Lee Evans (fonte Wikipedia)
Genova – A 74 anni, colpito da un ictus, se n’è andato Lee Evans: la morte lo ha colto a Lagos, nell’Africa che aveva frequentato a lungo, alla ricerca di talenti da sbozzare e di antiche radici che mai aveva troncato, viaggiando e allenando in almeno venti Paesi. Una raccolta di fondi non ha fatto in tempo a permettere un viaggio dell’estrema speranza negli Usa.
Evans, californiano di Madera, è stato uno dei giganti dell’Olimpiade messicana del ’68, il primo a varcare la barriera dei 44” nei 400, in un giorno, il 18 ottobre, che si era aperto con il volo librato di Bob Beamon: nessuno poteva pensare che un uomo potesse atterrare a 8,90. Dieci minuti dopo Lee bruciò il giro di pista in 43”86.
“E pensare – raccontava lui – che quella finale avrei potuto non correrla. Fu John Carlos a spingermi in pista: vai, fallo per i fratelli, mi disse”. Due giorni prima Tommie Smith e Carlos – pugni chiusi e guantati, sguardo basso davanti alla bandiera - avevano trasformato il podio dei 200 nel manifesto della protesta, della lotta per i diritti civili. Erano stati espulsi dal Villaggio e dalla squadra americana. L’impegno di Evans all’interno dell’Olympic Project for Human Rights era forte quanto quello di Tommie e di John.
“Non furono giorni facili”, ha raccontato molte volte Lee ricordando le tensioni, le minacce. “Ho sempre pensato che avrei potuto correre più forte se in pista mi fossi presentato con l’animo più tranquillo”. Quella mattina qualcuno lo vide piangere. “Alla fine decisi di andare e corsi sino in fondo. Corsi 401 metri perché sapevo che Larry (James) sarebbe stato pericoloso. Solo che lui corse 395 metri”.E’ la sintesi di un testa a testa tra Lee e quel buonanima di James - scomparso nel 2008 per cancro il giorno del 61° compleanno - che portò a una doppia discesa sotto i 44” (43”86 e 43”97) nell’epoca in cui un secondo in più rappresentava la qualità assoluta. Il record di Lee tenne duro per vent’anni, sino all’improvviso 43”29 di Butch Reynolds. Precorsero i tempi: mezzo secolo dopo, ai Mondiali di Londra, Lee e Larry sarebbero finiti primo e secondo.
Dopo i 100, i 200, il lungo, il triplo, i 400hs, fu un’altra demolizione e fu un altro podio a pugni chiusi sventolati con un sorriso, senza la sacralità impressa da Smith e Carlos ma sufficiente per riattizzare il falò.
Il simbolo della protesta, questa volta, era il basco nero che Evans, James e Freeman portavano. Qualche giorno dopo avrebbero divorato il tartan in una 4x400 chiusa in 44” a frazione: più di un quarto di secolo per vedere una squadra correre più veloce.
Dopo la finale, in una sala stampa dove non entrava uno spillo, uno dei giornalisti domandò a Lee: “Perché il pugno?”. “E’ un modo di salutare la gente: ciascuno ha il suo“. Lo sguardo era senza rabbia. Aveva fatto quel che doveva fare. Per sé, per i fratelli.
https://www.ilsecoloxix.it/sport/2021/05/20/news/e-morto-lee-evans-eroe-ribelle-dell-olimpiade-messicana-1.40295460
Previti71
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