di Paolo Lucarelli (saggista)
Dopo i primi tre lavori dedicati ad alcuni tra i fondamenti teorici della filosofia ermetica, Paolo Lucarelli inizia una nuova serie di interventi in cui ripercorrerà a larghi passi, ma con grande scrupolo storico e filologico, la storia dell’alchimia per metterne in luce taluni aspetti fondamentali
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Alchimista al lavoro (affresco del XV secolo)
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La letteratura sull'Ermetismo, nell'Occidente contemporaneo, per quanto possa sembrar strano in un' epoca che gli appare affatto indifferente, è vastissima e si è ulteriormente ampliata negli ultimi decenni. Sfortunatamente, salvo alcune sparute eccezioni (1), essa appare curiosamente deforme, per lo più inutile per chi voglia seriamente approfondire il tema. Si distingue in due filoni principali, riconoscibili ognuno da un capostipite di successo. Marcelin Berthelot (2) ha inaugurato nel secolo scorso lo studio attento ed esauriente sull'alchimia dal periodo alessandrino a quello medioevale. A lui, ed alla sua scuola, dobbiamo il recupero di rari manoscritti siriaci e greci, nelle uniche edizioni ancora oggi disponibili. Il Berthelot era un chimico di fama, e non si scostò mai dall'opinione che l’alchimia fosse una specie di prechimica, più o meno rudimentale. Tutti i suoi studi e le sue ricerche mirarono ad indagare in tal senso il valore dei testi che traduceva e pubblicava, in un inane tentativo di dimostrare che sotto un linguaggio fintamente esoterico, si celavano banali operazioni metallurgiche, più o meno male interpretate dagli stessi sperimentatori. Questo modo di affrontare il problema è proseguito senza dubbi o tentennamenti sino ad oggi, malgrado sia evidente che gli studiosi che se ne fanno carico siano per lo più costretti o a rinunciare alla comprensione della maggior parte dei testi, O a considerare i nostri antichi predecessori degli ingenui inguaribili, nel migliore dei casi un po' imbecilli, che amavano ripetere operazioni inutili senza alcun risultato probante, tutti presi da una forma, fortunatamente innocua, di monomania schizoide. Ogni tanto, felice caso, scoprivano un nuovo composto o una procedura utilizzabile per scopi meno nobili di quelli cui miravano dichiaratamente, e allora si arricchivano tingendo stoffe, o si ubriacavano nascostamente di ottimo 'brandy', o, i meno onesti, proponevano leghe di princisbecco ad altri imbecilli che le prendevano per ottimo oro. Un esempio relativamente recente, da parte di un esperto di alchimia alessandrina (3), è particolarmente illuminante su questo strano modo di pensare. Avendo esaminato i diversi procedimenti alchemici nei quali ricorre un 'corpo', che gli ermetici greci chiamavano 'zolfo', scopre che non è descritta nessuna tra le reazioni, estremamente evidenti peraltro, dello zolfo comune. Del tutto indifferente alle esortazioni degli stessi testi ( «il nostro zolfo non è lo zolfo volgare, il nostro zolfo è zolfo vivo. ..» ) ne deduce che gli autori (in particolare Zosimo di Panopoli) non avevano alcuna capacità sperimentale, anzi, nessun interesse per una sperimentazione effettiva. Non è nemmeno sfiorato dal dubbio, che non si stia parlando dell'elemento chimico con cui è abituato ad operare (4). All'estremo opposto, un altro gruppo di studiosi
si riconosce per l'assoluta ignoranza tecnico-scientifica. Questo ha permesso un'osservazione dei testi ermetici senza alcun pregiudizio del tipo descritto, e li ha condotti ad un'esegesi che legge ogni affermazione o descrizione in senso allegorico.
Qui sono nate alcune sottoscuole, che dipendono dalla cultura personale che filtrava le singole letture. C.G.]ung ha inaugurato l'interpretazione psichica che immagina gli alchimisti patire, più o meno inconsapevolmente, un linguaggio metallurgico che cela un processo definito di «individuazione», o con altri oscuri termini similari (5). Altri più vicini allo storicismo religioso o antropologico, ne hanno mediato le teorie con commenti appropriati. A tutti questi si sono aggiunti, sparuta schiera di fondo, i cosiddetti 'esoteristi' che hanno racchiuso ogni possibilità di comprensione in un cerchio perverso che spiega con allegorismi le presunte allegorie, creando un'intensa felicità a chiunque voglia escludere l'esistenza stessa del problema.
Ovviamente tutti questi autori evitano accuratamente buona parte della letteratura ermetica, quella cioè che contrasterebbe con troppa evidenza con le loro ipotesi. Si riconoscono anzi per una caratteristica peculiare, che consiste in una circolarità di citazioni che si tramandano l'un l'altro, sempre dagli stessi testi, che nessuno legge integralmente. Sono quindi ancora meno utili dei primi, che hanno almeno reso disponibili edizioni più o meno complete degli autori studiati (6).
Resterebbe da verificare quello che i filosofi ermetici hanno detto di se stessi. Sono pochi però, almeno sino al XVII secolo, coloro che hanno introdotto divagazioni teoriche o storiche nei testi, data la sostanziale indifferenza per tutto ciò che non fosse guida alle operazioni. Cosicché nell'epoca medioevale frate Simone da Colonia (7) appare un'eccezione, con queste sue succinte considerazioni premesse alla pratica:
"In molti antichi codici si trovano definizioni di quest'arte, della quale dobbiamo conoscere subito l'intenzione. ERMETE disse: l'Alchimia è una sostanza corporea da uno e per uno, composta con preziosa sottigliezza per decorazione alternata, raggiungente 1 'effetto nella stessa miscela naturale, convertente in genere migliore. Un altro dice: è una scienza che insegna a trasformare ogni genere di metallo in un altro, per mezzo di una medicina propria, come appare da molti libri filosofi. Perciò è da sapersi che è una certa qual scienza così chiamata da un filosofo di nome ALCHIMO e quest'arte insegna a fare una medicina chiamata Elixir, la quale versata sopra metalli imperfetti, li perfeziona completamente, e questo fu la causa perché fu inventata"
Il mitico Ermete egizio si pone definitivamente a capo della tradizione iniziatica che da lui ha nome in Occidente, mentre il tentativo di dare un'etimologia ingenua alla scienza operativa, dimostra un'incertezza che non è ancora risolta. Infatti, accettata la trasposizione dall'arabo 'al-kimya' , per questo si sono ipotizzate origini molto diverse. Si è supposto venisse da un greco 'chuma', fusione dei metalli; da un 'chemia', forma dell'egiziano .”km.t”, nero, da cui il paese nero, l'Egitto, ma anche, seguendo Mahdihassan, da un cinese meridionale 'kimiya', succo che fa l'oro (8).
Avicenna in un'immagine tratta dal Viridarium Chymicum di Stolcius de Stolcemberg, Francoforte 1624. L'epigramma di commento recita: "Egli diffuse nel mondo i segreti del magistero e frammischiò dei simboli nei suoi scritti. Congiungi il Rospo terrestre all'Aquila che vola, scorgerai il magistero della nostra arte.". Il mistero delle origini dell'alchimia si riflette nei testi latini nell'uso di annoverare fra i padri dell'alchimia i più diversi personaggi celebri (mitici e storici) dell'antichità giudaico- biblica, dell'antichità cristiana, dell'antichità islamica etc.
Questi dubbi non toccavano i Filosofi del medioevo, e uno splendido manoscritto (9) ribadisce l’origine egizia e l’etimologia, in un'introduzione che mescola norme operative all'elenco degli Adepti assisi in una sorta di Areopago astrologico:
"E primo ERMETE TRISMEGISTO re filosofo che siede in Ariete, regnò sull'Egittò: ha scritto sulla corona: così è vero senza mendacio, che è li vero de li veri. Nel libro: così separerai il grosso dal sottile, il fuoco dalla terra. Sulla coscia: la sua sostanza è dalle terre inferiori. Nel piede destro: così credi e vediamo. Nell 'altro: perché senza fede è impossibile pervenire.
Il nono sedente nel Sagittario fu ALCHIMO il quale tradusse in greco dall'ebraico per primo dal quale(l 'Alchimia) pigliò il nome. Ha scritto sulla corona: così si estolle sopra l 'arcano di tutte le scienze del mondo. Nel libro: così faccia in un momento il capo e la coda senza fine. Nella coscia: così la luna percuota mille e il sole diecimila in mille suoi perfettissimi. Nel piede destro: così togli gli impedimenti nella protezione degli astri. Nell'altro: perché gli inferiori sono sudditi dei superiori. "
Nell'esplosione ermetica del XVII secolo la riflessione storica si fa più attenta, ma non modifica gli assiomi di fondo, che danno all'Egitto e ad Ermete l'inizio dell' Arte Sacra. Così il Maier proprio da questi comincia il testo dedicato all'esame della tradizione in Occidente (10).
“…Il primo posto, presso la Mensa Aurea, la Regale Vergine CHEMIA assegnò ed attribuì ad ERMETE EGIZIO, in quanto suo viceré e Vicario. .
...che ERMETE non sia una persona fittizia, ma un antichissimo Filosofo Egizio, detto Trismegisto dai greci, consta da innumerevoli prove e circostanze…”.
Il medico dell'imperatore Rodolfo corrobora le sue affermazioni con date piuttosto precise:
«..egli (Ermete) visse nei tempi prima dei Faraoni, re d'Egitto all'incirca nell'anno del Mondo 1956 (11), cioè 300 anni dopo il diluvio, 2007 prima della nascita di Cristo... Cosicché precedette I 'uscita di Abramo da Charan, città della Mesopotamia, di circa 44 anni: quest'epoca peraltro coincide con l'età in cui Oceano, Osiride ed Iside, primi dèi dell'Egitto (seppure favolosi) si suppone abbiano regnato, cioè prima della Dinastia degli Egiziani, con la quale i pastori cominciarono a presiedere al regno, nell 'Anno del Mondo 2139». .
Cinquant'anni più tardi, il danese Oluf Borch, meglio noto come Olaus Borrichius, pone la nascita dell'ermetismo prima del diluvio, e ne fa padre Tubalcain «qui aliis nationibus Vulcanus est» (12). Più propriamente ne riporta l'origine e l'etimo secondo quanto ha letto in Zosimo Panopolitano, in un testo manoscritto della Regia Biblioteca di Parigi, che narra:
"...Dicono, o donna, le Sacre Scritture, ossia i libri, che esista una certa specie di geni che fa uso di donne. ...Questo dunque ricordano le Vecchie e Divine Scritture, che gli Angeli attirati da desiderio di donne, insegnarono loro tutte le opere della Natura. ...Da essi, tramandano le medesime Scritture nacquero i Giganti. Pertanto il loro primo insegnamento su quest'arte è, *chema*': chiamarono peraltro quel libro 'chema ': da cui anche è chiamata c la stessa arte CHEMIA».
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Ermete, anzi THOYTH, incise poi, su colonne «Iiteris hieroglyphicis sed lingua Sacra sive Aegyptiaca» tutta la dottrina salvata così dal Diluvio, infine tradotta in greco da Agathodemone, padre di Tat. Il nome le venne dall'Egitto, terra di Cham: .Chemia quasi chamia» dice Borch che riassume in conclusione la diffusione dell’ Arte Sacra:
«...nella terra di Cham grazie a Tubalcain... dall 'Egitto in Grecia, e quindi nel Lazio, da qui agli Arabi e ai Cinesi, infine in Spagna, Gallia e quasi in tutta Europa.. .
Evidentemente i filosofi Ermetici, più che a far storia, badavano a trasmettere un messaggio tradizionale: anch'essi dunque si rivelano poco utili a chi, inesperto del loro linguaggio, li voglia seguire su percorsi così scoscesi.
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Shou-lao, personificazione taoista della longevità. Secondo alcuni storici, l'alchimia greco-alessandrina deriverebbe da quella taoista.
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Per tutti i veri «curiosi» di buona volontà, ci proponiamo allora di descrivere finalmente un accenno di vera storia ermetica. Diciamo «accenno», perché all'immaginarci capaci di un compito davvero immane, e al quale ci sentiamo poco inclini, quale quello di scriverne una affatto completa, preferiamo l'opera più modesta che indichi qui e là una traccia, dia qualche suggerimento, segni una via percorribile da chi lo voglia. E forse anche noi, con un minimo di fIlosofica 'invidia', profitteremo dell'occasione, come i Vecchi Maestri, per aggiungere un piccolo anello alla lunga, antica, onusta catena.
È molto probabile che porsi il tema della Storia dell'ermetismo equivalga a voler descrivere la stessa storia dell'umanità. Non crediamo infatti che sia mai esistita una qualche forma di civiltà, che non abbia ospitato, in forma più o meno palese, un nucleo che possiamo definire ermetico.
Perché la nostra affermazione risulti più precisa, diciamo che ci pare di poter individuare una cultura ermetica, se si presentano le caratteristiche seguenti;
1 - la convinzione che esista una energia vivificante e intelligente (consapevole) che permea ed è all'origine della manifestazione universale, e, in particolare, di quel fenomeno che chiamano vita (13).
2 - la credenza in una possibile forma di immoralità fisica dell'essere umano.
3 - una rappresentazione del mondo, sottomesso ad una legge intangibile (fato, heimarmene, ecc).
4 - l'esistenza di una tecnologia metallurgica sufficientemente evoluta (14).
Ognuna di queste quattro caratteristiche può essere esistita in un particolare periodo e luogo, singolarmente o associata a qualcuna delle altre, ma solo la presenza contemporanea di tutte, permette uno sviluppo completo, teorico e pratico, dell'ermetismo.
Se ora ci volgiamo ai documenti che la storia ufficiale ci propone, dobbiamo constatare che solo a partire dal VII, VI secolo a.C. possiamo parlare di storia in senso proprio. Abbiamo poi delle informazioni frammentarie e variamente interpretate, che risalgono all'inizio del 3 millennio a.C.. Al di là di questa barriera, non vi è più nulla che si possa considerare storia in nessun senso. È una constatazione già fatta da altri, su cui non ritorneremo, e che ha a che fare con la teoria dei cicli ripetuti di distruzione parziale della superficie terrestre, che fa tuttavia parte dell'insegnamento tradizionale che stiamo 'studiando.
Qui, a sfatare alcuni luoghi comuni sull'uomo preistorico, che lo vedono simile a certi miserevoli primitivi che sopravvivono nelle foreste tropicali, conviene: una breve deviazione sulla più antica metallurgia (15).
Le notizie su miniere preistoriche sono scarse perché per lo più cancellate dall'attività mineraria successiva: appare comunque certo che l'estrazione dei minerali era regolarmente praticata sin dal Paleolitico superiore, cioè almeno 10.000 anni fa, quindi molto tempo prima della cosiddetta età dei metalli (16). Un esempio sono le testimonianze di estrazione del cinabro (solfuro di mercurio) a Vinča, nei pressi dell'attuale Belgrado.
La più antica metallurgia è certamente quella del piombo. Il più comune tra i suoi minerali, la galena (solfuro di piombo) si fonde così facilmente che basta ad ottenere il metallo un fuoco di legna secca o di carbone di legna all'aperto, con temperature inferiori a 800°C (17). I documenti più antichi su questo procedimento risalgono al 6500 a.C. a Çatal Huyuk in Asia Minore. Altri reperti in Iraq, Iran e in Egitto suggeriscono tutti per la fusione del piombo una notevole diffusione e un inizio nel VII millennio a.C.
In realtà è probabile che più del piombo, interessasse l'argento spesso presente sia nella galena, sia in vari minerali complessi di piombo-antimonio-argento. Numerosi manufatti di argento del IV millennio si sono trovati a Biblo, nel Libano, in Palestina, a Ur e Warka in Mesopotamia, a Beycesultan, Alikar Hűyűk e Korukustan in Asia Minore.
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Un altro mitico "padre dell'alchimia ": Morieno Romano (Viridarium Chymicum op. cit.). A questo personaggio la tradizione attribuisce la trasmissione del sapere alchemico al principe arabo Calid. Il trattato che espone il presunto colloquio tra Morieno e Calid fu tradotto dall'arabo in latino nel XII sec., probabilmente da Roberto di Chester: quest'episodio è posto da taluni studiosi come l'inizio dell'effettiva diffusione dell'alchimia nell'occidente medievale.
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Il processo per ottenere l'argento passava per la diffusione dei minerali di piombo: i due metalli si liquefano insieme, mentre altri elementi presenti nel minerale, come ferro, manganese, silicio, calcio e alluminio, passano principalmente nelle scorie. L'argento deve essere poi separato dal piombo e questo avviene per mezzo del procedimento noto come COPPELLAZIONE. La lega di piombo e argento viene fusa in un crogiolo e mantenuta ad una temperatura abbastanza elevata, mentre su di essa viene soffiata aria. L 'aria ossida il piombo, trasformandolo in litargirio (monossido di piombo).
Le impurità come rame, stagno, antimonio arsenico e bismuto, vengono anch'esse in gran parte ossidate; non l'argento, che per lo più contiene anche una traccia d'oro.
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Una volta che il litargirio sia stato assorbito dalle pareti del crogiolo (o eliminato con mezzi meccanici) rimane come residuo un globulo fuso di metallo nobile. L'argento così ottenuto contiene sempre una quantità residua di piombo, che può variare dal 2 allo 0,05%. Il coperchio di uno scrigno in argento, proveniente da Nagada in Egitto, del 3600 a.C., ha mostrato all'analisi un contenuto di piombo dello 0,45%, ed è perciò sicuramente un esempio di metallo ottenuto per coppellazione. Ci siamo dilungati su questo processo, in uso ancora oggi, e che appare dunque noto sin dalla più remota antichità, per notare che una civiltà che lo pratichi, non solo ha evidentemente raggiunto un livello tecnologico piuttosto raffinato, ma non può essere ingannata con leghe che simulino oro o argento: la coppellazione infatti, è anche il metodo più certo per riconoscere i metalli preziosi, e separarli da impurezze, Resta da chiedersi quanto una mitologia che narra di Crono- Saturno, il piombo, che mangia tutti i suoi figli, i metalli non nobili, ma non Zeus, il metallo nobile non ossidabile, sia stata influenzata da queste conoscenze metallurgiche. Ma è un tema che per ora rinviamo.
Alla fine del V millennio a.C. abbiamo testimonianze di una metallurgia del rame evoluta, alimentata da una propria industria mineraria. Una miniera sfruttata certamente sin dalla seconda metà del V millennio è a Rudna Glava, in Iugoslavia; nel pressi del confine con la Romania. Non lontano, ad Ai Bunar in Bulgaria, giacimenti di rame furono sfruttati molto presto, mediante la tecnica dell'estrazione a cielo aperto (18). Antiche miniere di rame sono note anche in altre parti d'Europa. Una di esse è stata scoperta a Chinflon in Spagna. Fuori dall'Europa, nell'area di Veshnovch nell'Iran, il minerale veniva estratto da una miniera con gallerie sotterranee lunghe 40 metri. Un'altra antica miniera di rame nell' Asia Occidentale è quella di Kozlu, nella Turchia centrale, i cui pozzi avrebbero una profondità di 50 metri.
Notiamo che ottenere il rame dai suoi minerali è piuttosto difficile. I minerali più comuni sono la malachite, l'azzurrite e la calcopirite. I primi due possono essere ridotti a metallo a temperature molto inferiori al punto di fusione del rame (1083 "C) ma questo resta disseminato e non disponibile, sinché la temperatura non salga abbastanza per fonderlo e trasformare la ganga, costituita da minerali rocciosi, nello stato di scoria fluida: il risultato si presenta con due liquidi non miscibili sul fondo della fornace. La fusione di tutti questi minerali richiede una temperatura intorno ai 1200°C. La calcopirite, che era la più usata, richiede un arrostimento precedente.
I primi fonditori del Mediterraneo Orientale generalmente procedevano riempiendo un forno di pietra con stati alternati di carbone di legna e di minerale combinato con un fondente. Questo, nel forno caldo, tendeva a combinarsi con la ganga e la allontanava dal metallo. In molti minerali la scoria era costituita da ossido di silicio in varie forme. Il fondente appropriato era allora un ossido di ferro, l'ematite, che alla temperatura del forno si combinava con la silice formando un silicato di ferro. Se il minerale di partenza aveva una percentuale significativa di arsenico, ciò che si otteneva non era rame, ma del bronzo naturale, che aveva il vantaggio di possedere una maggior durezza: si preferivano perciò minerali di rame arsenicale sinché, nel II millennio, non si scoprì che lo stagno induriva il rame al pari dell'arsenico con minor tossicità. Nei primi anni del secondo millennio la produzione di bronzo allo stagno aveva superato quella di bronzo all'arsenico.
Verso la fine del II millennio il ferro cominciò a sostituire il bronzo nella produzione di utensili ed armi, ma questa non va considerata un'innovazione tecnologica, quanto piuttosto la risposta ad un'improvvisa scarsità di bronzo, probabilmente dovuta ad un'interruzione nel rifornimento di stagno: il bronzo infatti presentava rispetto al ferro vantaggi considerevoli, e quindi solo la necessità può spiegare questa sostituzione insoddisfacente.
I primi lavoratori metallurgici infatti estraevano il ferro da minerali, soprattutto ematite e magnetite, per mezzo di un processo molto simile a quello usato per ottenere il rame. Vi era però una notevole differenza. Il ferro non fonde a temperature inferiori a 1537°C e la massima temperatura raggiungibile nei forni in uso all'epoca era di circa 1200°C. La fusione del minerale di ferro a quella temperatura non dà un bagno di metallo fuso, ma una massa spugnosa mista a ossido e silicato di ferro. In seguito la martellatura alla forgia trasformava, con una specie di spremitura meccanica, il massello di ferro poroso in una struttura continua di particelle di ferro qua e là interrotta da inclusioni di scoria non eliminata. Questo era il materiale di partenza da cui il fabbro ricavava poi oggetti con ulteriore riscaldamento e martellatura. Ciò che il fabbro si trovava a dover lavorare era un cattivo succedaneo del bronzo. Infatti il ferro così ottenuto è un metallo dolce, decisamente meno resistente (19). Si consideri poi che il bronzo poteva essere fuso alle temperature raggiungibili all'epoca e che si corrode lentamente, mentre il ferro si corrode rapidamente con danni spesso gravi. Si comprende dunque come non si sia trattato di un progresso, almeno per quel periodo (20), anche se allora dovette certamente incominciare uno studio teso a migliorare le prestazioni del ferro e per aumentare la temperatura dei forni, che condusse nel tempo a risultati validi.
Ci resta dunque, per concludere, dalle profonde nebbie di questa autentica preistoria che possiamo studiare solo per indizi e tracce, l'immagine di un mondo evoluto, provvisto di una tecnologia per nulla rudimentale, che ha acquisito una notevole dimestichezza con processi di fornace e metallurgici, che sa riconoscere e manipolare composti chimici, i cui resti preziosi testimoniano di civiltà non certo primitive.
Questa è la fredda descrizione tecnica, la stessa suggerisce più calde visioni, per quanto solo supposte e mai provate.
Ci pare di poter sognare qui operai "benvoluti" che avvertono, in cave oscure che la lucerna appena illumina, l'empito vitale che a pochi è dato riconoscere nella "materia inerte". Li vediamo toccare toccati, manipolare manipolati, osservare osservati, in una sempre più ampia consapevolezza che climi più miti e aure più propizie favoriscono e non ostacolano. Li sentiamo stupiti, chini sui forni, non ancora assordati da progressi improbabili, udire i lamenti del minerale torturato, le grida del metallo liberato. Li scorgiamo sognare titaniche lotte, uccisioni, morti e vendette, vergini e eroi, incesti e nozze sacrali, fiamme divoratrici, fiati velenosi e nascite miracolose. Li scopriamo nascosti in tende sui monti, accoglienti e protette, cuocere lentamente a dolce fuoco di lampada viventi amalgame, olenti e profumati miscugli, in pacifiche notti rugiadose di primavere clementi. Li vediamo, fabbri proscritti e zoppi, mal sopportati, iniziare pochi destinati all'emarginazione invidiosa, che già disprezza e teme, inventare sacerdozi e templi, miti e religioni, per nascondere ai molti e insegnare ai pochi...
Un sogno, senza dimostrazioni, senza prove, senza alcuna utilità, piccola parentesi che il lettore indulgente ci avrà perdonato.
Ponendoci ora all'inizio del periodo esaminabile, incontriamo due grandi centri di civiltà: quello del bacino dell'Eufrate e quello del basso corso del Nilo. Tra i due Corrono rapporti molto precisi, ed entrambi hanno la curiosa caratteristica di affacciarsi sulla scena del mondo con un sistema dottrinale, religioso e scientifico unitario e già completo sin dall'inizio del periodo. Nel seguito non si nota alcun progresso, ma solo decadenza, mentre siamo costretti a presupporre un lungo sviluppo antecedente, di cui non resta alcuna traccia.
Dei due, ci interessa particolarmente quello sumero-babilonese (21 ), perché vi troviamo l' origine di buona parte di quel simbolismo che si trasmetterà intatto nei millenni sino ad oggi.
Esaminiamo innanzitutto la teoria (22). Nasce nella Babilonia la cultura sacerdotale: i principi fondamentali sono tutti fondati sulla convinzione che il mondo, la manifestazione fenomenica, è basato su una energia compenetrante, chiamata ME, che imprime vita e movimento alla realizzazione materiale secondo un processo dominato dalla necessità (23). Tutto ciò che è, non è che materializzazione di questa energia spirituale, che è a sua volta emanata direttamente dalla divinità, se addirittura non vi si identifica.
Di conseguenza una sottile struttura di invisibili relazioni collega tutto ciò che esiste, dal fenomeno più grande al più piccolo, in una rete apparentemente inestricabile di “simpatie”, che il sapiente soltanto sa discernere, comprendere e, se il caso, utilizzare. Lo studio degli astri allora non è fine a se stesso, ma nell'armonico succedersi dei movimenti planetari, per chi sa leggere e tradurre, si riconosce la forma più chiaramente manifestata di questa legge universale e si traggono informazioni sul mondo inferiore.
Foglio di un manoscritto alchemico arabo del XVII sec.
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Una prima triade è la massima manifestazione rivelata: si concretizza in Sole, Luna e Venere, dove Luna è padre, Sole figlio e Venere figlia e sposa di entrambi. È il primo esempio storico di quello che si chiamerà in tempi più tardi l'incesto filosofale, così come dei tre principi che stanno a fondamento della creazione.
Agli altri pianeti sono affidate le direzioni spaziali, che conviene ripetere a favore di chi voglia penetrare il simbolismo di certe costruzioni medievali. Occidente a Mercurio, meridione a Saturno, oriente a Giove, settentrione a Marte. A Venere spetta l'alto», al Sole, forza tenebrosa, appartiene il mondo infernale.
Ogni pianeta ha un colore: nero Saturno, giallo Giove, rosso Marte, porpora Sole, bianco Venere, azzurro Mercurio, verde Luna,
Mercurio occidentale è guida dei morti, conduce agli inferi le anime dei trapassati. È anche luna calante, come stella della sera. Marte è pianeta lunare, è luna piena. Saturno è solare, luna in posizione di sole o luna nuova.
Al tempo dell'equinozio, la più evidente immagine astrale, la Croce, era visibile nel cielo di Babilonia, per scomparire al tempo del solstizio. Questa è dunque la Conclusione per antonomasia: nei documenti si mette la croce per Indicare che lo scritto è finito: l'ultimo segno grafico della scrittura è una croce ed ha per nome “adempimento, fine”, cioè TAM, o, secondo la pronuncia babilonese, accolta anche dagli ebrei, T A W.
Il mito annuale del dio, si conclude al termine dell'orbita col “dio appeso alla croce”.
Risuonano antichi accordi, armonie purissime, canoni su cui per millenni si eserciterà il virtuosismo di misteriosi musicisti, che ripeteranno in infinite variazioni la stessa melodia, che non si può cambiare, perché è l'essenza stessa dell'”Arte della Musica”.
Non riconosciamo forse nella scala cromatica dei pianeti e metalli, la successione stessa dei colori alchemici? Nella giusta collocazione, nel corretto succedersi, così come si manifestano attraverso il vetro, da Babilonia al cimitero dei Santi Innocenti dove, quattro millenni più tardi, dice Nicolas Flamel:
"...j'ai aussi mis contre la muraille, d'un & d' austre costé, une procession en laquelle sont représentées par ordre toutes les couleurs de la Pierre ainsi qu 'elles viennent & finissent, avec cette inscription francaise:
MOULT PLAIST A DIEU PROCESSION S'ELLE EST FAICTE EN DEVOTION-. "
“... Ho anche messo contro il muro, da entrambi i lati, una processione nella quale sono rappresentati in ordine tutti i colori della Pietra, così come vengono e finiscono, con questa iscrizione francese:
PIACE MOL TO A DIO PROCESSIONE S'ESSA È FATTA IN DEVOZIONE- …” (24).
Il mitico Hermes Trismegisto, "padre eccellente" dell'alchimia (Viridarium Chymicum op. cit.)
Un'ipotesi di prassi alchemica prevede, come si è già detto, una tecnologia utilizzabile. In effetti abbiamo già parlato delle conoscenze metallurgiche. Alt informazioni su operazioni chimiche si traggono da testi che descrivono la preparazione farmaci per uso medico. Una tavoletta cuneiforme della fine del III millennio dice:
«Purifica e polverizza la (pelle di un) serpente d'acqua; versa acqua sulla pianta AMAM" SHDUBKASKAL, su radice di mirto, alkali polverizzato, orzo e resina polverizzata , abete. Fai bollire. Lascia decantare il liquido, (estratto)..»
Dalla stessa tavoletta, un'altra prescrizione dice «Purifica, polverizza la... .di una vacca. Versa acqua su un ramo di mirto, una «pianta stella» , la radice dell’albero AB, una mela secca, e il sale IB. Fa bollire. Filtra il liquido. Lava col filtrato. Aggiungi salnitro e la pianta...» (25)
Più interessante, un testo di contabilità, che riporta:
«Due anelli d'argento, ciascuno del valore di 5 'shekel', del peso di 9 5/6 'shekel' meno 3 grani, il suo riscaldamento col fuoco uguale a 60 grani, e la sua quantità lasciata uguale a 23 grani»
Qui appare una prima operazione, evidentemente una fusione in cui si ossidavano il litargirio le impurezze plumbee che si volatilizzavano, seguita da una coppellazione in cui una piccola quantità di materiale era persa nei fori della coppella (26).
Per quanto riguarda i materiali noti e catalogati, una tavoletta elenca una lista su cui leggiamo:
«Oro, colore, orpimento, polvere bianca di allume, polvere nera, a/lume e gesso»
Un'altra lista contiene nomi di differenti leghe d'oro:
«Oro, oro verde, oro fino, oro bianco, oro rosso, oro sopraffino, oro raffinato»
Sin dal terzo millennio abbiamo liste di Strumenti che ci danno l'idea di un apparato chimico molto completo: vasi da fusione, apparati per filtrare, vasi separatori, alambicchi, sublimatori e apparati di estrazione così come molti altri tipi di strumentazione sono stati riconosciuti negli artefatti scoperti(27).
Nel I millennio la lista dei prodotti chimici include: sale comune, salgemma rosso, calce, salnitro, carbonato di soda, sale armoniaco, alkali dalle piante, gesso, mercurio dal cinabro, allume, zolfo nero e giallo, bitume, varie forme di arsenico, ossido di rame rosso e nero, crisocolla, acetato di rame, ossidi di zinco, ossidi di ferro, ematite, minerale magnetico di ferro, piriti ferrose (che procurano vetriolo), solfuri di ferro, solfato di rame e probabilmente acido solforico ottenuto dal vetriolo verde (chiamato HANNABAHRU).
Come si vede, ci troviamo in presenza di una tecnologia sufficientemente, anzi abbondantemente, completa per immaginare tutti i possibili procedimenti alchemici noti, Altri testi suggeriscono l'esistenza di una teoria squisitamente ermetica: quella della Terra Madre, nel cui ventre i minerali crescono come embrioni in gestazione e, se lasciati stare, giungono a maturazione e perfezione. In particolare, una dettagliata istruzione sulla fabbricazione di un forno, utilizza il termine 'KU-BU', embrione, feto, inteso come l'insieme dei minerali disposti perla fusione nel forno, assimilato alla matrice (28).
Il testo, che appartiene alla biblioteca di Assurbanipal, dice:
«Quando disporrai il piano di un forno per minerali (kubu), tu cercherai un giorno favorevole in un mese favorevole, e allora disporrai il piano del forno. Dopo che il forno è stato orientato e tu ti sei messo all'opera, poni gli embrioni divini nella cappa del forno: un altro, un estraneo non deve entrare, ne alcuno impuro deve camminare davanti a loro: tu devi offrire le libagioni dovute davanti a loro: il giorno in cui depositerai il 'minerale' nel forno, tu farai un sacrificio davanti all'embrione; tu poserai un incensiere con incenso di pino; tu verserai della birra 'kurunno' davanti a loro. Tu accenderai un fuoco sotto il forno e depositerai il 'minerale 'nel forno. Gli uomini che condurrai per aver cura del forno si devono purificare e (dopo) tu li stabilirai per aver cura del forno. La legna che tu brucerai sotto il forno sarà dello storace (sarbatu), spesso, in grossi ceppi, senza scorza, che non sono stati esposti in fascine, ma conservati sotto una coperta di pelle, tagliati nel mese di Ah. Questa legna sarà messa nel tuo forno».
Comunque si voglia interpretare questo documento, appare evidente che rappresenta una sacralità in cui le più minute operazioni metallurgiche assumono un significato non comune. È testimonianza di esperienze vissute e concrete. Qualunque alchimista operativo, millenni più tardi, ne confermerebbe il valore, probabilmente con un discreto sorriso di compiacimento.
Ritratto immaginario del filosofo greco Democrito come alchimista (Viridarium Chymicum op. cit.). Sotto l'immagine è scritto: "Democrito prorompeva in grandi risate, ridendo della vanità della mente umana. Aveva lui lieto scoperto lontani approdi, di poi venne in possesso delle molteplici forze della Natura. Affinché il mobile spirito sia dispogliato dal denso corpo, provvederanno ignei farmachi con regola costante.".
Questa sacralità attribuita ad operazioni che paiono solo chimiche, si può dedurre anche da un altro testo, lo scritto di un mastro vetraio. Si tratta di Liballit- Marduk, figlio di Ussur-an-Marduk, sacerdote di Marduk in Babilonia. Contiene ricette per fare smalti da rame e piombo. Interessa qui che l'autore sia di casta sacerdotale, e che già anticipi il gergo criptico degli ermetisti posteriori, esprimendo chiara la volontà di celare la sua scienza a chi non lo meriti.
Tuttavia è nel mito che potremmo più facilmente individuare il vero inizio di un linguaggio che trascende la tecnica operativa, e la rivela nella sua pienezza al solo iniziato. Tralasciamo per ora la famosa epopea di Gilgamesh, trattenendone solo il chiaro riferimento ad una bevanda di immortalità. Leggiamo piuttosto l'orgogliosa iscrizione che Sargon, il grande imperatore lasciò a memoria, conservata nei secoli. Ne sottolineiamo le parole chiave:
"..Sargon il potente, il re di Accad io sono. Mia madre era una sacerdotessa vergine, mio padre ignoto. Il fratello di mio padre abitava sulle montagne. Nella città di Azupirani, sulla riva dell'Eufrate mi portò mia madre, la Vestale. Ella nascostamente mi diede alla luce. Mi mise in un recipiente, che chiuse con bitume, e mi abbandonò al fiume. La corrente mi trascinò via e mi portò da Akki, l'acquaiolo. Akki, l'acquaiolo, fece di me un giardiniere. La mia attività come giardiniere piacque ad Ishtar, e io divenni re e regnai per quarantacinque anni”.
La favola appare dunque davvero antica. Nel tempo ne misuriamo le numerose varianti. Il padre ignoto è un dio, dei venti, delle tempeste, della guerra. Oppure decisamente lo stesso Spirito Divino. La vergine, sarà principessa, o «lupa», a memoria dei numerosi amplessi che non l'intaccano. L'artigiano si fa falegname o fabbro. L 'involucro può mutarsi in grotta o caverna. Il giardino o «compimento., può diventare croce o supplizio. La sostanza non cambia.
Della trama ermetica che la sostiene, possiamo dare il disegno, che traccia le operazioni conclusive dell'Opera:
Nasce il piccolo sole ermetico, il “regulus”, il reuccio, dal mercurio sempre vergine e dal solfo segreto, che non si manifesta mai agli occhi dell'operatore se non dai risultati. La madre lo porta sulle acque del mare dei Saggi, in una generazione coperta dalle più oscure tenebre. Qui sorge racchiuso in un involucro che è la stessa condensazione delle acque superiori, cioè di quell’ acqua secca, definita come l' artigiano stesso dell'opera, il 'leale servitore'. estratto dall' acqua, grazie all' artigiano delle acque, si riveste dapprima di tutti i colori, sino allo sbocciare conclusivo, nel giardinettoermetico, del giglio e della rosa, i due splendidi fiori, che consacrano, con il benvolere della Natura, la somma regalità con la corona dell'Adepto.
Non vi è allegoria in questa trama, se non per chi ne rifiuti il reale incanto. Nei secoli, nei millenni, in lunghe notti di veglia, pazienti e fortunati Artisti hanno visto il miracolo, e lo hanno ritrascritto fedeli, annunciando che sulla Terra, nel periodo propizio, ogni anno avviene la grande Epifania, per “gli uomini di buona volontà”.
Una delle rare figure femminili dell'alchimia: Maria l'Ebrea, la sorella di Mosé cui si fa cenno nell'antico testamento (Viridarium Chymicum, op. cit). La trasformazione della mitica Maria nell'antenata dell'alchimia risale ad una tradizione piuttosto antica. In un trattato "firmato" da Maria l'Ebrea è descritto quel particolare processo di cottura che ancora oggi è chiamato "Bagnomaria".
Note:
(2) In particolare del Berthelot: Introduction à I'etude de la cbimie des Anciens et du Moyen Age, Paris 1889; Les origines de l'Alchimie, Paris 1885; La chimie au Moyen Age,Paris M.DCC.XCIII.
(4) Tra l'altro in greco theion significa 'zolfo', ma anche 'divino', proveniente dalla divinità, 'Sacro', in modo aggettivo, e 'divinità', 'natura o essere divino' come sostantivo. Il che dovrebbe indurre a caute riflessioni.
(5) In realtà Jung era stato preceduto da H. Silberer, allievo di Freud che a sua volta aveva ripreso temi sviluppato da E. A. Hitchook, generale statunitense, erudito e massone influenzato da Swedemborg. Sono le opere di Jung e dei suoi allievi comunque a guidare ormai questa tendenza. Per questi problemi vedi A History of psychological interpretation of Alchemy di L. H. Msartin jr., in Ambix vol 22 n°1, marzo 1975
(6) Non daremo indicazioni bibliografiche, peraltro facilmente accessibili. Non possiamo però non ricordare La tradizione ermetica di J. Evola, non fosse che per la notevole ilarità che ci ha procurato la lettura di alcuni brani, in un testo eccezionale, oltre che per la noia profonda che ispira, per l’idiozia delle dottrine socio-politiche sottintese.
(8) Ne riparleremo con più dettagli nell’esame dell’antica alchimia cinese. E’ certamente un’ipotesi suggestiva.
(9) Liber Laureatus, R. Bibl. Cas. 1477, n. 1: “Guglielmi Philosophi liber de Monade inc. Unus Deus in essentia…. ». Studiato particolarmente da Carbonelli, vediSulle fonti storiche della Chimica e dell’Alchimia in Italia, Roma 1925.
(10) Symbola Aurea Mensae duodecim nationum….Autore Michaele Maiero…Francofurti….MDCXVII, lib. 1 : “Hermetis Aegiptiorum regis et antesignani Symbolum”: Sol est eius coniugii pater et alba Luna Mater, tertius succedit, ut gubernator, Ignis
(11) Si intende, dalla creazione del mondo
(12) Jo. Jacobi Magneti… Bibliotheca Chemica Curiosa, seu rerum ad Alchimiam pertinentium Thesaurus instructissimus…Genevae MDCCII Tomus Primis, lib 1, Sectio prima “ De Alchimiae ac Primariorum in ea Scriptorum historia” Subsectio prima: “De hortu & progressu Chemiae Dissertatio” Autore Olao Borrichio medico regio & in Accademia Hasniens Professore publico.
(13) Uso qui una terminologia forzatamente imprecisa, per non appesantire il discorso. Le parole vanno quindi intese nel loro senso più “ingenuo”. Prima fra tutte «energia».
(14) Almeno la metallurgia del bronzo. Vedremo che ad una tecnologia che non conosca ancora la fusione del ferro, corrispondono forzatamente metodi alchemici, più tardi compresi sotto il generico nome di «via umida».
(15) Per questa parte vedi in particolare: L.B. Iovanovic Le origini dell'estrazione del rame in Europa, «Le Scienze., n. 143. N.H.Gale e Z.Stos-Gale Piombo e Argento nell'antico Egeo «Le Scienze. n.156. R.Maddin, G.D.Muhly e T.S.Wheeler Come ebbe inizio l'età del ferro, «Le Scienze. n.113 e la bibliografia citata.
(16) L’inizio dell’età del bronzo antica (EBI) si pone intorno al 350 a. C.
(17) Questa temperatura è molto superiore al punto di fusione del piombo metallico che è di 327 ° C.
(18) Cultura di Karanovo VI, tardo Calcolitico.
(19) Questo ferro ha una resistenza a trazione di circa 28 kg.\mm2 , solo di poco superiore a quella del rame puro (22 kg.\mm2). Il processo di incrudimento causato dalla continua martellatura può portarne la resistenza a 70 kg.\mm2. Tuttavia un bronzo all’11% di stagno ha, allo stato di getto, una resistenza a trazione di 48 kg.\mm2 , che dopo la lavorazione a freddo può raggiungere 84 kg.\mm2.
(20) Il ferro non venne fuso prima della metà del primo millennio a. C. , quando il processo fu realizzato per la prima volta dai cinesi in estremo oriente.
(21) Per semplicità non discuteremo qui del difficile e controverso problema dell'attribuzione alla cultura sumera o a quella semita che le succedette, delle singole caratteristiche notate. Siamo comunque convinti che l'insegnamento originario sumero sia stato solo parzialmente deformato dai popoli successivi.
(22) Per quel che segue vedi, tra l'altro: Hugo Winkler, La cultura spirituale di Babilonia, Ed. Rizzoli, Milano 1980; H.C.Puech, Storia delle religioni, vol.I, Ed. Laterza, Bari 1970.
(23) Anche i decreti reali hanno il nome di “me” per analogia.
(24) N. Flamel Les Figures Hieroglyphiques , in Trois Traictez de la Philosophie Naturelle….par P. Arnaud, Sieur de la chevallerie Poicteuin …Paris MDCXII
(26) Ibidem
(27) R. Campbell Thompson A Survey of the chemistry of Assyria in the Seventh Century b.C. in Ambix, II, 1
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