sabato 11 ottobre 2014

1. RE GIORGIO AVEVA MINACCIATO DI SBATTERE IL PORTONE DEL QUIRINALE IN FACCIA AI GIUDICI PALERMITANI SE I BOSS RIINA E BAGARELLA AVESSERO VARCATO LE SOGLIE DEL PALAZZO - 2. COSÌ, LA CORTE D’ASSISE DI PALERMO HA DECISO, OBTORTO COLLO, DI RESPINGERE LA RICHIESTA DEI DUE CAPICLAN E QUELLA DELL’EX MINISTRO DELL’INTERNO, NICOLA MANCINO - 3. UNA RISOLUZIONE PRESA DAL PRESIDENTE ALFREDO MONTALTO – UDITE! UDITE! – PER “RAGIONI DI SICUREZZA NAZIONALE”, COLLEGATE – AGGIUNGE - ALLA STESSA ESIGENZA DI TUTELARE “UN BENE A RILEVANZA COSTITUZIONALE”; OLTRE ALLE PREROGATIVE "DI UN ORGANO COSTITUZIONALE QUAL È LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA". GIÀ, PERCHÉ L’ULTIMA “CASSATA SICILIANA” DA OFFRIRE ALLA DEGUSTAZIONE DI RE GIORGIO, COTTO A FUOCO LENTO NELLA FORNACE BOLLENTE DEL TRIBUNALE DI PALERMO, HA IL SAPORE DEL VELENO -



DAGOANALISI

napolitano al mareNAPOLITANO AL MARE
L’ultima “cassata siciliana” sarà offerta a Re Giorgio martedì 28 ottobre, nel giorno dei santi Simone e Giuda.
Nel desco apparecchiato al Quirinale dal Tribunale di Palermo non s’accomoderanno però alcuni pezzi grossi di Cosa nostra.

Totò Riina e Leoluca Bagarella, richiusi a vita in carceri di sicurezza, infatti, si erano auto invitati al grottesco rendez-vous giudiziario che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana.
Un vero peccato per chi ama la giustizia pulp!
toto riinaTOTO RIINA
Da qualche tempo, infatti, Riina e Bagarella non riescono a incontrarsi.
Come a dire?
Sarebbe stata l’occasione per una bella rimpatriata tra i feroci capiclan negli austeri saloni presidenziali sotto gli occhi benevoli della Dea bendata.

Ma l’abbraccio tra Totò e Leoluca è sfumato soprattutto per una ragione forte, risoluta e inconfessabile almeno per i giornaloni dei Poteri marci (o marciti).
La cattura di BagarellaLA CATTURA DI BAGARELLA
Il capo dello Stato aveva fatto sapere, sia pure informalmente, che avrebbe messo alla porta anche i convitati togati se i due capomafia avessero presenziato in qualunque modo (teleconferenza) alla sua “testimonianza”.

Così, la Corte d’Assise di Palermo ha deciso, obtorto collo, di respingere la richiesta dei due boss e quella dell’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino.
Una risoluzione presa dal presidente Alfredo Montalto – udite! udite! – per “ragioni di sicurezza nazionale”, collegate – aggiunge - alla stessa esigenza di tutelare “un bene a rilevanza costituzionale”; oltre alle prerogative "di un organo costituzionale qual è la presidenza della Repubblica".
Nicola Mancino Gaetano GifuniNICOLA MANCINO GAETANO GIFUNI

Già, perché il tradizionale dolce isolano da offrire alla degustazione di Re Giorgio, cotto a fuoco lento nella fornace bollente del tribunale di Palermo, ha il sapore del veleno.
Era 16 giugno 2012, quando attraverso le rivelazioni dei media il capo dello Stato apprendeva, sbalordito, di essere stato tirato, pure indirettamente, nella vicenda infinita della presunta trattativa Stato-Mafia.

I giornali scrivevano di telefonate (“proibite”?) tra il sen. Mancino, che chiedeva un intervento del Quirinale a sua difesa, e il suo consigliere giuridico D’Ambrosio.
Alfredo MontaltoALFREDO MONTALTO
Pochi giorni dopo, il 16 giugno, con una nota ufficiale Napolitano bollava la fuga di notizie come “irresponsabili illazioni”. E dichiarava di aver gestito il caso spinoso “secondo le sue responsabilità e nei limiti delle sue prerogative”.

Mentre nella pasticceria della Corte palermitana la presunta trattativa tra mafia e Stato s’ingarbugliava - tra i “papelli” propinati dal figlio di Vito Ciancimino e le ultime rivelazioni su “Protocollo Farfalla” tra i servizi segreti e il dipartimento carcerario -, la querelle (istituzionale) tra Procura e Napolitano finiva alla Corte costituzionale, che dava ragione al capo dello Stato sulle sue prerogative.

E, a quanto pare, nel respingere la pretesa di Riina e Bagarella di violare con la loro presenza sul Colle più alto, in buona sostanza la Corte d’Assise di Palermo ha ribadito quanto già stabilito da i giudici di Palazzo della Consulta.

GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIOGIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO
La gita romana dei giudici siciliani, con tanto di visita guidata nell’ex palazzo dei Papi, non appare destinata a dare alcun impulso alla ricerca della verità se ci sia mai stato un feeling perverso tra corpi dello Stato e Cosa Nostra.

Un ginepraio inestricabile sempre più rassomigliante a una soap opera mediocre.
Massimo CianciminoMASSIMO CIANCIMINO
La corte di fronte cui siederà Re Giorgio, il padrone di casa furente, conosce già quale sarà la sua risposta: il suo ‘non so niente’ su quanto accadde nella stagione stragista d’inizio Novanta, è stato già messo “nero su bianco” in una lettera testimonianza inviata a suo tempo ai diritti interessati dal capo dello Stato.


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