sabato 18 ottobre 2014

L’intervista. Luigi De Magistris: “Contro di me poteri deviati, ero d’intralcio al sistema”

Piero Grasso attacca De Magistris: "Deve dimettersi, la legge Severino va applicata"-Gea Ceccarelli-Luigi De Magistris, ex magistrato e oggi sindaco "sospeso" di Napoli. Condannato a un anno e tre mesi per abuso d'ufficio, assieme al suo ex consulente Gioacchino Genchi.
Secondo la Procura di Roma, è colpevole di aver acquisito, senza autorizzazione, i tabulati telefonici di alcuni parlamentari, nell'ambito dell'inchiesta Why Not, datata 2006.
Si è sempre proclamato innocente, ha sottolineato come si sia trattato di un errore giudiziario, ma non può nascondere l'amarezza per esser stato punito per aver fatto solo il suo dovere.
La sua storia, d'altra parte, è emblematica. La morale, purtroppo, sempre la stessa: chi tocca certi poteri, viene delegittimato, ostacolato, messo da parte, isolato.
E De Magistris lo sa, per questo non vuole abbassare il capo e, garantisce, andrà avanti.
Sindaco, iniziamo con una domanda a bruciapelo: la Legge può calpestare la Giustizia?
Io questo l'ho sempre pensato, non è un ragionamento che faccio da adesso. Mi torna alla mente il ricordo di alcuni giuristi tedeschi della fine del '700: in un testo molto bello si parlava dell'abuso della legge, dell'abuso di potere che può sussistere attraverso la legalità formale.
Non è un caso che ci siano sentenze ineccepibili dal punto di vista formale o che nella storia ci siano stati episodi in cui da parte delle Istituzioni, dello Stato, si siano verificate iniziative dal punto di vista legale formalmente e apparentemente ineccepibili che, però, contrastavano contrò la verità, contro la giustizia e contro il diritto. Infatti io, anche quando giravo nelle scuole, ho sempre parlato di giustizia più che di legalità, o quanto meno di legalità costituzionale e non formale…tanto più che faccio un po' di fatica a pronunciare questo termine.
In un'intercettazione di Chiaravalloti che la riguardava, si prometteva: “Lo costringeremo per tutta la vita a difendersi”. Una minaccia “massonica” che sembra essersi trasformata in previsione: è così?
La chiamarono infatti la profezia di Chiaravalloti. E' assolutamente così. Del resto sono convinto che lui pronunciò appositamente quelle parole al telefono, nella consapevolezza o nella possibilità di essere intercettato. Quel contenuto fa venire i brividi, considerato che viene espresso da una persona che ricopriva i più alti gradi della magistratura calabrese. Era un uomo particolarmente potente, nella magistratura, nella politica, nelle istituzioni.
Ed è una previsione che si è realizzata: sono stato il magistrato che ha subito il più alto numero di interrogazioni parlamentari nella storia della Repubblica Italiana, il magistrato che ha subito le ispezioni più lunghe e articolate di sempre, volute da governi di colore politico totalmente (o apparentemente) diversi, il magistrato che ha subito il maggior numero di procedimenti penali, da cui sono uscito sempre lindo.
E' un fatto storico, che in quell'intercettazione si dicesse che mi avrebbero costretto per tutta la vita a difendermi e che avrebbero dato i soldi alla camorra napoletana…E' quello che è accaduto.
Sono 15 anni che mi difendo nei processi disciplinari, penali, semplicemente per aver fatto il mio dovere, ed è questa la cosa curiosa.
Se andiamo a prendere le mie vicende giudiziarie, infatti, a cominciare dall'incredibile processo dinanzi dal Csm presieduto da Mancino, ci si rende conto, se si ha voglia di approfondire, per quali ragioni io fui trasferito da Catanzaro e mi fu strappata la toga di pm.
Quindi massoneria, ma non solo: ricordiamo il “funerale” di De Magistris e i manifesti funebri. In terra di Camorra, difficilmente definibili “goliardate”; di fatto, lei ha infastidito una rete di poteri pericolosi. Per questo, rispetto alla condanna che l'ha colpita, si ha l'impressione che l'abbiano voluta eliminare dai giochi perché ostacolava qualcuno. Chi?
I miei ideali di giustizia, che possedevo da magistrato, li ho portati nella vita di sindaco. Io sono sempre lo stesso. Ovviamente da pm operavo in un certo modo e da primo cittadino in un altro. Ma, in entrambe le vesti, mi sono posto contro la camorra, anche contro quella più pericolosa, quella dei colletti bianchi, quella del sistema politico e affaristico.
Per cui ci sono stati, sì, episodi apparentemente scherzosi in questi 3 anni, come le mie esequie e i manifesti funebri.
Noi ci siamo messi contro un sistema che ha governato per quindici anni, lasciando la città in balia dei rifiuti, in balia di consulenze d'oro, in balia di una trasparenza inesistente, bilanci comunali truccati, società partecipate sostanzialmente fallite. Noi con questo sistema non siamo scesi a patti e, anzi, abbiamo continuato a contrastarlo duramente, questo “patto del Nazareno” in salsa napoletana, questo sistema trascendentale che passa anche attraverso la politica.
Contro di me, dunque, si saldano gli interessi criminali che ho contrastato da magistrato, in cui prendono parte anche ambienti massonici deviati, reti occulte che sono molto forti nelle istituzioni.
Quando parlo di istituzioni, è importante sottolinearlo, non mi riferisco soltanto alla politica, ma anche a pezzi di apparati di controllo, di servizi, di magistratura. “Pezzi”, ovviamente, che però vengono tenuti uniti tra loro attraverso le strategie di massonerie deviate che mi lavorano contro anche adesso. E non si fermeranno finché non rinuncerò alla mia veste di uomo pubblico, me l'hanno fatto capire.
L'opera di distruzione, dunque, non è solo contro De Magistris istituzione, ma anche contro De Magistris uomo.
D'altronde lo disse anche la Magistratura di Salerno, prima di essere polverizzata e trasferita, che “De Magistris ha agito correttamente, ma contro di lui è stata messa in atto una meccanicazione criminale per delegittimarlo, ostacolarlo, metterlo in condizione di non nuocere e non portare avanti le sue inchieste."
Qualcosa di pesante e articolato è stato dunque ricostruito nelle sedi istituzionali.
Spieghiamo perché la condanna che l'ha colpita è “assurda”?
E' veramente incredibile; talmente incredibile che faccio fatica a crederlo solamente un errore giudiziario.
Cominciamo dalla competenza: se si pensa che un magistrato della Corte di Appello di Catanzaro abbia compiuto un reato, secondo il codice di procedura penale, sarà impiegata la magistratura di Salerno.
Tutti i processi in cui sono stato coinvolto, infatti, sono stati affidati alla Procura di Salerno. Tranne gli atti di questo procedimento che, curiosamente, dalla Procura Generale sono stati trasmessi Roma dopo l'avocazione dell'inchiesta Why Not.
Ripeto: non a Salerno, dove i magistrati, dopo anni di indagini, erano giunti alla conclusione che avevo agito correttamente, ma a Roma con una competenza, dal punto di vista giuridico, totalmente inesistente. Però Roma è sede del Parlamento e chissà perché il procedimento doveva esser tenuto proprio lì…
Gli atti sono stati poi preso in carico da un magistrato che ha avuto un percorso molto discusso, Achille Toro, coinvolto in inchieste relative alle vicende della protezione civile e in fatti di corruzione.
Oltre ad essere costellata da una serie di illegittimità molto gravi, che io mi auguro vengano riformulate in secondo grado, quello che mi sorprende maggiormente della sentenza è che vengo condannato per abuso d'ufficio non patrimoniale -non credo che esistano altri casi simili nella storia giudiziaria italiana-  perché avrei acquisito consapevolmente delle utenze già sapendo fossero di parlamentari. Secondo le accuse, l'avrei fatto per danneggiare gli stessi.
Ora, a parte che negli atti del processo non c'è un elemento che faccia ritenere che io fossi a conoscenza della provenienza di quelle utenze -tanto è vero che lo sostenne anche la Procura di Roma nelle indagini, che pure non fu affatto tenera nei miei confronti-, anche se fosse, dato che tutti i magistrati sanno che le utenze dei parlamentari si possono acquisire solo previa autorizzazione a procedere (la cosiddetta “legge Boato"), sarei non da condannare, ma da internare. E' come uno che sta per andare a rubare la marmellata e telefona alla polizia per dirgli in che supermercato e a che ora compirà il reato.
Agli atti c'è la prova che il dottor Gioacchino Genchi -vicequestore della Polizia di Stato, uomo tra i massimi esperti in Italia per indagini sofisticate, che si occupò anche di processi di mafia- mi fornì un elenco di utenze dicendomi che sarebbero dovute esser acquisite. Eravamo entrati nel cuore delle attività investigative e stava emergendo un'associazione per delinquere, una rete importante, dedita alla corruzione, all'accaparramento di fondi europei, condizionamento di organi costituzionali…tanto più che avevo pensato anche alla Legge Anselmi sulle associazioni segrete. Si parlava, quindi, di una rete occulta che governava di fatto le istituzioni, una cosa molto delicata.
Genchi mi fece un elenco di utenze senza intestatario e io, come è ovvio, mi fidai del mio consulente. Nel momento in cui lui scoprì che appartenevano a parlamentari, me lo segnalò, io mi fermai per richiedere le autorizzazioni a procedere e frenammo l'inchiesta Why not.
Inoltre, è importante sottolineare che neanche una di quelle utenze fu sottoposta a intercettazioni; si parla di tabulati, semplici dati di traffici telefonici: nessun danno è stato dunque mai fatto ai parlamentari.
Chiunque legga gli atti, per farla breve, può comprendere che oggi vengo condannato per aver esercitato un dovere costituzionale, lo stesso che impone la Costituzione e il Codice Penale.
Anche Genchi, comunque, sembra sia stato perseguitato, in questi anni. Lo ritiene innocente? Come sono i vostri rapporti?
I rapporti con Genchi non sono più quelli di quando io ero pm e lui mio collaboratore, perché le nostre vicende hanno prodotto effetti molto pesanti. Io devo giudicare Genchi consulente: mi fidavo totalmente di lui e non avevo nessun motivo per dubitare della sua lealtà e della sua correttezza. Tutti gli elementi -la sua professionalità, chi me lo aveva presentato, la sua capacità- mi facevano stare totalmente sereno.
Non ho condiviso comunque alcune dichiarazioni pubbliche che ha rilasciato all'indomani dell'avocazione, ma non è il momento di creare una polemica tra me e lui, anche perché l'importante è questo processo, dove gli accusatori diventano accusati e viceversa, come ha ricordato anche Marco Travaglio.
Viviamo veramente in un Paese che va alla rovescia. E' una situazione francamente preoccupante: in 15 anni ho collezionato una serie di attacchi che non possono essere più ritenuti occasionali. Comincia a diventare sistematico e c'è dunque bisogno che le Istituzioni pongano immediatamente rimedio a situazioni di questo tipo, altrimenti andranno a degenerare.
Cita Travaglio. E' stato tra coloro, pur appoggiandola, l'hanno invitata a dimettersi. Si è sentito abbandonato da parte delle Istituzioni e dei media?
Io mi sono sentito sostenuto dalla gente. Dalla gente senza potere.
E' un po' quello che accadde quando Mastella, nel settembre del 2007, chiese il mio trasferimento e i calabresi scesero in piazza: un fatto assolutamente anomalo in tutta Italia e specialmente in Calabria, e poi per un forestiero…
E anche qui a Napoli è accaduto: oltre alle tante persone che hanno chiesto le mie dimissioni, ce ne sono state altrettante a chiedermi di non mollare, di resistere.
Travaglio è coerente con la sua posizione, con quello che ha sempre sostenuto. Quello che mi interessa, però, è l'onestà intellettuale che ha dimostrato, presentando una ricostruzione precisa di quanto avvenuto.
Certo, la solidarietà è venuta più dall'esterno che dall'interno delle Istituzioni, ma questo lo posso capire, perché quando giunge una sentenza dalla magistratura, all'interno delle Istituzioni è più difficile schierarsi, ma ho comunque ricevuto attestati di solidarietà e stima.
Le dimissioni le possono anche chiedere, ma a darle dev'essere la persona interessata, quando ha tradito, quando ha rubato, quando è corrotto, quando è una persona che non riesce più a guardarsi allo specchio, quando non riesce più a incontrare lo sguardo dei suoi concittadini.
Io non solo non mi dimetto, ma sono anche orgoglioso di quello che ho fatto nella mia vita.
Sono sofferente, dispiaciuto, amareggiato, arrabbiato per essere stato punito con l'unica colpa di aver fatto il mio dovere, ma non ci penso nemmeno a dimettermi. Mi è stato detto che lavoravo troppo, lavoravo come se il mio non fosse un lavoro ma una missione. E non è questo il profilo di magistrato voluto dalla Costituzione?
Oggi con questa sentenza pago, in sostanza, per aver fatto delle indagini: come se un magistrato avesse una palla di vetro per sapere non so come che quelle utenze fossero di parlamentari. Siamo davvero alla sagra dell'assurdo! Per questo io vado avanti per la mia strada, nonostante tutto come uomo delle Istituzioni; nonostante quanto subito, io continuo a mantenere il mio giuramento di fedeltà allo Stato, in nome anche dell'uguaglianza, che da pm ho potuto appurare sia ben lungi dall'essere vera, vivente e concreta nel nostro Paese.
Come sta vivendo la condizione di “sindaco sospeso”? Si ricandiderà alla guida di Napoli, nel 2016?
Io preferisco chiamarmi sindaco eletto, sindaco di strada.
La sto vivendo con la passione e l'entusiasmo che ho sempre avuto dentro di me. Non mi faccio abbattere: ho sofferto molto in questi giorni, ma non ho permesso che la sofferenza si trasformasse in depressione.
Mi sono rimboccato le maniche e non ho tenuto le mani in tasca, mi sono messo per strada e ho iniziato a camminare tra le persone, vivendo questa nuova esperienza.
Spero che questa sospensione finisca presto, voglio portare a compimento il mio mandato e sono molto convinto che questo avverrà. Sono anche molto persuaso che possa esser utile ricandidarsi; in fin dei conti sto cercando di dimostrare a Napoli che si può far politica in maniera diversa, che si può cambiarla, la politica, si può rinascere.
Quando sono diventato sindaco, la città era solo “emergenza rifiuti” e nessuno voleva venire, ora questa emergenza non esiste più e siamo la città con più crescita turistica; è una realtà con tanti problemi, ma piena di energia: abbiamo grande orgoglio e vitalità.
Napoli è una città che vuole resistere e può sperare di essere diversa da come viene presentata.
 
A proposito di rinascita. Il caso Bagnoli tiene banco ormai da tempo. Recentemente ha dichiarato che con lo sblocca Italia si è di fronte ad un “esproprio della democrazia”. Spieghiamo perché?
Questo è un giudizio politico molto sereno dello Sblocca Italia e della norma su Bagnoli.
Renzi è venuto il 14 agosto scorso a Napoli: qui ha firmato un atto con me e con il presidente della Regione, con cui si impegnava a reperire i fondi per la bonifica. Io avevo da poco emesso un'ordinanza coraggiosa, con cui imponevo a chi aveva inquinato Bagnoli, ossia Fintecna -quindi lo Stato- e Cementir -imprenditori privati- di risarcire per i danni subiti.
Dopo la firma con Renzi, però, il 29 agosto viene emessa la norma del governo, in cui il Comune scompare.
Ora si dà il potere a un soggetto attuatore, che è una s.p.a., ed è Fintecna (perché dentro c'è lei), di ridisegnare un'area vastissima senza che il Comune possa avere voce in capitolo.
E' un fatto molto grave, soprattutto perché questa norma proviene da un Presidente del Consiglio che è stato anche sindaco, e dunque conosce le dinamiche e sa che non si può espropriare il Comune dal recupero di un'area.
Insomma, si dice: “Sì, si ricostruisce, ma senza comune e senza sindaco”, anche perchè è un po' curioso che questa norma arrivi proprio adesso…
L'abbiamo visto come un provvedimento contro la città, contro il primo cittadino, e proprio dopo 15 giorni che il premier s'era impegnato con noi, per iscritto. Di fatto, credo che sia un decreto legge incostituzionale, anti-democratico e lesivo di Napoli.
Un attacco e, come tale, reagiremo: resistendo.
Subito dopo la sentenza, ha invitato i giudici a dimettersi, mentre recentemente ha chiamato in causa ingiustizie di Napolitano. Tutte dichiarazioni molto forti che hanno sollevato polemiche: non crede che in questo modo possa offrire il fianco ai suoi detrattori?
Specifichiamole. Napolitano io non l'ho tirato in mezzo, sono uscite dichiarazioni che io avevo fatto in passato, curiosamente riprese in questi giorni. Anzi, l'ho precisato: da magistrato ho avuto un rapporto molto duro con il Capo di Stato, ci fu anche una lettera molto accorata che scrissi, ci fu una rottura.
Poi, da sindaco, com'è giusto che fosse, ripresi i rapporti istituzionali con lui, così come lo feci con la Regione, con il Parlamento, con gli Enti.
Io mantengo la mia autonomia di pensiero e il mio modo di essere, ma sono stato molto corretto con Napolitano, e la rivendico, questa correttezza. Non sono io che tradisco le Istituzioni.
L'altra dichiarazione, invece, l'ho rilasciata appena dopo la condanna: è stato un intervento molto duro, ma,  per quello che ho subito, per come mi hanno ferito, per come mi hanno trattato, giustificabile. E poi non ho chiesto le dimissioni dei magistrati: a fronte di attacchi durissimi da tutte le parti -tanto che durante il Consiglio Comunale ho ringraziato Putin e Obama perchè unici a non esser intervenuti- ho risposto che non ero certo io ad avvertire il dovere morale di dimettermi.
Io non ho nulla da rimproverarmi, e possono comprenderlo tutti, se leggessero gli atti: non c'è uno straccio di prova che potesse portarmi alla condanna.

http://www.articolotre.com/2014/10/lintervista-luigi-de-magistris-contro-di-me-poteri-deviati-ero-dintralcio-al-sistema/

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