Siama Saleh, 60 anni, lavoro spacca pietre
Da sette in un campo profughi in Ciad, lavora nella cava 12 ore al giorno
Le mani di Siama
Siama Saleh
Siama con altre donne nella cava
Una donna del campo nella cava di pietre a Goz Beida
Una donna spacca pietre e allatta il figlio
Siama con altre donne nella cava
Il lavoro nella cava
Il centro di distribuzione alimentare a Goz Beida
l'interno del campo profughi a Goz Beida
L'ospedale del campo profughi
Gli alloggi delle donne
Siama Saleh
Siama con altre donne nella cava
Una donna del campo nella cava di pietre a Goz Beida
Una donna spacca pietre e allatta il figlio
Siama con altre donne nella cava
Il lavoro nella cava
Il centro di distribuzione alimentare a Goz Beida
l'interno del campo profughi a Goz Beida
L'ospedale del campo profughi
Gli alloggi delle donne
Siama Saleh spacca pietre 12 ore al giorno, sette giorni su sette. Non è una reclusa, è una profuga di 60 anni, da 7 a Goz Beida, estremo est del Ciad, savana da 40 gradi all'ombra in attesa che la stagione delle piogge, in ritardo in questo capriccioso 2013, non renda tutta la regione un pantano.
Con l'acqua, che porta brutali alluvioni, si bloccherà anche questo lavoro, l'unico per le migliaia di profughi che negli ultimi anni hanno trasformato questo villaggio sperduto nella savana in una piccola città, affollata ma senza alcun tipo di servizio, se non quelli portati dalle Ong internazionali.
Saleh è una delle formiche della collina in cui lavorano decine di donne, dagli 8 ai 70 anni, tutte intente a spaccare pietre per 1,5 euro al giorno. "E' l'unico lavoro che possiamo fare", spiega Saleh nel suo dialetto, "spacchiamo pietre tutto il giorno, 12 ore al giorno, gli intermediari ci danno del denaro, ci serve per sopravvivere.
Ma è duro e non mancano gli incidenti". Lei, Saleh, ha un dito senza una falange, finita tra le pietre spaccate. Un incidente comunque minore in una regione che patisce le stigmate pesanti della malnutrizione, la piaga della malaria e delle infezioni respiratorie e che negli ultimi mesi è ritornata in prima linea nella mappa delle crisi umanitarie.
(ANSA)
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