venerdì 29 agosto 2025

Se i talebani vietano alle donne afghane di ascoltare le voci le une delle altre

 


La nuova direttiva si applica specificamente al momento preghiere, ma si teme che possa avere presto implicazioni più ampie

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Il vuoto ha inghiottito le vite delle ragazze e delle donne afghane da quando i talebani hanno ripreso il controllo del paese. Le loro libertà sono state schiacciate, a poco a poco polverizzate, in un crescendo di decreti brutali che le vogliono rendere ombre, e non più esseri umani. Dal ritorno del regime talebano alla guida dell'Afghanistan sono stati oltre 80 gli editti emessi contro le cittadine afghane. A fine agosto di quest'anno le autorità talebane hanno approvato la prima legge sulle non-libertà delle donne che raggruppa tutte quelle precedenti e le va ad accorpare in un unico editto. Emanata dall'ormai tristemente celebre ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù, la legge è composta da 35 articoli che riguardano i diritti delle cittadine di sesso femminile e coerentemente con la politica retrograda messa in atto dal 2021 (anno del ritorno al potere dei talebani) ad oggi, impone rigidissime norme sul loro comportamento in pubblico e in privato. Queste imposizioni vanno dall'estromissione dagli spazi pubblici, all'impedimento di frequentare istituti di istruzione oltre le elementari, dalla divieto di frequentare saloni di bellezza (che sono stati tutti chiusi, insieme ai parrucchiere) alla proibizione di ricorrere alla contraccezione. Anche il lavoro femminile è stato fortemente limitato e ostacolato. "Un uccello - ha detto Meryl Streep a fine settembre durante un evento sulla situazione delle donne e delle ragazze in Afghanistan nell'ambito dell'assemblea generale delle Nazioni Unite a New York - può cantare a Kabul, ma una ragazza no, non può farlo in pubblico", riferendosi ad uno dei più recenti aggiornamenti (fino, purtroppo, ad oggi) degli editti che prevede il divieto assoluto di canto in luoghi pubblici per bambine, ragazze e donne.

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Foto di Daniel Splisser su Unsplash

A inizio settembre, invece, era stata annunciata una nuova legge che diceva che se una donna si trova fuori casa, la sua voce non deve essere sentita. La BBC poco dopo il provvedimento era stata in Afghanistan per un lungo reportage, nel quale aveva intervistato Shabana, il nome è di fantasia, un'adolescente che sognava di laurearsi in economia e che invece si trova oggi a dover frequentare corsi di nascosto, terrorizzata di essere scoperta dalle autorità. Shabana raccontava di una vita di paura, spogliata di ogni gioia residua: ““Quando siamo fuori casa abbiamo paura. Quando siamo sull'autobus, abbiamo paura. Non osiamo togliere il burqa. Evitiamo persino di parlare tra di noi, pensando che se qualcuno dei talebani ci sente potrebbe fermarsi e interrogarci". E concludeva: "Se non possiamo parlare - perché anche vivere? Siamo come cadaveri che si muovono". Da qualche giorno, in quello che sembra quasi un gioco sadico mirato ad andare a colpire quel fazzoletto di micro libertà residue concesse alle cittadine afghane, i talebani hanno emesso un nuovo decreto che vieta alle donne di pregare ad alta voce in presenza l'una dell'altra. Secondo Amu TV, un canale di notizie afghano con sede in Virginia, l'ordine è stato consegnato da Mohammad Khalid Hanafi, ministro talebano per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, che ha dichiarato che le donne dovrebbero evitare di recitare il Corano in modo udibile quando sono circondate da altre donne. Il Telegraph ha anche riportato l'affermazione di Hanafi secondo cui la voce di una donna è considerata "awrah" - qualcosa che deve essere nascosto - il che significa che non dovrebbe essere ascoltata in pubblico, nemmeno da altre donne.

Attualmente, questa direttiva si applicherebbe specificamente alle preghiere, ma gli esperti sono preoccupati che possa avere implicazioni più ampie, limitando la possibilità delle donne di parlare liberamente in pubblico e spingendole ulteriormente ai margini estremi di una società che come dice Shabana, fa di tutto per annientarle. “In ogni momento ti senti come se fossi in una prigione. Anche respirare è diventato difficile qui", ha detto sempre alla Bbc Nausheen, un'attivista. Fino all'anno scorso, ogni volta che venivano annunciate nuove restrizioni, era tra piccoli gruppi di donne che marciavano per le strade di Kabul e di altre città, chiedendo i loro diritti. Le proteste sono state violentemente represse dalle forze talebane in più occasioni, fino a quando non si sono fermate del tutto. Per tutte queste ragioni è ormai più che evidente come in Afghanistan sia in atto un "apartheid di genere". La definizione, mutuata da un gruppo di attivisti afghani per i diritti umani nel 2023 dal termine apartheid razziale, che in afrikaans significa "separazione" e che per il diritto internazionale è diventato un crimine nel 1973 in risposta alla segregazione e alla sottomissione dei sudafricani neri da parte della classe dirigente bianca in Sudafrica dal 1948 al 1994, è una potente denuncia contro l'oppressione sistemica, la discriminazione e la segregazione operata dai talebani ai danni di un gruppo specifico in base al genere. A chiedere che l'apartheid di genere in Afghanistan sia codificato come crimine contro l'umanità sono gli attivisti della campagna End Gender Apartheid, avviata lo scorso anno nel tentativo di costringere il gruppo estremista a rendere conto delle proprie azioni. 
 
Negli ultimi tre anni sono state tante le condanne internazionali contro il regime talebano per il trattamento riservato alle donne, tuttavia finora non hanno avuto un reale impatto nel prevenire atroci crimini. Da qui la decisione di coniare questo nuovo termine e spingere per l'approvazione di nuove leggi che criminalizzino l'intento, l'ideologia e la natura istituzionalizzata della sottomissione sistematica e della privazione delle donne in Afghanistan. Ma perché è così importante parlare di apartheid di genere? Come evidenzia il Guardian, "se l'apartheid di genere fosse codificato come un crimine e applicato all'Afghanistan o all'Iran, gli Stati sarebbero teoricamente obbligati ad agire, per sostenere l'integrità delle leggi internazionali". Questo aumenterebbe anche la pressione sugli altri paesi affinché concedano asilo alle donne e alle ragazze afghane e iraniane, impedendo che i talebani vengano considerati de facto il governo ufficiale dell'Afghanistan per le relazioni commerciali e diplomatiche, come invece purtroppo avviene in molti casi. E gli attivisti che speravano che la codificazione dell'apartheid di genere in Afghanistan potesse essere riconosciuta secondo le norme del diritto internazionale e che venisse discussa durante l'assemblea generale delle Nazioni Unite che ci sarà nelle prossime settimane, hanno ottenuto un mese fa risultato importante: i talebani saranno portati davanti alla corte internazionale per discriminazione di genere da Canada, Australia, Germania e Paesi Bassi, in un'iniziativa senza precedenti. Ma quanto questo impensierisca il governo di Hibatullah Akhundzada lo dimostra la promulgazione di questo nuovo sadico editto del ministero del vizio e della virtù
 
https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a62758972/talebani-voci-donne-divieto/ 

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