Caffè Lungo – L’annuncio di Biden del ritiro delle truppe USA potrebbe significare la vera fine della guerra in Afghanistan, quantomeno per le truppe occidentali, un conflitto logorante i cui obiettivi sono mutati considerevolmente nel tempo. Una rapida ricostruzione.
LA “WAR ON TERROR” DI BUSH
La guerra più lunga della storia USA iniziò dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, per i quali l’Afghanistan e i talebani furono ritenuti responsabili di ospitare nel Paese al-Qaeda e i suoi leader, tra cui Osama bin-Laden. L’Amministrazione Bush dichiarò quindi una “guerra al terrorismo” che cominciò nell’ottobre 2001 con l’operazione Enduring Freedom, basata su attacchi aerei e sull’invio di forze speciali con un contingente ridotto, pari a 1.300 soldati. In poche settimane, con l’aiuto di alcune coalizioni di fazioni locali, tra cui l’Alleanza del Nord, furono conquistate gran parte delle città in mano ai talebani e venne istituito un Governo afghano ad interim guidato da Hamid Karzai. Si aprì poi una seconda fase del conflitto, con un cambiamento degli obiettivi statunitensi: dall’operazione breve prospettata da Bush per una rapida eliminazione di al-Qaeda, lo scopo della presenza statunitense diventò la stabilizzazione dell’Afghanistan, per evitare che potesse essere nuovamente sede per la preparazione di attentati. Il 1° maggio del 2003 a Kabul, infatti, il Segretario della Difesa Rumsfeld dichiarò il termine dei “combattimenti principali” e l’inizio di un periodo di ricostruzione. In quel momento le truppe USA in Afghanistan erano circa 8mila. Nello stesso periodo anche la missione NATO International Security Assistance Force si espanse, arrivando a 65mila truppe da 42 Paesi. Ciononostante gli sforzi di nation-building dell’Amministrazione Bush non decollarono, mentre, in particolare dal 2006, la guerriglia dei talebani si riaccese con un incremento degli attacchi suicidi. In aggiunta le relazioni con Karzai si deteriorarono, complice l’alto livello di corruzione e la scarsa efficacia del suo Governo.
Fig. 1 – Il Presidente Bush, il Segretario di Stato Powell e il Segretario della Difesa Rumsfeld in una delle tante riunioni di gabinetto nei convulsi giorni successivi agli attentati dell’11 settembre 2001.
L’INSUCCESSO DELLA SURGE DI OBAMA
L’Amministrazione Obama decise di accelerare la strategia di controguerriglia iniziata da Bush nel 2008 inviando nuove truppe nel Paese (la cosiddetta Surge), arrivando fino a 100mila soldati nel 2010. Al contempo, però, Washington annunciò le date per un progressivo passaggio di responsabilità alle forze militari e di polizia afghane, con l’intento di avviarlo nel 2011 e intensificarlo nel 2014, con un contestuale ritiro graduale delle truppe USA. La strategia non ebbe molto successo: gli episodi violenti continuarono, le vittime civili furono numerose, i talebani ripresero il controllo di ampi pezzi di territorio e le Forze dell’Ordine afghane non sembravano preparate per assumere un ruolo più attivo. In aggiunta i sondaggi mostrarono una crescente contrarietà degli statunitensi alla guerra. Tuttavia gli USA ottennero un’importante vittoria con l’uccisione di bin Laden in Pakistan nel maggio 2011. Effettivamente negli anni le truppe sarebbero state ridotte: erano circa 16mila quando Obama annunciò la fine ufficiale dell’operazione Enduring Freedom nel 2014 (anno in cui la guerra diventò ufficialmente la più lunga mai combattuta dagli USA) e circa 8mila ne restarono nel 2016 per operazioni di controterrorismo. La promessa di Obama di ritirare tutte le truppe prima della fine della propria Presidenza, però, non fu rispettata.
Fig. 2 – Nonostante l’aumento significativo delle truppe mandate in Afghanistan, Obama non riesce a imprimere una svolta definitiva al conflitto
LA FINE DELLA FOREVER WAR?
Trump, che aveva corso una campagna su una piattaforma di America First e di disengagement, aumentò inizialmente le truppe nel Paese (arriveranno a 14mila nel 2017) per contrastare gli attacchi sempre più frequenti dei talebani, che ormai avevano ripreso il controllo di ampie zone dell’Afghanistan. Tuttavia l’Amministrazione intraprese anche dei difficili negoziati bilaterali con questi ultimi, bypassando il Governo afghano, data l’impossibilità di riuscire a far dialogare le due fazioni senza un previo accordo sul tavolo. Si giunse quindi a un accordo tra USA e talebani nel febbraio 2020 che prevedeva il ritiro completo dei contingenti USA in cambio dell’impegno a non permettere che il Paese venga usato come base per attacchi terroristici. La generale disillusione sull’esito del conflitto e la crescente importanza di altre aree geopolitiche (visto l’aumento dell’assertività di Cina e Russia) spiegano quindi la recente dichiarazione di Biden, che prevede un ritiro completo delle truppe entro settembre (a vent’anni esatti dagli attentati del 2001), indipendentemente dalle condizioni sul campo. Tuttavia la situazione nel Paese è ancora precaria e potrebbe addirittura peggiorare a seguito del ritiro completo delle forze USA. Dal 2001 sono morti circa 47mila civili afghani, 2,7 milioni sono emigrati e ci sono 4 milioni di sfollati all’interno del Paese, mentre gli USA hanno registrato 2.442 perdite e 20.666 feriti. Quella che doveva essere una guerra di autodifesa e per stroncare al-Qaeda si è trasformata in una costosissima operazione di nation-building e controguerriglia: le spese ufficiali dichiarate dal Dipartimento della Difesa superano gli 815 miliardi di dollari, ma alcuni istituti indipendenti stimano la cifra vicina ai 2.500 miliardi.
Roberto Bordoni
https://ilcaffegeopolitico.net/471169/americas-longest-war-come-ci-siamo-arrivati
Bush71
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