sabato 17 maggio 2014

SPQG, Sono Porci Questi Giapponesi

Sul fatto che i giapponesi abbiano una (a seconda dei punti di vista) cultura o ossessione per certo tipo di sesso, era notorio, Tokyo Decadence e il cinema erotico giapponese hanno fatto scuola. Diversi documentari, siti, ci hanno raccontato di quanto i giapponesi, soprattutto gli uomini impiegati in aziende, business man e altro, amino il fetish, comprino a caro prezzo abiti e indumenti usati.
Li chiamano i burusera Shop una parola anglo-giapponese che è una unione di “buru” che indica gli indumenti intimi femminili, “sera” storpiatura di sailor dai vestititi alla marinara che mettono le ragazze giapponesi, con camicette bianche e gonnelline scozzesi da educande, anche quando hanno superato da qualche anno l’età scolastica e che ricordano molto le eroine dei fumetti e cartoni animati nipponici. Versione diversa sono i Nurusera, dove si conserva la roba fresca.
In questi negozi si possono acquistare anche indumenti intimi usati: molte ragazze dei college, per sbarcare il lunario, vendono la loro biancheria intima usata, meglio se prima non è passata in lavatrice, a questi negozi affollati di uomini e donne, soprattutto impiegati e dirigenti di aziende. In alcuni di questi negozi, si può acquistare materiale più disparato (e anche agghiacciante) per soddisfare i gusti sessuali feticisti dei giapponesi: peli pubici, capelli, indumenti sporchi di umori e altre cose del genere. Dopotutto, il bukkake lo hanno inventato loro e sono amanti di pratiche come sadomaso, umiliazione sessuale, etc.
Basta girare un po’ su internet e si trovano un milione di siti, non necessariamente pornografici, dove si raccontano le stranezze sessuali dei giapponesi, come il ricorso al Nopan Kissa, il locale “senza mutande”, dove le cameriere non hanno le mutandine e per terra, o sotto i tavoli, o sulla punta delle scarpe dei clienti ci sono specchi per permettere di vedere le ragazze come mamma le ha fatte. Una divertente giornata tipo, può essere letta qui alla voceerotismo giapponese.
Non è questo quello che mi ha sconvolto. Non sono un moralista né un bacchettone, ognuno è libero di esprimere il sesso come vuole. Ma dei limiti ci devono essere, come nel caso dei bambini. Quello che mi ha scioccato in Giappone è questa pedofilia latente.
Ieri sera dopo la cena sushi, ho fatto un giro nel quartiere di Tobita, quartiere a luci rosse di Osaka, che si trova proprio dietro il nostro albergo (guarda un po’ la combinazione). Mi aveva incuriosito il fatto di averlo trovato su internet mentre cercavo notizie e informazioni su affitti di case, stipendi di cameriere per prendere in considerazione Osaka come possibile futura destinazione di Marianna e mia.
Voi direte: che c’entrano le cameriere con le prostitute di un quartiere a luci rosse o con la pedofilia? C’entra, e solo se si va sul posto lo si capisce. La zona, non vasta, ha una serie di minicase basse, al cui piano terra, c’è una mama-san, versione giapponese della maîtresse, che ti illustra la sua “mercanzia”. Le ragazze, una alla volta, sono sedute come in trono al centro di questa stanza aperta sulla strada tobita3.jpg, per farsi vedere dal cliente, che ha poi la possibilità di sceglierne anche un’altra. Molte sono vestite come cameriere, ma la maggior parte di queste ragazze sono vestite come scolarette. E qui il sangue mi si è gelato nelle vene.
Quella che poteva essere una camminata “particolare”, per farsi quattro chiacchiere e due risate tra amici, si è tramutata in una mossa di disgusto. Dalla compassione per le ragazze sfruttate, sono passato all’orrendo pensiero che venivano scelte soprattutto per il fatto di essere abbigliate come scolarette. La percentuale di coloro che infatti erano “vestite” con gli abiti “tipici” delle prostitute, era infatti irrisoria.
Ora capisco perché nella metropolitana ci sono i vagoni riservati alle donne. Eppure in un manuale di italiano che una volontaria giapponese mi ha mostrato e sul quale stava studiando la lingua di Dante, non c’era la classica frase “la penna è sul tavolo”, ma la parola “donnaiolo” e istruzioni su come difendersi dal maschio latino.
Difendersi da noi? A parte che vedendo molte giapponesi, per noi “donnaioli” andare con una di loro significherebbe fare un vero e proprio sacrificio, votato più al martirio e alla santificazione che altro. E poi siamo noi che ci dobbiamo difendere da loro, da questi gusti estremi e deprecabili.
Poi, questi falsi moralisti del c***o, da un lato fanno i “malatoni” con le ragazzine (ho visto un sacco di uomini adulti che si strusciavano in bar o karaoke vicinoalle ragazzine o comunque a ragazze molte giovani) e poi dall’altro, poichè sono falsamente puritani, hanno i film pornografici nei quali giochi di pixel oscurano le parti intime. Ma andatevene affanc**o.
Una cosa certamente positiva, mi fa notare  – e concordo – un eminente saggio dai capelli oramai bianchi (anche se nelle foto se li scurisce con photoshop®) è che almeno qui in Giappone queste cose le fanno alla luce del sole, mentre in altri posti non succede così. Pur restando la ferma condanna a questa pedofilia latente, lascio il campo ai vostri commenti sulla cosa.

http://indonapoletano.wordpress.com/2007/08/29/spqg-sono-porci-questi-giapponesi/

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