Il 22 giugno, le autorità locali hanno confermato che i talebani hanno preso il controllo del principale valico di frontiera dell’Afghanistan con il Tagikistan, presso la città di Shir Khan Bandar, situata a circa 50 chilometri da Kunduz.
Si tratta di un importante risultato per i talebani, che combattono nell’area dal mese di maggio e sono riusciti a mettere in fuga le forze armate e a prendere il controllo dello strategico porto di Shir Khan, della città e di tutti i check point alla frontiera con il Tagikistan. La notizia è stata confermata da Khaliddin Hakmi, membro del consiglio provinciale di Kunduz. Inoltre, un ufficiale dell’esercito afghano ha aggiunto che alcuni dei soldati si sono rifugiati oltre la frontiera, nel Paese vicino. La mattina del 22 giugno, secondo una fonte anonima interna alle forze di sicurezza, centinaia di talebani avrebbero preso d’attacco il valico di frontiera. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha confermato di aver preso il controllo del confine con il Tagikistan, che segue la linea del fiume Pyanj. “I nostri mujaheddin hanno il pieno controllo di Shir Khan Bandar e di tutti i valichi di frontiera con il Tagikistan a Kunduz”, ha dichiarato.
L’attacco arriva in concomitanza con l’allarme lanciato dall’inviata speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan, che ha avvertito che i talebani hanno preso il controllo di più di 50 dei 370 distretti afghani da maggio e che l’aumento del conflitto “significa una maggiore insicurezza per molti altri Paesi, vicini e lontani”. Parlando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Deborah Lyons, rappresentante speciale del Segretario generale in Afghanistan, ha sottolineato che le aree conquistate circondano le capitali provinciali. Secondo l’accordo di Doha firmato da USA e talebani il 29 febbraio 2020, i militanti si sono impegnati a non lanciare attacchi contro le grandi città. Di conseguenza, il timore è che i talebani stiano preparando il terreno, per poi lanciare gli assalti finali una volta che le forze straniere si saranno completamente ritirate. Nonostante questa situazione, gli USA e la NATO hanno confermato che saranno fuori dall’Afghanistan entro settembre.
A tale proposito, però, il 21 giugno, il portavoce del Pentagono John Kirby ha sottolineato che gli Stati Uniti potrebbero rallentare il ritmo con il quale si stanno ritirando dall’Afghanistan, proprio a causa della situazione sul campo. Kirby ha sottolineato che il termine ultimo indicato dal presidente Joe Biden, cioè l’11 settembre 2021, rimane valido, ma ha aggiunto che l’evoluzione del conflitto in corso viene seguita attentamente. “La situazione in Afghanistan cambia mentre i talebani continuano a condurre attacchi e a razziare i centri distrettuali e la violenza è ancora troppo alta”, ha riferito il portavoce del Pentagono ai giornalisti. “Se è necessario apportare modifiche al ritmo, o alla portata e alla scala del ritiro, in un dato giorno o in una determinata settimana, vogliamo mantenere la flessibilità per farlo – ha aggiunto – osserviamo costantemente, ogni singolo giorno: qual è la situazione sul campo, quali capacità abbiamo, di quali risorse aggiuntive abbiamo bisogno per uscire dall’Afghanistan e con quale ritmo”. “Tutte queste decisioni vengono prese letteralmente in tempo reale”, ha evidenziato Kirby.
Kirby ha ribadito che le forze armate statunitensi continuano a sostenere le truppe afghane nella lotta contro i talebani. Tuttavia, ha anche aggiunto: “Finché avremo le capacità in Afghanistan, continueremo a fornire assistenza alle forze afgane”. “Ma man mano che il retrogrado si avvicina al completamento, quelle capacità diminuiranno e non saranno più disponibili”, ha poi sottolineato il portavoce del Pentagono. Anche la NATO ha assicurato che farà tutto il possibile per garantire la tenuta del governo di Kabul. In particolare, in una conferenza stampa tenutasi il 14 giugno, a seguito di un vertice dei leader della NATO a Bruxelles, il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha assicurato che l’alleanza si impegna a garantire l’operabilità dell’aeroporto internazionale di Kabul dopo il ritiro delle truppe, in un possibile riferimento ad una proposta della Turchia, di mantenere una presenza sul campo.
Infine, è interessante sottolineare la situazione a Nord dell’Afghanistan, che condivide circa 1.357 km di confine con il Tagikistan, delimitato dalla frontiera con l’Uzbekistan ad Ovest e con la Cina ad Est. L’area ha a lungo destato preoccupazioni per la sicurezza dei Paesi confinanti. Nella regione transitano gruppi militanti che si muovono nell’Asia centrale, tra cui i movimenti islamici del Tagikistan e dell’Uzbekistan; il Turkistan Islamic Party (ex Movimento Islamico del Turkistan Orientale), fondato nella Cina occidentale; e lo Stato Islamico della Provincia di Khorasan, che, a differenza dei talebani, mantiene importanti ambizioni regionali. Gli Stati dell’area hanno anche sottolineato i propri timori relativi al rientro di “foreign fighters” dalla Siria. In tale ambito, la Russia rappresenta una potenza particolarmente presente nella regione, data la vicinanza dei propri confini ad un’area così instabile.
Le preoccupazioni per la sicurezza della Russia riguardano una serie di fattori come il traffico di droga, di esseri umani, la migrazione illegale e, soprattutto, il terrorismo. L’Afghanistan è un Paese chiave da cui nascono o per il quale transitano elementi collegati a queste problematiche. In ogni caso, Mosca mantiene la propria presenza nel settore della sicurezza negli stati post-sovietici dell’Asia centrale, in virtù della storia condivisa, della vicinanza geografica e delle minacce comuni. La Russia ha diffuso la propria influenza nella regione attraverso istituzioni internazionali come la Comunità di Stati Indipendenti (CIS) e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). Queste consentano a Mosca di coordinarsi con i Paesi dell’area nel settore della sicurezza. A marzo del 2020, i rappresentanti delle agenzie di frontiera di Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan si erano incontrati a Samarcanda per elaborare piani finalizzati a prevenire l’infiltrazione di militanti afghani attraverso i confini condivisi.
Inoltre, a marzo del 2021, le autorità locali del Tajikistan meridionale, nel distretto di Shamsiddin Shohin, hanno allertato i residenti, organizzando riunioni con chiunque possa essere arruolabile, tra cui riservisti dell’esercito e cacciatori, chiedendo alla popolazioni di essere preparati a “prendere le armi” contro militanti islamisti afghani, se questi avessero provato ad entrare nella regione. Il 6 marzo, il governatore tagiko, Pochokhon Zarifzoda, ha affermato: “In coordinamento con la polizia e i servizi di intelligence, abbiamo registrato tutti i cacciatori che vivono nelle zone di confine. Dovranno prendere le armi per difendere il nostro Paese. Infatti, tutti noi dovremo imbracciare le armi se la situazione lo impone”. Avvertimenti simili si sono diffusi in altri distretti al confine con l’Afghanistan, specialmente presso il confine montuoso del fiume Panj. L’allarme è arrivato a seguito di mesi di combattimenti tra l’esercito nazionale afghano, i talebani e altri gruppi ribelli, nelle aree vicine al Tajikistan. In tale contesto, i funzionari afghani hanno avvertito che ci sono molti cittadini tagiki che combattono insieme ai militanti islamisti afghani. Il territorio montuoso lungo il confine di 112 chilometri tra Shamsiddin Shohin e l’Afghanistan Nord-orientale è considerato una delle aree più difficili da controllare per le truppe di confine del Tajikistan.
https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/06/23/afghanistan-talebani-controllano-la-frontiera-tagikistan/
Bush71
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