giovedì 9 ottobre 2014

Intervista. Farhad Bitani e i mali del fondamentalismo

farahd-Marco MargritaFarhad Bitanisa di cosa parla quando, con intensità e passione, denuncia i mali del fondamentalismo e gli errori delle potenze occidentali nell'affrontarlo.
Quella contro il fondamentalismo è una battaglia cui sta dedicando, non senza rischi, la propria vita. Ha deciso di scrivere il libro, raccontando la sua storia. Un libro ("L'ultimo  lenzuolo bianco. L'inferno e i cuore dell'Afghanistan" – Guaraldi, Rimini) che vive come catalizzatore d'incontri, come opportunità di edificazione di pace.
Pace che solo chi ha vissuto immerso nella guerra desidera senza scadere nell'ideologia. Non è una questione di bandiere arcobaleno e irenismo facilone da "anime belle" la pace che Farhad desidera. 
Farhad, classe 1986, è un ex-capitano dell'esercito afghano. La guerra è stata esperienza quotidiana lunga gran parte della sua vita afgana.
 Da vincitore, durante la sua infanzia, visto che suo padre è uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto l'invasore sovietico.
Da sconfitto, dopo, perché suo padre è stato uno dei più tenaci avversari deitalebani, che detenevano il potere. In seguito è toccato a lui imbracciare le armi, combattendo anch'egli contro i talebani.
Ha compiuto gli studi in Italia, in Accademia e alla Scuola di Applicazione. Tre anni fa, poi, ha deciso di posare e armi, avviando il suo impegno per la pace.
"I fondamentalisti perseguitano la povera gente – ci spiega – e assegnano il titolo di "infedele" a chiunque non accetti di sottomettersi ai loro soprusi, mentre i loro figli infangano il nome dell'Islam in patria e in giro per il mondo con una condotta indegna".
 Sceglie la schiettezza, il parlar chiaro. Lo fa nel libro, che ha la prefazione del giornalista Domenico Quirico, e nei tanti incontri in cui lo presenta, in cui accoglie la sfida delle vulnerabilità, aprendosi senza sconti.
Di Afghanistan si parla sempre meno in Occidente, tant'è che per molti l'idea è che laggiù non vi siamo più problemi. Qual è, invece, la situazione oggi (anche in riferimento alle recenti elezioni)? 
“Non possiamo definire, al di là di tutta la propaganda che sentiamo, che l'Afghanistan sia una nazione pacificata. Le lotte e le violenze, attentati compresi, sono esperienza quotidiana. La corruzione, incrementata dagli aiuti occidentali spesso distribuiti a chi al fondamentalismo è contiguo, è dilagante. A controllare il territorio sono sempre i clan tribali, che sono i veri governanti del territorio. Chi era povero lo è sempre di più, il denaro si accumula sempre nelle stesse mani. E' passato oltre un decennio dall'intervento degli USA e degli Alleati in Afghanistan”. 
Anche di fronte al ritiro delle truppe, quale bilancio si può fare di quella guerra? Quanto è cambiato da quell'intervento? Quali gli aspetti positivi e quali i limiti? 
“Bisogna essere chiari e sinceri, i cittadini delle Nazioni che hanno inviato laggiù i loro militari debbono saperlo: l'intervento militare non ha prodotto la pace. La stessa rimozione dei talebani non ha significato la vittoria contro il fondamentalismo: si sono sostituiti dei fondamentalisti con altri fondamentalisti. I fiumi di denaro hanno consolidato al potere quanti si fanno scudo dell'islam, ma poi conducono una vita immorale. In sintesi quali sono i "nodi irrisolti" della situazione afgana? Il nodo è sempre la questione fondamentalista, che nessuno ha voluto davvero affrontare. Gli interessi dell'intervento, evidentemente, sono altri di natura economica (pensiamo a tutta la questione delle materie prima e delle risorse energetiche) e geopolitiche (l'Afghanistan è al centro di un'area di interesse strategico: confina con la Russia, con la Cina e con l'Iran. Tutte potenze che l'Occidente ha interesse a controllare”. 
Tu hai deciso di scrivere un libro per raccontare la tua storia e per consegnare un ritratto più veritiero dell'Afghanistan di ieri e di oggi. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto? 
La risposta, in qualche modo, sta già nella domanda: ho voluto portare un contributo di verità. Racconta la mia stria non per esibizionismo, ma per mettermi in gioco. Non sono uno scrittore, non scrivo per mestiere. Ho fatto la guerra, sparando e uccidendo, ne porto i segni sul mio corpo (sulla spalla sinistra, la cicatrice di una raffica di kalashnikov) e nell'animo. Aver incontrato un modo diverso di vivere, aver trovato amici che guardano alla vita in modo diverso mi ha cambiato. Voglio raccontare, ecco perché scrivo, che non siamo condannati al fondamentalismo. Si può cambiare, e il cambiamento inizia in ognuno di noi”.  
Sono ormai molte le presentazioni che hai fatto, specie con studenti e giovani, che tipo di reazioni stai registrando? Come reagiscono i ragazzi italiani al tuo racconto?
“Mi capita con una certa frequenza di parlare con i ragazzi delle scuole. Posso dire che sono meglio di come spesso, anche per comodità, gli adulti li racconto. C'è in loro, quando incontrato una proposta forte, una grande curiosità. Oltre alla capacità di stupirsi e commuoversi. Poter incontrare tante persone, poter comunicare loro i rischi di tutti i fondamentalismi, è il dono più bello che mi ha fatto questo libro. Un libro, devo ammetterlo, che non è stato facile pubblicare. Ci sono state resistenze e incomprensioni con tanti degli editori con cui ho cercato la collaborazione. Chi, infine, l'ho ha editato, qualche giorno fa, mi ha detto, con le lacrime agli occhi e ringraziandomi: "sono davvero onorato di averlo fatto, è un servizio importante". Sono convinto anch'io che questo libro sia, prima di tante altre cose, un servizio alla verità. Tanti giovani, con le loro domande e reazioni, ancor prima con lo sguardo con cui mi hanno guardato, mi dimostrano che è così”. 
Tu individui il fondamentalismo come il vero avversario della pace e della vita armoniosa tra gli uomini, come si può combattere questo nemico che si annida nelle religioni (o meglio: nelle menti e nei cuori degli uomini)? La tua esperienza (e il tuo libro) come possono giocare un ruolo in questa sfida?
 I fondamentalisti usano la religione per giustificare il loro odio e i loro comportamenti immorali. Si fanno giudici di tutto e tutti, ma confondono Dio e il loro io. Spesso sono più innamorati della morte che della vita”. 
Per delegittimare il tuo impegno, gli ambienti talebani hanno diffuso la falsa notizia della tua conversione al cristianesimo. Tu, invece, hai solo condiviso l'amicizia con persone cristiane. Qual è il tuo rapporto con il cristianesimo? Quale impressione di sei fatto di Papa Francesco che ha colpito tanti, specie non credenti?
“ Non mi sono convertito, anzi i miei amici cristiani mi hanno insegnato a vivere fino in fondo, superando il fondamentalismo, il mio essere musulmano. Ho fatto avere al Papa una copia del mio libro: mi ha fatto comunicare dal suo assessore di aver gradito il pensiero che gli ho rivolto. L'amicizia tra i popoli e le religioni è la chiave per costruire un mondo migliore. I miei avversari fondamentalisti tentato di delegittimarsi inventandosi una mia conversione al cristianesimo, farebbero meglio a chiedersi se sono loro veri credenti nell'Islam”. 

http://www.articolotre.com/2014/10/intervista-farhad-bitani-e-i-mali-del-fondamentalismo/

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