“Chiunque
costringa una persona ad andare in guerra o faccia propaganda a favore
del genocidio, sarà ritenuto responsabile della vita dei soldati e
garantirà con i propri beni e con la propria vita! Se il re fa appello
alla bandiera, la proteggerà lui stesso! Se il soldato è ridotto in
miseria, il re andrà a mendicare con lui! Per ogni capanna bruciata in
guerra sarà incendiato un palazzo o un castello! E per ogni morto al
fronte, anche un re o un ministro "troverà riposo" servendo la patria
"nei campi d'onore"! E ogni 10 giornalisti che fanno propaganda a favore
della guerra, uno verrà preso in ostaggio per riscattare la vita di un
soldato!”
Un piccolo estratto dal testo “Guerra alla guerra” che
Ernst Friedrich, un giovane anarchico tedesco, decise di pubblicare nel
1924 per fornire nel suo paese, e non solo, una reale immagine di
quello che era stato il primo conflitto mondiale. Nel libro, che sarà
poi tradotto in diverse lingue e letto in numerose nazioni, vi era
un’ampia rassegna di fotografie. Immagini durissime, che ben
raffiguravano la terribile violenza che si era scatenata sui campi di
battaglia. Una immane carneficina a cui Ernst si era rifiutato di
partecipare, pagando con l’internamento in manicomio il suo rifiuto a
combattere per la patria.
Dietro la patria, in Germania come altrove,
in realtà c’erano solo gli interessi delle classi dirigenti
istituzionali e amministrative, degli apparati militari, dell’industria
bellica. Interessi per cui milioni di uomini versarono il sangue,
rimasero mutilati, persero la vita, uccisero altri poveri cristi come
loro, colpevoli solo di avere un’uniforme diversa.
Ernst riuscì anche
ad organizzare un museo anti-guerra a Berlino, che chiaramente venne
chiuso dai nazisti appena preso il potere. Perseguitato, fu costretto
all’esilio. Tornò dopo il secondo conflitto mondiale. Visse fino
all’ultimo dei suoi giorni denunciando la strisciante propaganda
nazionalista che usava i morti, i mutilati, i fucilati dai plotoni
d’esecuzione, per costruire divisioni e conquistare facili consensi.
Una propaganda che purtroppo va avanti ancora oggi.
Una
propaganda contro cui ribadì sempre che la guerra come ogni fenomeno
universale può e deve avere una fine. Chi dice il contrario è perché,
dall’alto della sua posizione sociale, dei suoi privilegi, del suo
scranno, è sicuro che a morire in una trincea non ci andrà mai.
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