COSA PENSANO I GIORNALISTI STRANIERI DI MATTEO RENZI
l Bomba sorride. Via Flickr/Palazzo Chigi.
Quando parli di politica italiana con un giornalista straniero devi prepararti sempre al peggio. Al peggio dei tuoi e dei suoi pregiudizi. Siccome sono masochista, ho deciso di intervistarne alcuni per cercare di capire quale idea si sono fatti della nostra politica e del nostro giovane, rampante, vestito benissimo Prime Minister Renzi. Li ho contattati prima che venisse annunciata la formazione di governo, e ho ricevuto risposta da un inglese, un francese e un tedesco.
Il primo con cui ho deciso di fare una chiacchierata è Guy Dinmore, che lavora da Roma per ilFinancial Times e ha anni di lavoro alle spalle come corrispondente da Balcani, Iran e USA. Guy è uno dei pochi giornalisti ad avere delle opinioni diametralmente opposte a quelle dei suoi colleghi italiani. La prima perla che mi dedica è questa: “la politica italiana è molto simile a quella iraniana. È basata sui clan, sulla tribù. Ora la tribù fiorentina cercherà di prendere spazio.” Non esattamente rassicurante, considerato che l’Iran è stato giudicato da Reporter Senza Frontiere alla stregua di Eritrea e Corea del Nord.
Come se non bastasse aggiunge che “Renzi non ha ancora concesso interviste a giornalisti stranieri. Non è facile per un giornalista che non è andato a scuola con lui entrarci in contatto, perché i legami sono sempre fondamentali in Italia.” Quindi ecco, iniziamo con Iran e zero interviste. Ma andiamo avanti. “L’aspetto davvero incredibile è che Renzi non ha esperienza parlamentare, non ha mai partecipato a delle elezioni nazionali, la sua unica forza è l’aver governato una cittadina di medie dimensioni, ricca e relativamente tranquilla. Avere oggi un primo ministro così è sintomatico delle difficoltà che sta vivendo la politica italiana.”
Guy mi dice che per quanto lo consideri intelligente e capace, lo stesso si può dire di Enrico Letta e Mario Monti (“lui era straordinariamente capace”). L’unica pecca dei premier che hanno preceduto Renzi è di non essere stati capaci di fregarsene dell’IMU e delle inutili polemiche di Silvio Berlusconi e dei suoi. “Hanno perso tempo, mentre avrebbero dovuto pensare ai problemi reali del paese,” mi spiega Guy, che aggiunge, “[Mario Monti] si trovava in una situazione economica disperata,” mentre Enrico Letta “ha pagato il prezzo della terribile campagna elettorale di Pierluigi Bersani.” Un’opinione che in parte assolve Letta dallo stallo in cui si è trovato in questi mesi, “dovuto a una coalizione che non aveva credibilità fin dal principio.”
Guy con la tribù di Matteo Renzi. Foto per gentile concessione di Guy Dinmore.
E qui entra in gioco un altro aspetto che a Guy preme molto. “Il vero problema è che c’è grande incertezza a livello economico e politico. Non si sa ancora come reagiranno i sindacati e Beppe Grillo, un uomo che invece ha fatto una campagna elettorale incredibile,” dice con un certo (sospetto) entusiasmo nella voce. “Per essere onesti nei confronti del Movimento Cinque Stelle bisogna dire che nelle commissioni parlamentari hanno cercato di fare qualcosa di concreto, ma molti esponenti degli altri partiti li hanno bloccati. Cosa succederebbe se il M5S invece di un movimento di protesta diventasse un movimento in grado di fare davvero qualcosa?”
La domanda mi lascia un po’ interdetta, ma Guy mi racconta che ha intervistato Beppe varie volte e che gli è sembrato molto diverso dall’immagine pubblica che traspare. “È molto razionale, calmo, pieno di idee e progetti. Semplicemente non ha ancora risolto il cortocircuito tra la sua figura e un movimento dal basso, basato sulla democrazia della rete, da cui è nato il M5S.” Ormai presissimo dal discorso, Guy vuole sapere cosa ne penso e nel mezzo della sua contro intervista, mi racconta che gli arrivano molte email di amici, colleghi, lettori italiani (“anche laureati”) ormai convinti che dietro a Renzi ci sia una grande cospirazione internazionale che va dagli Stati Uniti alla nuova P2. Forse vuole dirmi che in fondo è tutta colpa di questi finti-italiani-in-realtà-iraniani che popolano il nostro paese.
“Guarda, voglio raccontarti un aneddoto per farti capire che voi italiani siete proprio come gli iraniani, con cui ho vissuto per anni come corrispondente: sono stato a Napoli per raccontare le elezioni nel 2008 e sono finito in una specie di negozio che sembrava un bazar. Qui c’era il rappresentante locale di Forza Italia, che aveva due telefoni, uno per il lavoro e uno per le chiamate dei politici. Mi ha accolto nel retro del negozio e faceva queste telefonate, mentre un ragazzino portava avanti e indietro il caffè e lui mi raccontava quanto la religione cattolica fosse fondamentale per la sua politica. Ecco vedi, in Iran sarei finito nel retro del bazar, a bere té, di fronte a un politico-negoziante con due telefoni, che mi spiegava quanto la religione sia fondamentale nella sua vita. Mi sembrava di rivivere scene già vissute a Teheran.” Prima di salutarmi, Guy—che quest’estate dovrà lasciare l’Italia, “perché ogni sette/otto anni noi corrispondenti dobbiamo andare via”—mi rassicura: “È un’esperienza bellissima lavorare qui, non come negli Stati Uniti all’epoca di Bush. Lì ero la voce del Financial Times ed ero visto come un vero nemico. Mi dicevano in faccia con insolenza e arroganza quello che potevo o non potevo scrivere. Fidati, quelli sì che sono veri bastardi.” E qui non so se è il mio lato iraniano o quello italiano ad essere d’accordo con lui.
Il giorno dopo chiamo Eric Jozsef, corrispondente di Libération. Vorrei dirgli piangendo, “ti prego Eric, dimmi che c’è speranza” e invece dico solo “pronto”. Lui inizia subito rassicurante: “Renzi è un premier giovane, vitale, c’è attesa in Europa per quello che potrebbe fare, ci volevano un po’ di energia ed entusiasmo.” Occhei. Eric mi ispira fiducia, perché vive in Italia da tantissimi anni, ha scritto diversi libri sulla politica italiana e si veste bene. Ma mi gela subito.
Foto via Flickr/Internaz.
“Purtroppo Renzi è riuscito a resuscitare Silvio Berlusconi per portare a casa la legge elettorale, e questo ha destato un po’ di sconcerto.” Eric mi spiega che ci sono tre questioni italiane che preoccupano all’estero: il fatto che i governi italiani non rispettino mai gli impegni, l’instabilità politica e Silvio Berlusconi. Ripeto, Silvio Berlusconi. E ora lui mi dice che “un pochino” Renzi gli assomiglia. “Ricorda Silvio nel 1994. È un uomo di marketing, parla al cittadino che guarda la TV: rivendica la personalizzazione della politica.”
E mentre inizio a pensare che è sempre tutto uguale, Eric sospira sorridendo e mi dice: “ma non ti preoccupare, ci sono due differenze fondamentali che ci fanno sperare: Renzi non ha il conflitto di interessi che caratterizzava Berlusconi, non possiede televisioni e riviste, e, soprattutto, viene da una famiglia politica, da una storia di partito, non considera la politica come un mercato.” E come una dolce melodia con accento francese, Eric chiosa: “sai in fondo penso che sia un bene che Renzi sia così. Serve a svecchiare la sinistra, a farla uscire dai soliti schemi ideologici. La politica è cambiata, il rapporto è molto più diretto: c’è un vero e proprio contratto politico con le persone. E Renzi sa come interpretare questo cambiamento.”
Se il problema centrale di Guy è capire Beppe Grillo e Jozsef non sembra particolarmente pessimista, le questioni più importanti di Tobias Bayer, corrispondente del Die Welt, sono altre. Tobias è un ragazzo giovane, un tipo serio, e muove molto le mani—cosa impressionante per un tedesco (come sono grossolana e banale). “La prima volta che ho incontrato Matteo Renzi era il 2012. Mi ha concesso trenta minuti di intervista, ma si è trattato più di un monologo. È stato frenetico, mi ha travolto con un mare di informazioni,” mi dice quasi spaesato. Lo capisco e mi dispiace.
Foto per gentile concessione di Tobias Bayer.
Ma Tobias, che è un po’ uno di quelli che fanno sempre bene i compiti, non si è lasciato incantare troppo dalla verve di Renzi: è partito per Firenze, “perché volevo capire cosa ha fatto realmente nella sua città.” La prima persona con cui è andato a parlare è David Allegranti, giovane giornalista del Corriere Fiorentino e autore della biografia non autorizzata Matteo Renzi, il rottamatore del PD. “Gli ho chiesto di dare un voto al sindaco da 1 a 10, e la sua risposta è stata 6. Renzi è bravo a catturare l’attenzione della stampa e delle persone con argomenti sì validi, ma di impatto, immediati, affrontando solo quei problemi che si vendono bene. Ma a Firenze si è occupato delle questioni a lungo termine? Della tramvia, dell’alta velocità, dell’aeroporto? Io mi chiedo: Firenze è davvero una città all’avanguardia o semplicemente è cambiata l’idea che ci siamo fatti di quella città? Io ho dei grossi dubbi.”
Insomma, gli interrogativi che premono di più a Tobias sono: Renzi è un uomo di sostanza o di apparenza? E poi, è in grado di lavorare con una squadra o è lui stesso la squadra? “Ti faccio un esempio,” mi dice. “Io sono un grande appassionato di NBA e so che Michael Jordan negli anni Ottanta non vinceva mai. Sì, faceva 40 punti, ma non vinceva. Ha iniziato a vincere negli anni Novanta, quando si è messo a passare palla. E per Renzi è la stessa cosa. Quale Michael Jordan vuole essere?” Iran, NBA, americani bastardi. La testa comincia ad andarmi in confusione e riesco solo a pensare a “monologo, monologo, moglie di Renzi.”
Per fortuna però le mani agitate e la voglia di farmi capire di Tobias prendono il sopravvento. “Il problema vero è che sarà molto difficile per Angela Merkel appoggiare alcune posizioni di Renzi, come il superamento del tetto del 3 percento nel rapporto debito pubblico e PIL. In Germania c’è molta rabbia all’idea di supportare e garantire economicamente paesi come l’Italia, dove c’è ricchezza, ma non viene tassata, e dove c’è una fortissima evasione fiscale. Questi sono i temi che Renzi deve affrontare: patrimoniale e rapporto con l’Unione Europea.” Come dargli torto.
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