Non violentò la figlia, assolto dopo 10 anni
Padre 50enne venne condannato per abusi sessuali durati sei anni. Scagionato in appello: «Il fatto non sussiste»
Era accusato di violenza sessuale sulla figlia, piccolissina. Atti che T.R., 50 anni, avrebbe compiuto sulla bimba quando lei aveva tra i 5 e gli 11 anni. Per sei anni, dunque, avrebbe abusato continuamente della piccola. Avrebbe? No, nemmeno questo condizionale va usato in questo caso, perchè anche il dubbio è stato spazzato via dalla sentenza dei giudici della Corte d’appello di Bologna (terza sezione, presidente Santini) che hanno assolto il padre da ogni reato, con la formula più piena, «perchè il fatto non sussiste».
Insomma, non vi sono mai state violenze sessuali sulla figlia, mai atti che potrebbero ricondurre anche lontanamente a contatti o rapporti sessuali. Peccato che lui, un padre ferrarese, operaio specializzato abbia atteso oltre 10 anni per avere questo pronunciamento, per esser stato riconosciuto del tutto estraneo a queste che dice essere «infamanti accuse». Dieci anni dopo il primo processo celebrato a Ferrara, in cui fu condannato nel dicembre 2003 alla pena di 4 anni e 6 mesi dal giudice Silvia Migliori; addirittura oltre 14 anni dopo i primi accertamenti che lo indicavano come un pedofilo, che approfittava della figlia quando andava a trovarlo nei weekend. Fu la bambina nel 1999 ad innescare tutta la vicenda: dicendo alle assistenti sociali «papà mi fa così». Da allora, l’uomo assistito dall’avvocato Ciriaco Minichiello è entrato dentro il tunnel della giustizia lenta, ingiusta e devastante. «Il mio cliente - spiegava ieri mattina il suo l’avvocato che ha reso noto la storia - mi ha chiesto subito dopo l’assoluzione ‘e adesso chi mi ripaga della mia vita distrutta?’ Questo uomo - prosegue il legale - ha vissuto per oltre 10 anni con questa spada di Damocle sulla testa, se fosse stato condannato, oggi a distanza di 14 anni, sarebbe entrato in carcere». Invece. «Per fortuna, dobbiamo ringraziare i giudici d’appello che hanno letto attentamente le carte del fascicolo e deciso che la nostra versione dei fatti, che ho sintetizzato in un ricorso di 30 pagine, era la più verosimile, mettendo in evidenza le troppe contraddizioni nel racconto della bambina, dal punto di vista temporale (quando), ambientale (dove) e come: faccio un solo esempio- spiega il legale -, la bambina raccontò di essere stata abusata a casa di una delle nonne chiamandola con un nome che non esiste. E ancora, nel capo di imputazione vengono contestati genericamente al padre atti sessuali in sei anni, ma non si è mai spiegato, ripeto, quando, come e dove siano stati compiuti». Ossia non poteva essere mai accaduto ciò che la bambina aveva raccontato in un primo momento agli assistenti sociali. Innescando tra l’altro anche un procedimento parallelo, che aveva visto processate e condannate la madre e la zia per abusi su di lei e il cuginetto, poichè le due donne in un rapporto perverso coi due figli, facilitavano i bambini ad avere rapporti di natura sessuale espliciti. Una storia che i giudici hanno voluto rivedere completamente alla moviola soprattutto anche per questo filone familiare, esterno ai fatti che dovevano giudicare, ma che hanno dato una traccia di lettura sui rapporti tra tutte le persone coinvolte. Una storia dell’ennesima famiglia che salta, di una coppia che scoppia e a pagarne le conseguenze sono sempre i minori, «spesso usati dai genitori», afferma il difensore. La bambina, allora, raccontò ciò che i giudici hanno stabilito non esser vero. Una bambina che oggi ha 25 anni, e che lo stesso padre - dopo l’ assoluzione - non potrà nemmeno vedere poichè in tutti questi anni gli è stata tolta la patria potestà genitoriale. E’ come se la figlia fosse stata cancellata dalla sua vita. «E allora, adesso, il mio cliente - chiude l’avvocato Minichiello - chiede a chi dovrà chiedere i danni». «A nessuno» gli ha risposto amaramente il legale.
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