molto amata, molto curata anche, che d’improvviso mi si era
messa contro, senza che, con tutta la mia psicologia, riuscissi a capire il
perché.
Così stanotte ho fatto un
sogno.
Ho sognato un ponte di
Firenze, e il ponte in genere indica qualcosa che unisce due sponde diverse, due
mondi, due Paesi separati, due persone e in questo caso il ponte era mobile,
dunque era il ponte della relazione. E io avevo, invisibile ma presente alla mia
destra, Jung che mi suggeriva. Al centro della spalletta di sinistra del ponte
(affettività) c’erano degli ingranaggi, come dei giunti cilindrici, che facevano
sì che il ponte, ovvero la relazione si alzasse o si abbassasse, e
io cercavo di ripulirli da uno strato di plastica trasparente che li ricopriva
per riportarli in chiaro, per far risplendere l’ottone di cui erano fatti.
Dunque volevo chiarire il perché la relazione è volte c’è e a volte
manca.
Ma Jung gentilmente mi
faceva capire che non era giusto che io cercassi questo e che quella pellicola
di protezione era stata messa proprio come difesa, perché certe cose non è
nemmeno bene saperle.
Al di là del ponte c’era il
laboratorio di Jung, dove i figli di Elisa lavoravano con dei camici bianchi.
Jung era pallidissimo, e molto vecchio e stanco, come fatto di vetro. Era stato
un altro che, immerso nelle sua attività e nelle proprie ricerche, aveva
trascurato molto i figli, mentre io mi ero dedicata moltissimo a mia figlia
piccola, almeno fino ai 12 anni, molto di più di quanto non facciano tante
madri. Eppure il risultato sembrava lo stesso: figli che scelgono di essere il
più possibile diversi dai loro genitori per allontanarsi quanto possono da loro,
figli che costruiscono la loro autonomia nella diversità o nella lontananza, per
emanciparsi da genitori troppo incombenti o per un motivo o per un altro in
rapporti in cui ogni eccesso diventa un difetto.
Jung raccontava di un santo
uomo che era così santo che la sua ombra crebbe a dismisura e alla fine si
riversò sui figli che vennero uno ladro e l’altra una prostituta.
Ma, nei casi migliori,
possiamo avere figli che fuggono da casa o si costruiscono personalità
alternative, come se l’affermazione di se stessi passasse attraverso la
differenziazione dalle figure famigliari. Anche questa è una seconda possibilità
ma tale da creare una lacerazione nel tessuto affettivo, che porta con sé
rancori ingiustificati, rabbie senza ragione, smemoratezze e falsi ricordi da
integrazione.
Ieri è venuta da me una
madre musulmana in grandissima pena perché la figlia più bella è sparita senza
una parola e non si fa vedere da due mesi. Rintracciata attraverso la polizia,
fa sapere, tramite avvocato, che sta bene, che non ha bisogno di nulla, ma che
non vuole più avere rapporti con la famiglia. Supposto che ciò sia vero e che
non le siano accadute cose gravi, fatti di cui non c’è conoscenza, cosa può
spingere una figlia molto amata a fuggire e a mettere un muro tra sé e i suoi,
senza una parola di scusa, senza un messaggio d’amore per chi l’ama?
Nel sogno Jung era molto
vecchio e stava seduto, come accasciato e io stavo in piedi davanti a lui. Io e
lui ci siamo stretti la mano, come per una comunanza. La sua mano era diafana,
delicata, senza forze.
Era come se mi dicesse che
non importa quanto sai e quanto ami, un figlio può restare sempre un mistero. E
su questo mistero puoi camminare solo in silenzio. Con rispetto
.
Bambino, se trovi
l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa' delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati
nell'acqua del sentimento.
Alda Merini
.
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa' delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati
nell'acqua del sentimento.
Alda Merini
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INDICE ROMANZO
CAPITOLO 1 : http://masadaweb.org/2014/07/13/masada-n-1545-13-7-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-1/
Regressioni a vite precedenti – La guarigione a
distanza – Le visualizzazioni- I numeri simbolici
CAPITOLO 2 : http://masadaweb.org/2014/07/17/masada-n-1546-17-7-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-2/
Le malattie psicosomatiche – Induzione e ipnosi come
forma di terapia – Le verruche
CAPITOLO 3 : http://masadaweb.org/2014/07/22/masada-n-1547-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-3/
Tutto comincia dalla testa – Talismani: la croce di
Ankh – Rievocare altre vite o momenti traumatici del passato – Incubi ricorrenti
– Leggere negli altri una storia fatta di tante storie
CAPITOLO 4 : http://masadaweb.org/2014/07/28/masada-n-1550-28-7-2014-una-seconda-possibilita-romanzo-capitolo-4/
Isobare psichiche – Rane – La lezione del dolore – La
lezione del piacere – La sessualità sacra – La verginità eterna – Ma cos’è
l’orgasmo? – Eiaculazione precoce, vaginismo e omosessualità
CAPITOLO 5 : http://masadaweb.org/2014/07/29/masada-n-1551-29-7-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-5/
Pene d’amore – Il tradimento – La trasgressione –
Amare l’impossibile
CAPITOLO 6 : http://masadaweb.org/2014/08/06/masada-n-1552-6-8-2014-una-seconda-possibilita-romanzo-capitolo-6/
La casa infestata – Sogni premonitori – Messaggi
dall’al di là – Le vite precedenti
CAPITOLO 7 : http://masadaweb.org/2014/08/13/masada-n-1554-13-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-7/
Storia di Deneb – Testimonianze sulla premonizione –
Sentirsi estranei a questo mondo – Rispettare la propria unicità – La diversità
è un dono – I prescelti
CAPITOLO 8 : http://masadaweb.org/2014/08/13/masada-n-1555-13-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-8/
Le discriminazioni – La cultura è il frutto del
potere – Rifiuto sociale delle diversità – Chiaroveggenza – Il motivo per cui
siamo venuti a nascere – Un compito che si realizza in più esistenze successive
– Profezia – Il terzo occhio – L’archivio globale
CAPITOLO 9 : http://masadaweb.org/2014/08/16/masada-n-1557-16-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-9/
Il mio amico omosessuale – I segni sincronici –
L’essenza di una coppia
CAPITOLO 10 : http://masadaweb.org/2014/08/21/masada-n-1560-21-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-10/
Esistere come non umani – Nostalgia delle esistenza
perdute – Altri mondi-
Siamo tutti angeli caduti – Un messaggio dell’Imperatore
Siamo tutti angeli caduti – Un messaggio dell’Imperatore
CAPITOLO 11 : http://masadaweb.org/2014/08/23/masada-n-1562-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-11/
Vedere i fantasmi – Bachi vampirici, boli, ragnatele,
girandole di luce – I punti nodali – Figure non terrestri – Una guarigione
miracolosa- Uscire dal corpo – La psiche, l’anima, lo spirito – il Tunnel –
L’Osservatore- L’Aldilà
CAPITOLO 12: http://masadaweb.org/2014/08/25/masada-n-1563-25-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-cap-12/
Omaggio ad Elisa – L’amore è più forte della
morte
.
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