venerdì 12 luglio 2013

Dispersione quotidiana ribelle


Esplorare quello che avviene nella vita delle persone comuni, suggerisce Gustavo Esteva, è un modo per sperimentare e riconoscere il cambiamento. Se dovesse scegliere una parola con la quale ricordare il suo viaggio in Italia, siamo abbastanza certi che quella parola sarebbe «ciclofficina». Ad Esteva va decisamente stretta qualsiasi definizione, perfino «intellettuale deprofessionalizzato»: gli incontri a Roma, in Val di Susa e in altre città hanno rafforzato le convizioni maturate in questi ultimi anni insieme ad altri e altre: le rivoluzioni che cambiano il mondo non sono fatte da grandi leader, ma sono l’insieme delle azioni quotidiane delle persone comuni, come chi condivide saperi e relazioni intorno a una bici o in università senza aule, docenti e corsi prestabiliti. E se siete alla ricerca di un chiodo piuttosto originale sul quale appendere il quadro del cambiamento oggi, sembra suggerire Esteva, cominciate dall’intreccio del pensiero di Marx con quello di Illich.
di Gianluca Carmosino
DCM_4453Il quaderno giallo non ha più fogli a disposizione. Quando domenica Gustavo Esteva scrive «enviar nota No Tav a Comune-info» si accorge di aver raccolto molti appunti nella giornata di sabato. La frase più cerchiata è «Scup mercato-non-nercato»: del resto sabato sera, durante la cena alla trattoria del centro sociale La Torre, non aveva esitato quando gli abbiamo detto che molti vorrebbero costruire ponti con la sua Universidad de la tierra: «A Roma un pezzo dell’Universidad già esiste, è l’occupazione di Scup con il suo mercato-non-mercato».
Esteva, come Ivan Illich, di cui è stato amico e grande collaboratore («ma prima del 1983 mi rifiutavo di andare ai suoi incontri e di conoscerlo solo perché era un prete»), ama camminare e incontrare persone della «città di sotto». Per questo, prima di salutarci, ha detto di essere molto contento del tour che gli abbiamo organizzato insieme a suo «fratello» Aldo Zanchetta (e, per la tappa romana, insieme al Casale Podere Rosa). Vincendo un po’ di timidezze gli abbiamo chiesto se vuole fare altra strada insieme al nostro sito: «Sono onorato di essere un collaboratore di Comune-info». La sua risposta è stata decisamente un ragalo inaspettato per il nostro primo compleanno.
Le ciclofficine
Venezia, Torino, Val di Susa, Padova, Bologna, Lucca, Firenze, prima della due giorni romana: gli incontri con Esteva hanno coinvolto spazi occupati, ambienti universitari, librerie, biblioteche. Impossibile elencare tutti i temi o le pratiche, per dirla con le sue parole, della «dispersione quotidiana ribelle» di cui si è ragionato. «Peccato non abbiamo il tempo per raggiungere qualche città del sud» ha commentato Esteva durante gli ultimi spostamenti romani, ed è rimasto piacevolmente sorpreso quando ha saputo che tra i partecipanti a Roma c’erano anche Massimo, arrivato da Salerno, piuttosto che Giulia del Teatro Pinelli itinerante di Messina. Di certo è stato colpito dalla descrizione delle ciclofficine, quali spazi di relazione e di fare sociale. «Inviare a Gustavo il link dell’articolo sulla ciclofficina di Chiara»: in questo caso è stato Esteva a chiedere di scrivere l’appunto sul nostro taccuino.
Chiara, naturalmente con la sua bicicletta (non per caso) senza freni, è una delle persone che hanno partecipato sia all’incontro promosso da Comune-info alla biblioteca Giovenale che a quello promosso al Teatro Valle. La possibilità di poter ragionare di ribellarsi facendo, di autogestione, di Marx e di Illich, di amicizia come atto politico e di fine del dominio patriacale, di zapatismo e di femminismo, di tecnologie e di relazioni, ma anche di cicorie ribelli e di gabinetti a secco, è un bel modo, devono aver pensato Chiara e gli altri, per rinnovare l’immaginario che ruota intorno all’idea di cambiamento. «Esplorare quello che sta avvenendo nella sfere della vita quotidiana dove avviene oggi il cambiamento – ha detto Esteva – mostra il carattere dell’insurrezione in corso».
Dissolvere le istituzioni
Passeggiando nel centro di Roma dopo l’incontro al Valle, con pacatezza Esteva ci ha anche spiegato le sue perplessità rispetto non all’idea di beni comuni ma alla sua centralità: «Sul piano istituzionale, invece di preoccuparci di combattere o riformare le istituzioni oppure di prendere nelle nostre mani quelle che crediamo garantiscano i beni comuni dobbiamo dissolverle, vale a dire eliminare la “necessità” della loro esistenza, derivata dalla creazione artificiale della scarsità, dalla specializzazione professionale».
A condividere con Gustavo la tappa romana, è stata anche Irene Ragazzini, da molti mesi coinvolta nell’Univesidad de la tierra, spazio di relazioni decisamente non istituzionale (qui trovate un suo articolo scritto insieme ad Esteva proposito di «precarietà» e convivialità, qui invece il suo «abbraccio» a Comune-info). Irene dice che gli incontri sono stati belli e intensi, nonostante il rischio di mitizzare la resistenza al liberismo di alcuni pezzi di società dell’America latina oppure di pensare che lì la sinistra sia migliore di quella italiana.
Libertà di apprendere
L’unico vero cruccio del tour, probabilmente, è non avere raccontato bene la creatività e la carica di rottura dell’Universidad de la tierra fondata da Esteva, la cui proposta ha poco a che fare con la «terra» o con il «cibo». «I video che ci sono in rete sono buoni ma sono ormai superati – ha spiegato Esteva – magari troveremo il modo nei prossimi mesi di raccontare alcune cose su Comune-info». I suoi inviti a guardare il tema dei saperi non partendo dal diritto allo studio ma dalla libertà di apprendimento e di sperimentare «scuole» e «università» senza corsi, aule e docenti, dove il saper fare collettivo non è separato dalla teoria, sorprendono e al tempo stesso incuriosiscono molti.
L’idea che perfino un non alfabetizzato possa condividere saperi e pratiche in grado di arricchire altre persone, sembra intrecciarsi bene con l’immagine di rivoluzione più volte citata da Esteva. «Le rivoluzioni che cambiano il mondo non sono l’opera dei grandi leader oppure quelle che generano cataclismi sociali, ma sono le rivoluzioni silenziose, quelle delle piccole azioni quotidiane delle persone comuni e dei loro gesti apparentemente del tutto marginali. Sono quelle le radici invisibili di ogni cambiamento. Dobbiamo lasciarci alle spalle l’idea di grande rivoluzione ma anche l’individuo e la merce, i due capisaldi del capitalismo. In questo orizzonte, pensare il cambiamento come un insieme di clic digitali significa accentuare la dittatura dell’individuo. Noi siamo e resteremo prima di tutto le relazioni che viviamo ogni giorno».

(Foto: Alessandro Di Ciommo)

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