Qualche minuto, un lungo corridoio.
Fuori, le urla della gente che non vede l'ora di vederti, nella tua maestosità, nella tua grandezza.
Un misto di popcorn, sudore e tabacco inonda le narici.
Il respiro si fa pesante.
Proprio ieri, l'ultima analisi. Ed i risultati non sono stati quelli che avevi sperato.
"Non molto tempo, Sig. Roussimof" - aveva detto il dottore.
"Non è una cosa che possiamo fermare, purtroppo. Il corpo continuerà a crescere, in maniera non regolare, e le ossa si sgretoleranno sotto il suo peso".
Hai sconfitto tutti. Quel biondino da Tampa. Inoki. Tutti quelli che sono saliti, anche 3 per volta, sul quadrato con te.
Ma questo no, non si può sconfiggere.
Le urla si fanno più forti, la luce entra flebile dai lembi del telo all'entrata.
L'annunciatore ha già presentato il tuo avversario. Ora tocca a te.
Cosa fare adesso? Non ci sono soluzioni.
Il tempo è poco. Ogni minuto, è un minuto in meno.
Ti fermi.
Un attimo, un secondo. Una eternità divisa tra due gocce di sudore che
sul sudicio pavimento del Madison Square Garden.
E rifletti. E decidi.
Non potrò essere un gigante per sempre.
Non potrò essere campione per sempre.
Non potrò essere vivo per sempre.
Ma potrò essere ricordato in eterno.
Il telo si apre. L'annunciatore ti chiama.
Si va in scena.
Sipario.
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