“La sera, in casa, i miei genitori prendevano carta e penna. Facevano i conti. Dividere quei pochi soldi tra bollette, spesa, medicine, cose indispensabili. E quasi sempre mancava qualcosa. Io li osservavo in silenzio e capivo quanto fosse dura tenere in piedi una famiglia con un solo stipendio.
Mamma, per aiutarci, faceva le pulizie a Conegliano e la baby sitter. Erano sacrifici che non si dimenticano, sacrifici che hanno costruito la mia forza e quella di mio fratello. Eppure non li ho mai sentiti lamentarsi, mai un accenno di vittimismo. Solo dignità, solo amore.
Crescevo imparando che le difficoltà non erano un ostacolo, ma una spinta. Se non potevano regalarmi un pallone nuovo, avrei aspettato il compleanno. Se i compagni indossavano le Timberland, io mi accontentavo delle “Fimberman”. Se portavo i vestiti smessi di mio fratello maggiore, non importava: quello che contava era correre dietro a un pallone.
Guardavo gli altri e pensavo: sì, magari voi avete le scarpe di marca, le macchine più grandi, i vestiti alla moda… ma se scendiamo in campo, io sono più forte.
Era una certezza che tenevo dentro, ma che cresceva con me.
E col tempo ho capito che quel pallone, quella passione, sarebbero stati la mia strada. Avrei dato ai miei genitori la serenità che non avevano mai avuto. Perché dopo tanti sacrifici, si meritavano di smettere di soffrire.”
Le parole colme di gratitudine di un figlio diventato leggenda. ❤️

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