BOMBE A GRAPPOLO, LE NUOVE MINE ANTIUOMO
Presentato a Roma il report 2002 sulla campagna per la messa al bando delle mine antipersona. Occasione per una nuova denuncia: quella contro le cluster bombs usate dagli Stati Uniti in Afganistan.
Anna AssummaSabato 14 Settembre 2002
La presentazione, a Roma, del rapporto sulla campagna contro le mine antipersona si è trasformata nell’occasione di una nuova denuncia, quella contro le cluster bombs, le bombe a grappolo che la guerra in Afganistan ha fatto conoscere all’opinione pubblica internazionale. Sono loro il nuovo obiettivo della Campagna che, ad oggi, ha riportato uno straordinario successo nella messa al bando quasi totale delle “vecchie” mine, quelle tradizionali. Con un’adesione di tre quarti della comunità internazionale. Il numero dei paesi produttori è passato da 55 a 14. “La nostra campagna ha portato a vere e proprie ‘deflagrazioni’ di democrazia, come accaduto in Mozambico e Afghanistan”, dice Nicoletta Dentico, direttore esecutivo di Medici Senza Frontiere Italia, da anni impegnata nella campagna antimine. Lo scorso luglio, si sono aggiunti alla lunga lista dei paesi che hanno ratificato il Trattato per la Messa al Bando del 1997 anche Angola ed Etiopia. In proporzione al diffondersi di una sensibilità contro l’uso delle mine decresce, naturalmente, il numero delle vittime: passato da 26 mila a 15 mila stimate. Il trattato, dice ancora Dentico, ha una forte connotazione disarmistica: si tratta, in effetti, del primo passo verso l’abbandono di un armamento tradizionale”. E si tratta di un importante precedente. Quello della campagna contro le mine antipersona (“per favore, non chiamatele antiuomo”, dice Dentico, “uccidono soprattutto donne e bambini”) è un esempio felice (e unico) di moratoria contro gli armamenti. Medici Senza Frontiere, che ha tenuto in vita questa campagna per anni, ne è giustamente orgogliosa. “Siamo partiti dal nostro sguardo: dalla conoscenza di fatti che verifichiamo ogni giorno, sul terreno”. Ma non si sofferma sui successi ottenuti e getta il sasso nello stagno: le cluster bomb, a tutti gli effetti mine antipersona, saranno il nuovo obiettivo della campagna. Prodotte da Usa e Gran Bretagna (ma anche i russi hanno le loro, ampliamente utilizzate in Cecenia), le cluster bombs hanno un margine di errore dichiarato (dalle aziende produttrici) del 5%. In realtà l’errore verificato sul terreno è del 50%: ad affermarlo è l’ex generale Fernando Termentini, direttore tecnico per lo sminamento di Intersos. Insomma, sono le cluster, le nuove mine. I coordinatori della campagna lo sanno, e si stanno preparando ad affrontare questa nuova frontiera. “Il primo allarme contro le cluster bombs lo lanciai nell’87, di Termentini,” e già allora ne sottolineai la pericolosità: perché sono più sensibili. Le vidi in Kuwait, dopo la guerra del Golfo, e poi in Kosovo, dove hanno creato più problemi delle mine di vecchia concezione. Perché delle mine, l’esercito Serbo aveva lasciato delle mappe. Delle cluster, lanciate dall’aereo, è impossibile avere una mappatura”. Vengono “mappate” in un solo modo: quando esplodono. E fornisce ancora altri dati. Agghiaccianti. Cita il caso di Karoti, pacifico villaggio afgano, “ricco” solo della sua terra produttiva, così rara in quella regione montagnosa. Lì, 363.000 metri quadri di pascoli e orti sono stati bombardati con 800 cluster. Di queste, 484 erano inesplose, vere e proprie mine sul terreno. Si tratta delle micidiali BL 97, di produzione statunitense. Sono state “scoperte” perché una ventina di giorni fa hanno ferito gravemente tre ragazzini e ucciso due pastori. Ma situazioni analoghe si verificano, naturalmente, in tutto il paese.
Già nel ’94, il dipartimento di stato Usa aveva candidamente dichiarato la propria ostilità verso la campagna contro le mine: pericoloso precedente di attacco alla produzione e all’uso di un’arma “convenzionale”. C’è solo da sperare che il successo della campagna, e il nuovo focus sulle cluster bombs, siano per i militari americani una nuova fonte di preoccupazione.
*Lettera22
COSA SONO LE CLUSTER BOMBS
I militari le chiamano “submunizioni”, perché sono contenute in un dispenser trasportato da aerei. Ogni dispenser ne contiene 200. Il lancio di quattro dispenser equivale a 800 bombe. Di queste, 400 non esplodono e si distribuiscono su un’area di due chilometri quadrati. Secondo dati Onu, sull’Afganistan sono stati effettuati 168 lanci, con almeno due dispenser per lancio. I “genitori” delle cluster sono le mine anticarro, escluse dalla moratoria di Ottawa del ’97quando non si è considerato che, essendo dotate di dispositivo che le fa esplodere in caso di manipolazione, sono in effetti mine antipersona. “Le cluster bombs, l’evoluzione di questa tecnologia, sono ancora più micidiali”, sottolinea l’ex generale Termentini, di Intersos. Il disinnesco? E’ impossibile. Vanno distrutte sul posto. L’operazione è complicata dal fatto che si possono conficcare in profondità nel terreno, senza perdere la loro aggressività. Ma si tratta, secondo gli strateghi, di bombe “umanitarie”.
LA LUNGA STRADA DELLO SMINAMENTO
-India e Pakistan non solo non hanno aderito alla moratoria, ma hanno continuato operazioni di minamento dei confini durante tutto il 2001. Si tratta della più massiccia operazione di minamento dal 1997.
-Secondo Landmine Monitor, sono 90 i paesi infestati da mine terrestri.
-Il numero più alto di nuove vittime si è avuto in Afganistan, Cecenia, Cambogia, Angola, Nepal, India, Iraq del nord, Birmania. Alcuni paesi che non hanno aderito al trattato per la messa al bando hanno ammesso di avere usato mine antipersona: sono Birmania, India, Pakistan, Russia e Sri Lanka. Ma si presume che abbiano usato mine anche Georgia, Nepal, Somalia. L’Angola, firmataria nel 2001, ha ammesso di avere usato mine antipersona.
-Nel periodo relativo al rapporto, le mine sono state usate da gruppi di opposizione in almeno 14 paesi.
-33 stati che hanno ratificato il trattato di messa al bando hanno distrutto le proprie riserve, altri 22 lo stanno facendo. 17 stati devono ancora avviare la distruzione.
MINE ANTIUOMO: UNA STORIA MADE IN ITALY
La Valsella non esiste più. Almeno come produttrice di mine: ora dalle sue fabbriche escono vetture ecologiche. Ma esiste una Valsella Singapore: e di questa, naturalmente, è difficile conoscere l’assetto societario. Altra storia per le mine già esportate. Su questo punto, afferma Nicoletta Dentico, si orienterà la futura campagna in Italia. Sulla responsabilità, su chi paga il danno: ambientale e, naturalmente, morale. “Le mine Fiat/Valsella stanno ancora esplodendo in tutto il mondo, nel Sahara Occidentale come in Kurdistan. E il ritiro dall’azionariato delle aziende produttrici non basta certo a risolvere il problema: rimane una responsabilità etica”, afferma Dentico. Intanto l’Italia, già in prima linea nella produzione di mine è oggi, dopo la firma della moratoria e dopo la legge 347 del 1997, all’avanguardia nella distruzione del proprio aresenale, con 6.379.636 mine distrutte nei due impianti di Noceto, in provincia di Parma, e di Baiano, nei pressi di Spoleto.
http://www.lettera22.it/showart.php?id=98&rubrica=24
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