Tunisia: come evitare il ramadan grazie a Twitter
Quasi tutti quegli stessi stati perseguitano coloro che abbandonano l’iIslam, anche se non ne hanno mai espresso formalmente la volontà di farne parte. Le due sanzioni viaggiano spesso in coppia e spingono molti non credenti, o anche solo coloro che hanno una vaga credenza in un dio o in qualche entità sovrannaturale, a rispettare il Ramadan anche se non hanno alcuna voglia. È una classica forma di condizionamento ambientale di stampo religioso. Ma non tutti sono disposti a subirla passivamente, soprattutto in questi ultimi anni in cui le generazioni più giovani sono propense ad assumere comportamenti secolarizzati anche nei paesi arabi.
In Tunisia si sta diffondendo l’hashtag #fater (dall’arabo: “non digiunare”), con cui vengono indicati i locali aperti — come ristoranti o caffé — per consentire ai “fataras” di non seguire il digiuno imposto durante il giorno nel mese di Ramadan. Il trend si è diffuso e non sono mancate le polemiche da parte dei più osservanti, che vorrebbero il digiuno imposto a tutti e la chiusura dei locali durante il giorno, come caldeggiato dal Ministro tunisino degli Affari Religiosi, Noureddine el Khademi. Il Ministro, intervistato in radio, ha detto che gli esercizi vanno chiusi “per andare incontro ai sentimenti della gente e nel rispetto dell’identità del popolo tunisino” ed evitare “disordini e perturbazioni”. Il Ministro del Turismo, Jamel Gamra, ci ha tenuto però a precisare che i locali nelle zone turistiche rimarranno aperti.
C’è chi, come il salafita Adel Almi, ha proposto di spiare con telecamere i tunisini che violano il dettato religioso. In risposta alcuni utenti di Twitter hanno iniziato a fotografarsi mentre infrangono le prescrizioni religiose, per esempio fumando o bevendo alcol, proprio alla salute di Almi. Gli integralisti religiosi potrebbero, proprio sulla base dei dati condivisi dai numerosi utenti, sia “schedare” i trasgressori sia imporre la chiusura dei posti aperti durante il giorno, magari con metodi violenti. Non sono mancati atti di disturbo da parte di islamisti, che hanno indicato luoghi #fater con indirizzi sbagliati o modificato dati già esistenti.
Interessante l’opinione di el-Razi, pseudonimo di un ex islamico membro del Council for Ex-Muslims of Britain, sul sito della Rationalist Association, che mostra “l’altra faccia” del Ramadan. In Gran Bretagna di recente, nel clima multiculturale e politically correct verso l’islam, Channel Four sta diffondendo, ogni mattina per tutto il mese di Ramadan, l’appello alla preghiera. Tutta questa attenzione verso l’iIslam, spiega el-Razi, “serve a salvare la coscienza dei media liberali” ma porta all’esclusione delle voci di quelli che vengono di fatto obbligati a conformarsi. Nella stessa comunità islamica il Ramadan diventa l’occasione per ostentare il rispetto di facciata dei dettami religiosi e rinvigorire i sensi di colpa di coloro che sono dubbiosi o apertamente apostati. Un’occasione in cui cresce la pressione sociale da parte della famiglia e della comunità, sebbene sia un evento “reso romantico” dai mass media.
“L’idealizzazione del Ramadan è comprensibile”, scrive el-Razi, perché risponde all’agenda anti-islamica dell’estrema destra. Ma negli ambienti di sinistra e liberal, che vogliono contrastare questa “islamofobia“, si finisce però per ignorare ”la complessità della realtà per i musulmani non-conformisti e apostati“, con “il rischio che il dissenso religioso e l’oppressione causata da certi aspetti della religiosità vengano negati”. Una situazione che non è solo inglese. Anche in Italia il Tg2 ha di recente fatto un servizio sull’inizio del Ramadan, verso cui si manifestava rispetto in quanto tradizione tesa a forgiare lo spirito contro i bisogni materiali. Senza riflettere su quanto spesso possa essere una forma di costrizione.
La tecnologia, Internet e i social network, grazie ai quali tanti giovani non credenti o non osservanti possono entrare in contatto ed emanciparsi da una realtà spesso tradizionalista, trovare informazioni e condividere esperienze, diventa una potente valvola di secolarizzazione. “La necessità è la madre dell’invenzione”, sosteneva Platone. Chissà quale necessità spinge i giovani tunisini a cercare di sfuggire al Ramadan: disagio verso la religione, voglia di libertà, o più semplicemente… fame!
C’è chi continua a sostenere che la religione non è altro che una forma di soddisfacimento di esigenze primarie dell’homo sapiens. Non è sempre vero.
Nessun commento:
Posta un commento