lunedì 26 agosto 2024

Neuroni e strutture cosmiche

 


Prendi un algoritmo di simulazione estremamente complesso, che contenga dentro tutta la fisica rilevante per studiare l’universo su larga scala. Gravità, idrodinamica, buchi neri, processi termici radiativi, materia oscura. Fate andare l’algoritmo per settimane o addirittura mesi su un potentissimo supercomputer, facendogli risolvere un numero mostruoso di equazioni che governano l’evoluzione del tempo del cosmo dai suoi primordi fino a oggi. Quando avrà finito, otterrete un’immagine come quella di destra. 


Ora procuratevi un neurone, prendete un microscopio abbastanza prestante e osservatelo. Otterrete un’immagine come quella di sinistra. Notate qualche somiglianza? Sembrano quasi la stessa immagine, tranne per il fatto che l’ammasso di galassie come quello a destra è UN MILIARDO DI MILIARDI DI MILIARDI di volte più grande del corpo del neurone a sinistra: decine di milioni di anni luce contro centinaia di micron. 


(Fun fact: nel cervello umano ci sono circa 100 miliardi di neuroni, che è un numero comparabile con il numero di stelle nell’intera Via Lattea. Così, per dire.)


Insomma, la rete neuronale che si aggroviglia nelle nostre teste, capace di produrre cose incredibili come l’autocoscienza, la Cappella Sistina e i Ferrero Rocher, è estremamente simile alla rete dei filamenti cosmici – la “cosmic web” – che collega tra loro gli ammassi di galassie. Questa somiglianza è stata quantificata per la prima volta da due scienziati italiani, un astrofisico e un neurochirurgo, confrontando statisticamente le strutture reticolari riscontrate su vetrini istologici e simulazioni cosmologiche. 


Il risultato? Le due reti hanno proprietà statistiche sovrappponibili se prese alle scale opportune. Stessa morfologia, stesso rapporto tra zone piene e zone vuote, stesso numero medio di connessioni per nodo. Persino la quantità di informazione in linea di principio immagazzinabile nelle due reti (l’intera cosmic web e un cervello umano) è confrontabile, attestandosi sull’ordine del petabyte. Niente male come corrispondenza per due oggetti le cui dimensioni differiscono per ben VENTISETTE ordini di grandezza! 


-Filippo [archivio]


Credits: Mark Miller (Brandels University); Virgo Consortium

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