Lo indicano le immagini catturate dai satelliti
A sinistra il grande lago della piattaforma Amery e a destra la dolina che si è formata dopo la sua scomparsa (fonte: Warner et al., Geophysical Research Letters, 2021)
La figura geometrica rappresenta il volume del lago scomparso in Antartide in rapporto alla città di New York, del volume (fonte: Philipp Arndt/Scripps Institution of Oceanography at UC San Diego)
In appena tre giorni dalla grande piattaforma di ghiaccio Amery,
nell'Antartide orientale, nell'inverno 2019 è sparita nell'oceano una
massa d'acqua del volume compreso fra 600 e 750 milioni di metri cubi,
all'incirca il doppio del volume della baia di San Diego, in California:
così un deflusso che i glaciologi paragonano alle Cascate del Niagara
ha prosciugato un grande lago antartico.
Lo indicano i dati
raccolti dal satellite IceSat-2 della Nasa e pubblicati sulla rivista
Geophysical Research Letters dall'Università australiana della Tasmania,
con il gruppo di Roland Warner, in collaborazione con l'Università
della California a San Diego e della Columbia University di New York. Al
posto del lago, osservano gli autori dello studio, nella piattaforma
antartica Amery si è formata una sorta di cavità ghiacciata, una dolina,
che nell'estate del 2020 potrebbe aver formato un piccolo bacino,
probabilmente defluito a sua volta nell'oceano.
L'ipotesi di Warner e colleghi è che il peso dell'acqua accumulata
nel lago profondo dell'Antartide abbia aperto una fessura nella
piattaforma di ghiaccio sotto il lago, un processo noto come
idrofrattura, facendo defluire l'acqua nell'oceano sottostante, e
portando a un sollevamento fino a 36 metri della regione occupata dal
lago drenato. Gli autori della ricerca ipotizzano che lo scioglimento
della superficie antartica potrebbe raddoppiare entro il 2050,
sollevando preoccupazioni sulla stabilità di altre piattaforme di
ghiaccio.
"Le piattaforme di ghiaccio sono importanti perché
rappresentano un tappo al deflusso del ghiaccio delle calotte", dice
all'ANSA il glaciologo Massimo Frezzotti, docente di Geografia fisica e
Geomorfologia all'Università di Roma Tre. "Una loro riduzione o collasso
invece - prosegue - induce un aumento del deflusso del ghiaccio della
calotta continentale e questo fenomeno contribuisce all'innalzamento del
livello del mare".
Per Frezzotti "lo studio testimonia come il monitoraggio con sistemi satellitari permetta di studiare le aree più remote e inaccessibili del pianeta. La ricerca dimostra come le misurazioni geodetiche ad alta risoluzione dai satelliti possano perfezionare le nostre conoscenze sulle piattaforme di ghiaccio galleggiante. Migliorando - conclude - l'accuratezza delle nostre proiezioni sul contributo delle calotte di ghiaccio all'innalzamento del livello dei mari, a causa dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo"
(ANSA)
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