Gli Zombie e Gli Orrori Della Contemporaneità
Non vi è creatura del cinema horror e dell’immaginario fantascientifico che abbia affascinato intere generazioni come lo zombie, il morto vivente.
Più dei loro illustri colleghi vampiri, gli zombie hanno attraversato gli ultimi trent’anni di cinema da autentici protagonisti, evolvendosi nelle fattezze anche grazie ai prodigiosi progressi degli effetti speciali. Se ai non morti dai lunghi denti, i vampiri appunto, la letteratura e lo spettacolo hanno riservato un posto di tutto rispetto, ora come celebrazione delle loro nobili origini (Dracula nelle sue differenti trasposizioni e riedizioni), ora come mito da teenager (la fortunata saga di Twilight), per gli zombie il percorso è stato ancora più complesso, tra i cult-movie di George Romero e gli innumerevoli tentativi di emulazione, non sempre riusciti. Nelle ultime stagionii abbiamo perfino assistito al tentativo di applicare alla figura dello zombie la riflessione accademica, sia da parte di chi individua nel morto vivente il prototipo dell’uomo privo di coscienza, assai utile come paradigma per la filosofia analitica contemporanea (si veda in tal senso la Philosophy of Mind di David J. Chalmers[1]), sia da parte di chi cerca di pervenire ad una vera e propria “filosofia zombie” (come nell’ambizioso lavoro dello spagnolo Jorge Fernandez Gonzalo[2]).
Se ai più critici tali approcci possono apparire come la sofisticata indagine di qualche intellettuale interessato a cogliere, in maniera anche un po’ forzosa, i messaggi ed i significati più reconditi di quello che per molti non è altro che un fenomeno di massa, di entertainment, nondimeno va ricordato che la lettura in senso sociologico della figura dello zombie è autorizzata ed esplicitamente incoraggiata da un vero guru del genere come lo stesso Romero..
Sin dai tempi dell’uscita nelle sale cinematografiche de La notte dei morti viventi, nel lontano e movimentato 1968, la critica intuì che dietro allo spettacolo e alla suspence di un comune horror si celava qualcosa di più profondo: un preciso messaggio sociale e politico. Nell’intera trilogia di Romero (poi divenuta tetralogia con la realizzazione, nel 2005, dell’avvincente quanto significativo Land of the Dead), che comprende il già ricordato film del ’68, oltre a Zombie del 1978 e Il giorno degli zombie del 1985, vi sono riferimenti tutt’altro che velati alle tante inquietudini e contraddizioni sociali esistenti. La minaccia dei morti viventi riflette così il clima di una società americana dominata dalla paura e dalla costante necessità di una difesa, ora contro il “nemico rosso” d’Oriente (la rivale Unione Sovietica con il suo elevato potenziale militare, oppure la guerriglia vietnamita), ora contro l’incubo terrorista, meno visibile ma proprio per questo ancora più spaventoso. L’umanità, asserragliata di volta in volta nelle case, per paura di una dilagante criminalità cittadina, o in qualche fortezza o bunker per la minaccia di una pioggia radioattiva o di una guerra nucleare, è l’immagine che si nasconde dietro ai protagonisti (quelli vivi e vegeti) dei film di Romero. Della stessa umanità fanno parte gli strenui difensori dell’ordine e della sicurezza, allegoria perfetta di un apparato militare messo in piedi per proteggere il cittadino comune, ma non di rado incline all’uso eccessivo della forza e delle armi. Lo spettatore attento ricorderà, del resto, che uno dei protagonisti de La notte dei morti viventi, il nero Ben, grazie alla sua astuzia riesce quasi miracolosamente a sopravvivere all’orda di zombie che finisce per mangiare tutti gli altri umani presenti nell’abitazione, salvo poi essere eliminato dalla polizia, addestrata a sparare a tutto ciò che si muove senza preoccuparsi se si tratti di vivi o di morti viventi. Qui il messaggio di Romero diventa radicale, e riporta alla mente le tante derive autoritarie di un’America che nel 1968 conosce l’assassinio di Martin Luther King e negli anni successivi la repressione dei movimenti antagonisti delle Black Panthers; tuttavia c’è di più: come non vedere nella minaccia zombie anche la rappresentazione dell’incubo del Vietnam, di una guerra in cui si perde ogni certezza e ogni punto di riferimento ed il nemico, sottovalutato, cresce nella propria forza e nel proprio numero? Ecco allora emergere l’insicurezza dello statunitense medio di quegli anni, preda della paura di un’imminente catastrofe planetaria, nell’eterna lotta tra le due superpotenze nucleari..
Nella saga romeriana il secondo capitolo, impropriamente tradotto in italiano col titolo Zombi, si chiama in realtà Dawn of the Dead, cioè “l’alba dei morti”, mentre il terzo film prende il nome de Il giorno degli zombie. La sensazione che vuole trasmettere il regista è quella di una minaccia crescente, di un aumento a macchia d’olio dell’epidemia che risveglia i morti e quindi di un’umanità sempre più chiusa a riccio, sempre più fatalmente ripiegata sulla difensiva. Il virus si diffonde, gli zombie sono ovunque, attaccano i tranquilli cittadini che vanno a fare acquisti al centro commerciale, simbolo tutt’altro che trascurabile dell’economia capitalistica occidentale. Nel quarto capitolo della saga, La terra dei morti viventi, sono loro a dominare il pianeta, l’incubo è completo e per vivere tranquilli gli uomini devono chiudersi in una vasta fortezza protetta da forze speciali, sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro, cintata da alte mura e ragnatele di fili spinati elettrificati. L’ansia e l’insicurezza serpeggiano ovunque e quel che rimane di un ipotetico “governo mondiale” non ha altri strumenti che creare un’enclave più o meno felice dove gli esseri umani possano continuare a vivere relativamente indisturbati, a portare avanti la propria routine quotidiana, a consumare i loro prodotti. Qui, il messaggio politico e sociale di Romero si evolve nella rappresentazione nuda e cruda di un Occidente che ha gradualmente perso il proprio potere e la propria egemonia e che vive dunque nelle sue immense contraddizioni, le stesse che conducono gli Stati Uniti a portare avanti la propria instancabile “guerra al terrore”, mentre la loro popolazione conosce una crisi economica e sociale senza precedenti (a dire il vero il film esce alcuni anni prima dello scoppio della crisi in cui tuttora ci troviamo, eppure in questo senso George Romero è autore di un’analisi se non proprio profetica, quanto meno estremamente lucida). Land of the Dead, per questo, rappresenta secondo molti l’America di Bush, quella che intraprende la guerra in Iraq e che limita fortemente le libertà dei propri cittadini con il Patriot Act, nel nome della minaccia terroristica..
Meno chiaro è invece, in tutto questo, il ruolo dello zombie, che a tratti sembra incarnare la resistenza irachena, a cui le forze militari rispondono con una ferocia ancora più brutale degli stessi mostri, fintanto da indurre lo spettatore a simpatizzare, per quasi tutta la pellicola, per quei morti sempre meno stupidi, lenti e prevedibili, contro uomini per lo più ottusi. Se tali riferimenti sembrano quasi ovvi (così come il ricco governatore Kaufman non si discosta molto, nelle battute e nelle scelte, da George Bush), non va però trascurata una seconda possibile interpretazione allegorica degli zombie. La pellicola del 2005 di Romero, a differenza di molti altri film di genere divenuti action movie sparatutto, od horror di serie B, con un’insistenza morbosa sui particolari splatter (si pensi alla riedizione del 2004 de L’alba dei morti viventi, ben più scadente dell’originale romeriano), diviene qui un horror autenticamente politico. Lo zombie può stare infatti a rappresentare l’azione collettiva rivoluzionaria delle classi subalterne, la rivincita dei diseredati e dei dannati della terra descritti da F. Fanon[3], quando non addirittura la presa di coscienza di un “soggetto storico” di marxiana memoria, nella versione terzomondista degli underpriviledged di Herbert Marcuse[4]. Tale interpretazione è giustificata da almeno un particolare del film, cioè la graduale trasformazione degli zombie, che dapprima sono facilmente suggestionabili e controllabili dal potere umano con il ricorso ai fuochi artificiali e ad altre presunte meraviglie tecnologiche (l’equivalente del progresso e delle libertà di consumare nella società capitalistica attuale), ma poi imparano a resistere, sviluppano abilità quasi umane, affinano i propri movimenti e soprattutto divengono capaci di comunicare. Da qui scattano l’assedio ed il tentativo di rovesciamento dell’ordine costituito, simbolicamente rappresentato dall’orrido pasto che i morti viventi compiono all’interno del centro commerciale, luogo quanto mai evocativo e autentico cliché del cinema di Romero..
Esiste quindi, nella trasposizione cinematografica della saga degli zombies, un’infinità di significati appunto sociali e politici, che a tratti paiono emergere non solo nell’opus magnum di George Romero, ma anche in altri buoni episodi per il grande schermo come il remake de La notte dei morti viventi del 1990, diretto da Tom Savini (che nei film di Romero fu truccatore e curatore degli effetti speciali, nonché in qualche caso attore). In questa seconda e più spaventosa versione, arricchita da particolari truculenti frutto di una tecnologia nel frattempo evoluta, si ripresentano quasi tutti i personaggi del primo capitolo della tetralogia di Romero, ma con un finale differente: il protagonista di colore infatti muore, mentre a salvarsi è la bionda fanciulla Barbara, che conserva per sempre l’orribile ricordo dell’assedio e della strage perpetrata dai morti viventi. Il destino umano, in questo caso, è affidato ad una donna, e al suo ruolo sempre più autonomo nella società..
Donne indifese o coraggiose, afroamericani, bianchi della middle-class, ricchi, poveri e sottoprivilegiati, sub-culture e contro-culture: a osservare bene, nell’immaginario del cinema zombie sembra esserci spazio per le più svariate categorie sociali e per un’infinità di temi. E’ quanto meno curioso che sino a poco tempo fa ne fosse esclusa la categoria probabilmente più interessante e complessa, l’adolescenza. Il cinema più recente ha colmato anche questo gap con lo spiritoso ed apprezzabile Warm Bodies, film allegorico e ricco di citazioni, prodotto dai creatori di Twilight ma decisamente più riuscito e profondo del suo parente “vampiresco”. In questo caso si racconta quella che a prima vista può apparire come l’ennesima storiella di innamoramenti adolescenziali, stravolta soltanto dal fatto che il protagonista è un morto vivente, noto semplicemente come R, e la ragazza che torna a far battere il suo cuore è un’umana, Julie (sin troppo facile, a questo punto, riconoscere dai nomi dei protagonisti la storia tragica dei celeberrimi amanti shakespeariani). Al contrario, Warm Bodies è un ritratto assai riuscito dell’adolescenza e delle sue contraddizioni, una storia di grande umanità in cui compaiono temi quali il superamento dei pregiudizi, la diffidenza e l’odio verso l’Altro, le difficoltà insite nella comunicazione, il confronto tra le generazioni e, naturalmente, i riferimenti all’attualità politica..
Lungi dal rappresentare una mera fonte di paura o intrattenimento, lo zombie viene dunque ad incarnare una figura complessa, multiforme, capace di veicolare innumerevoli messaggi sociali, psicologici e filosofici. Ed in questo monstrum riconosciamo in parte noi stessi, le nostre società, le contraddizioni che abbiamo creato e di cui diventiamo sovente preda o, per dirla con Zygmunt Bauman, il terrore supremo del consumatore di essere a sua volta consumato e divorato.
Se ai più critici tali approcci possono apparire come la sofisticata indagine di qualche intellettuale interessato a cogliere, in maniera anche un po’ forzosa, i messaggi ed i significati più reconditi di quello che per molti non è altro che un fenomeno di massa, di entertainment, nondimeno va ricordato che la lettura in senso sociologico della figura dello zombie è autorizzata ed esplicitamente incoraggiata da un vero guru del genere come lo stesso Romero..
Sin dai tempi dell’uscita nelle sale cinematografiche de La notte dei morti viventi, nel lontano e movimentato 1968, la critica intuì che dietro allo spettacolo e alla suspence di un comune horror si celava qualcosa di più profondo: un preciso messaggio sociale e politico. Nell’intera trilogia di Romero (poi divenuta tetralogia con la realizzazione, nel 2005, dell’avvincente quanto significativo Land of the Dead), che comprende il già ricordato film del ’68, oltre a Zombie del 1978 e Il giorno degli zombie del 1985, vi sono riferimenti tutt’altro che velati alle tante inquietudini e contraddizioni sociali esistenti. La minaccia dei morti viventi riflette così il clima di una società americana dominata dalla paura e dalla costante necessità di una difesa, ora contro il “nemico rosso” d’Oriente (la rivale Unione Sovietica con il suo elevato potenziale militare, oppure la guerriglia vietnamita), ora contro l’incubo terrorista, meno visibile ma proprio per questo ancora più spaventoso. L’umanità, asserragliata di volta in volta nelle case, per paura di una dilagante criminalità cittadina, o in qualche fortezza o bunker per la minaccia di una pioggia radioattiva o di una guerra nucleare, è l’immagine che si nasconde dietro ai protagonisti (quelli vivi e vegeti) dei film di Romero. Della stessa umanità fanno parte gli strenui difensori dell’ordine e della sicurezza, allegoria perfetta di un apparato militare messo in piedi per proteggere il cittadino comune, ma non di rado incline all’uso eccessivo della forza e delle armi. Lo spettatore attento ricorderà, del resto, che uno dei protagonisti de La notte dei morti viventi, il nero Ben, grazie alla sua astuzia riesce quasi miracolosamente a sopravvivere all’orda di zombie che finisce per mangiare tutti gli altri umani presenti nell’abitazione, salvo poi essere eliminato dalla polizia, addestrata a sparare a tutto ciò che si muove senza preoccuparsi se si tratti di vivi o di morti viventi. Qui il messaggio di Romero diventa radicale, e riporta alla mente le tante derive autoritarie di un’America che nel 1968 conosce l’assassinio di Martin Luther King e negli anni successivi la repressione dei movimenti antagonisti delle Black Panthers; tuttavia c’è di più: come non vedere nella minaccia zombie anche la rappresentazione dell’incubo del Vietnam, di una guerra in cui si perde ogni certezza e ogni punto di riferimento ed il nemico, sottovalutato, cresce nella propria forza e nel proprio numero? Ecco allora emergere l’insicurezza dello statunitense medio di quegli anni, preda della paura di un’imminente catastrofe planetaria, nell’eterna lotta tra le due superpotenze nucleari..
Nella saga romeriana il secondo capitolo, impropriamente tradotto in italiano col titolo Zombi, si chiama in realtà Dawn of the Dead, cioè “l’alba dei morti”, mentre il terzo film prende il nome de Il giorno degli zombie. La sensazione che vuole trasmettere il regista è quella di una minaccia crescente, di un aumento a macchia d’olio dell’epidemia che risveglia i morti e quindi di un’umanità sempre più chiusa a riccio, sempre più fatalmente ripiegata sulla difensiva. Il virus si diffonde, gli zombie sono ovunque, attaccano i tranquilli cittadini che vanno a fare acquisti al centro commerciale, simbolo tutt’altro che trascurabile dell’economia capitalistica occidentale. Nel quarto capitolo della saga, La terra dei morti viventi, sono loro a dominare il pianeta, l’incubo è completo e per vivere tranquilli gli uomini devono chiudersi in una vasta fortezza protetta da forze speciali, sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro, cintata da alte mura e ragnatele di fili spinati elettrificati. L’ansia e l’insicurezza serpeggiano ovunque e quel che rimane di un ipotetico “governo mondiale” non ha altri strumenti che creare un’enclave più o meno felice dove gli esseri umani possano continuare a vivere relativamente indisturbati, a portare avanti la propria routine quotidiana, a consumare i loro prodotti. Qui, il messaggio politico e sociale di Romero si evolve nella rappresentazione nuda e cruda di un Occidente che ha gradualmente perso il proprio potere e la propria egemonia e che vive dunque nelle sue immense contraddizioni, le stesse che conducono gli Stati Uniti a portare avanti la propria instancabile “guerra al terrore”, mentre la loro popolazione conosce una crisi economica e sociale senza precedenti (a dire il vero il film esce alcuni anni prima dello scoppio della crisi in cui tuttora ci troviamo, eppure in questo senso George Romero è autore di un’analisi se non proprio profetica, quanto meno estremamente lucida). Land of the Dead, per questo, rappresenta secondo molti l’America di Bush, quella che intraprende la guerra in Iraq e che limita fortemente le libertà dei propri cittadini con il Patriot Act, nel nome della minaccia terroristica..
Meno chiaro è invece, in tutto questo, il ruolo dello zombie, che a tratti sembra incarnare la resistenza irachena, a cui le forze militari rispondono con una ferocia ancora più brutale degli stessi mostri, fintanto da indurre lo spettatore a simpatizzare, per quasi tutta la pellicola, per quei morti sempre meno stupidi, lenti e prevedibili, contro uomini per lo più ottusi. Se tali riferimenti sembrano quasi ovvi (così come il ricco governatore Kaufman non si discosta molto, nelle battute e nelle scelte, da George Bush), non va però trascurata una seconda possibile interpretazione allegorica degli zombie. La pellicola del 2005 di Romero, a differenza di molti altri film di genere divenuti action movie sparatutto, od horror di serie B, con un’insistenza morbosa sui particolari splatter (si pensi alla riedizione del 2004 de L’alba dei morti viventi, ben più scadente dell’originale romeriano), diviene qui un horror autenticamente politico. Lo zombie può stare infatti a rappresentare l’azione collettiva rivoluzionaria delle classi subalterne, la rivincita dei diseredati e dei dannati della terra descritti da F. Fanon[3], quando non addirittura la presa di coscienza di un “soggetto storico” di marxiana memoria, nella versione terzomondista degli underpriviledged di Herbert Marcuse[4]. Tale interpretazione è giustificata da almeno un particolare del film, cioè la graduale trasformazione degli zombie, che dapprima sono facilmente suggestionabili e controllabili dal potere umano con il ricorso ai fuochi artificiali e ad altre presunte meraviglie tecnologiche (l’equivalente del progresso e delle libertà di consumare nella società capitalistica attuale), ma poi imparano a resistere, sviluppano abilità quasi umane, affinano i propri movimenti e soprattutto divengono capaci di comunicare. Da qui scattano l’assedio ed il tentativo di rovesciamento dell’ordine costituito, simbolicamente rappresentato dall’orrido pasto che i morti viventi compiono all’interno del centro commerciale, luogo quanto mai evocativo e autentico cliché del cinema di Romero..
Esiste quindi, nella trasposizione cinematografica della saga degli zombies, un’infinità di significati appunto sociali e politici, che a tratti paiono emergere non solo nell’opus magnum di George Romero, ma anche in altri buoni episodi per il grande schermo come il remake de La notte dei morti viventi del 1990, diretto da Tom Savini (che nei film di Romero fu truccatore e curatore degli effetti speciali, nonché in qualche caso attore). In questa seconda e più spaventosa versione, arricchita da particolari truculenti frutto di una tecnologia nel frattempo evoluta, si ripresentano quasi tutti i personaggi del primo capitolo della tetralogia di Romero, ma con un finale differente: il protagonista di colore infatti muore, mentre a salvarsi è la bionda fanciulla Barbara, che conserva per sempre l’orribile ricordo dell’assedio e della strage perpetrata dai morti viventi. Il destino umano, in questo caso, è affidato ad una donna, e al suo ruolo sempre più autonomo nella società..
Donne indifese o coraggiose, afroamericani, bianchi della middle-class, ricchi, poveri e sottoprivilegiati, sub-culture e contro-culture: a osservare bene, nell’immaginario del cinema zombie sembra esserci spazio per le più svariate categorie sociali e per un’infinità di temi. E’ quanto meno curioso che sino a poco tempo fa ne fosse esclusa la categoria probabilmente più interessante e complessa, l’adolescenza. Il cinema più recente ha colmato anche questo gap con lo spiritoso ed apprezzabile Warm Bodies, film allegorico e ricco di citazioni, prodotto dai creatori di Twilight ma decisamente più riuscito e profondo del suo parente “vampiresco”. In questo caso si racconta quella che a prima vista può apparire come l’ennesima storiella di innamoramenti adolescenziali, stravolta soltanto dal fatto che il protagonista è un morto vivente, noto semplicemente come R, e la ragazza che torna a far battere il suo cuore è un’umana, Julie (sin troppo facile, a questo punto, riconoscere dai nomi dei protagonisti la storia tragica dei celeberrimi amanti shakespeariani). Al contrario, Warm Bodies è un ritratto assai riuscito dell’adolescenza e delle sue contraddizioni, una storia di grande umanità in cui compaiono temi quali il superamento dei pregiudizi, la diffidenza e l’odio verso l’Altro, le difficoltà insite nella comunicazione, il confronto tra le generazioni e, naturalmente, i riferimenti all’attualità politica..
Lungi dal rappresentare una mera fonte di paura o intrattenimento, lo zombie viene dunque ad incarnare una figura complessa, multiforme, capace di veicolare innumerevoli messaggi sociali, psicologici e filosofici. Ed in questo monstrum riconosciamo in parte noi stessi, le nostre società, le contraddizioni che abbiamo creato e di cui diventiamo sovente preda o, per dirla con Zygmunt Bauman, il terrore supremo del consumatore di essere a sua volta consumato e divorato.
[1] D. CHALMERS, The Conscious Mind: In Search of a Fundamental Theory, Oxford University Press, 1996.
http://www.kultural.eu/component/content/article/691-gli-zombie-e-gli-orrori-della-contemporaneita
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