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Benetton, Miroglio, Diesel e Marzotto. Eni, Pirelli e Ansaldo... a due ore d'aereo da Milano ci sono paesi che stanno diventando l'Eldorado della nostra manifattura. La Tunisia ad esempio offre poi importanti agevolazioni, soprattutto fiscali. Ma anche Marocco ed Egitto si stanno muovendo
La nuova Cina potrebbe essere laggiù, a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane. Appena oltre il canale di Sicilia, in Nord Africa. Tra le palme e gli ulivi. Certo, l’Egitto è di nuovo sotto il pugno di ferro dei generali. E la Libia post-Gheddafi è ancora nel caos. Ma è in Marocco, non lontano da Tangeri, che si trova (a detta dei media locali) “la più grande fabbrica d’auto di tutta l’Africa”: uno stabilimento della Renault che entro la fine del 2014 dovrebbe raggiungere una capacità produttiva di 340 mila veicoli l’anno. Sempre a Tangeri la Coca Cola sta edificando un gigantesco impianto, mentre l’Algeria è stata scelta dalla Sanofi per realizzare “il suo più grande sito industriale in Africa”.
Intervistato da pagina99 ai margini di un convegno a Trento, l’ex presidente del consiglio italiano Romano Prodi conferma: «In Africa c’è una nuova fermentazione, anche se è troppo presto parlare di sviluppo sistematico; la società africana, per lungo tempo orizzontale, si sta trasformando in una società verticale, dove sempre più spesso la gente investe, si muove, scommette sul futuro. Siamo ancora a un livello molto basso, naturalmente, ma ci sono premesse importanti».
Qualche anno fa Prodi disse che il Nord Africa poteva diventare (con le dovute proporzioni) “una nuova Cina”. I primi segnali si vedono. «Basta guardare al Marocco» rileva Prodi. E in effetti, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI), lo scorso anno il PIL marocchino è cresciuto del 5,1%. Più dell’Africa subsahariana (4,9%) e soprattutto più dell’intera area del Medio Oriente e Nord Africa (2,1%).
I francesi sembrano aver intuito meglio di tutti le potenzialità industriali della regione. Ma in fondo loro dal Nord Africa non se ne sono mai andati, neanche dopo la decolonizzazione. Comunque sono in buona compagnia. Tra le aziende europee che hanno investito in Tunisia, per esempio, si trovano nomi tedeschi, spagnoli e italiani. Come Benetton, Diesel, Miroglio. O Marzotto. Che nei pressi di Tunisi ha uno stabilimento di filatura del lino dove lavorano circa 550 persone (un altro stabilimento, più piccolo, ha invece sede in Egitto). «Sono varie le ragioni che ci hanno portato in Nord Africa: c’è disponibilità di manodopera; si lavora comunque nell’ambito della cultura mediterranea; c’è indubbiamente un’economia di costo rispetto ad altre realtà, e non mi riferisco solo al costo della manodopera ma anche a quello, fondamentale, dell’energia. – spiega apagina99 Sergio Tamborini, amministratore delegato del Gruppo Marzotto – Infine, bisogna considerare l’elemento della logistica. La Tunisia, in particolare, è ben posizionata geograficamente, con tempi di trasporto per l’Italia molto vantaggiosi».
Secondo Javier Albarracín, direttore della divisione Sviluppo socioeconomico dell’Istituto Europeo del Mediterraneo (IEMed) di Barcellona, «nella regione la Tunisia è senz’altro il paese più maturo sul piano economico: è piccola ma al contempo ha una popolazione molto giovane e ben preparata, oltre a un’economia piuttosto diversificata. È forte nei settore dei servizi, ma pure nell’agricoltura e nell’industria». La Tunisia offre poi importanti agevolazioni, soprattutto fiscali, alle società a capitale misto tunisino e straniero.
Grande tasto dolente: gli scambi quasi inesistenti con i paesi limitrofi, a volte per carenze infrastrutturali. Principale partner commerciale, alla fine, rimane l’Unione europea: in testa c’è la Francia, seguita proprio dall’Italia. «È difficile valutare l’entità degli investimenti italiani in Nord Africa, dal momento che non esiste un registro ufficiale obbligatorio degli investitori, e che spesso i nostri connazionali non investono direttamente, ma a titolo personale o attraverso entità giuridiche ad hoc. – sottolinea Giovanni Giacomazzi, rappresentante del Gruppo UniCredit a Tripoli, e con una lunga frequentazione della regione – Tuttavia si può dire che le aziende a capitale italiano attive in Tunisia sono tra le seicento e le settecento».
Fonti del posto assicurano che gli italiani sono percepiti molto più favorevolmente degli ex colonizzatori francesi. I nostri imprenditori, dal canto loro, assicurano di trovarsi a loro agio in Tunisia. In realtà è tutta la regione a essere accogliente. Come nota Tamborini, «forse chi vive in Italia vede ancora il Nord Africa come una frontiera lontana, ma non è così. Non dico che è come essere a casa ma, in fondo, non ci sono queste grandi differenze». A cominciare dallo stesso clima, dallo stesso cielo mediterraneo. Lo scriveva lo storico Fernand Braudel nel suo “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”: “Il Lago di Tunisi ricorda la laguna di Chioggia; il Marocco è un’Italia più arsa”.
Affinità ambientali a parte, il Marocco è senz’altro una terra promettente per i capitali europei. Al pari della Tunisia, vanta un’economia diversificata, con un settore industriale abbastanza sviluppato, manodopera giovane (e più conveniente di quella europea), accordi commerciali con altri paesi e, infine, una normativa fatta apposta per attrarre gli investimenti stranieri. «Lo stabilimento aperto da Renault a Tangeri, che sta già attirando investitori e fornitori del settore dall’intera Europa, dimostra la vitalità dell’economia marocchina. – dice a pagina99 Albarracín – Il Marocco è politicamente stabile e, a differenza dell’Algeria, permette agli investitori stranieri di insediarsi nel paese anche senza far entrare nel capitale un socio locale».
Yasmina Sbihi, direttore dell’ufficio di rappresentanza in Italia dell’Agenzia Marocchina per lo Sviluppo degli Investimenti, conferma la capacità del Marocco di attrarre investitori stranieri. «Francesi e spagnoli sono arrivati prima, ma ciò non significa che non ci sia spazio per gli italiani. Anzi, le aziende estere sono molto ben viste, perché sono un motore di occupazione». E in effetti, dati del FMI alla mano, negli ultimi anni la disoccupazione in Marocco è costantemente calata, passando dall’13,4% del 2000 al 9% del 2012.
«Il Marocco è un paese moderno che piace agli investitori. Non è l’Eldorado, ma di sicuro è una nazione dinamica, con una classe imprenditoriale formata su standard europei, una pubblica amministrazione e normative sufficientemente buone. – spiega a pagina99 Paolo Beltrami, fondatore della Onemedit, società di servizi e consulenza specializzata proprio nell’area del Nord Africa e Medio Oriente.
Il vero pezzo da novanta della regione però rimane l’Egitto, con i suoi 84 milioni e passa di abitanti. «È l’economia industriale più importante del mondo arabo, forte in molti settori: dalla petrolchimica alla farmaceutica, dall’agroalimentare alle tecnologie dell’informazione e comunicazione. – sottolinea Albarracín – Tra l’altro ha stipulato accordi commerciali con molti paesi, anche dell’Africa subsahariana e del Golfo Persico». Grandi aziende italiane hanno da tempo deciso di scommettere sull’Egitto, incluse l’Eni, la Pirelli, l’Ansaldo. C’è però anche un’importante presenza di PMI, dato che è abbastanza facile insediarsi nel paese. Come in Marocco, l’Egitto permette di investire pure senza avere partner del luogo.
Nel complesso, a parere di Beltrami, ha senso paragonare il Nord Africa a una nuova Cina. «Il potenziale c’è tutto, ma è necessario che le opinioni pubbliche locali si rasserenino. È come un cane che si morde la coda: senza stabilità politica non c’è sviluppo economico, e senza sviluppo economico non si arriva alla stabilizzazione».Positivo anche il responso di Giacomazzi: «La regione del Medio Oriente e Nord Africa, in particolare quest’ultimo, offre grandi opportunità; nel medio periodo si tratta senz’altro di un’area interessante». In fondo la Cina sarà pure vicina, ma il Nord Africa lo è molto di più.
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