Lucchini, ora è lotta contro il tempo
Il commissario Nardi presenta il piano: nessun acquirente per l’area a caldo. Settembre mese decisivo per la sopravvivenza
di Giorgio Pasquinucci
PIOMBINO. Incontro deludente, almeno secondo i sindacati, quello che si è svolto nel tardo pomeriggio di ieri al ministero dello Sviluppo economico con il commissario straordinario delle Lucchini Nardi, presenti anche il sindaco Gianni Anselmi e l’assessore regionale al Lavoro Gianfranco Simoncini.
Cominciamo intanto dal sondaggio informale che l’azienda ha fatto dal 17 maggio al 17 giugno alla ricerca di un possibile acquirente. Due soli operatori siderurgici – ha riferito Nardi – avrebbero espresso interesse agli impianti di Piombino e Lecco, escludendo tuttavia l’area a caldo. Per lo stabilimento di Trieste, in affitto con opzione di acquisto, si sarebbe fatto invece avanti il gruppo Arvedi. Un trader avrebbe proposto di prendere in affitto la cokeria di Piombino. Un gruppo industriale sarebbe invece disponibile all’acquisto delle Vertek di Piombino e a una piccola parte di quella di Condove. Ci sarebbero poi quattro operatori interessati ad acquisire azioni della Gsil. Restano nel mistero invece le proposte di due intermediari per le attività siderurgiche Lucchini che si riservano di specificare l’identità dell’operatore industriale.
Insomma, allo stato dei fatti, non c’è nessuno disponibile a rilevare lo stabilimento così com’è. Non hanno dunque affatto sorpreso le quattro ipotesi fatte dal commissario straordinario per la cessione di Piombino e Lecco. La priorità è ancora data alla vendita dello stabilimento comprensivo dell’altoforno e del laminatoi. La seconda opzione è quella di vendere i laminatoi in previsione di realizzare un forno elettrico. E qui le ipotesi sono due: un’acciaieria elettrica da realizzare nel capannone dei convertitori con notevole risparmio dei costi o un impianto ex novo nella zona Padule. Anche i tempi in questo casi cambierebbero notevolmente.
Infine saranno prese in considerazione le due estreme possibilità: vendita dei soli laminatoi o di singoli impianti.
Ma c’è anche una possibilità nuova – cui ha fatto cenno lo stesso commissario – che sembra decisamente più gradita ai sindacati e alle istituzioni locali: uscire dalla crisi puntando sull’innovazione. Che allo stato dell’arte significa, citiamo le parole di Nardi, che «Piombino potrebbe diventare anche una piattaforma per la sperimentazione di un processo innovativo, come esempio il processo Corex o Finex, che ha già impianti funzionanti in Sud Africa, Corea e India».
Secondo il commissario Nardi per questo c’è però bisogno di alcune condizioni: la presenza di un imprenditore disposto a rischiare, la disponibilità di importanti contributi nazionali ed europei (e a questo proposito viene citato action plan di Tajani), la partecipazione al rischio del fornitore dell’impianto (il brevetto è della Siemens Vai; ndr). Lo stesso Nardi ha riconosciuto che un impianto simile contribuirebbe ad abbattere notevolmente l’inquinamento anche se presenterebbe costi più alti rispetto all’altoforno.
L’azienda ha presentato anche una sintesi dell’andamento storico. I dati del primo semestre, pure mantenendosi pesantemente negativi, indicano un miglioramento rispetto al budget preventivato di 40 milioni. Dal 2008 al 2012 la Lucchini ha ridotto le vendite di laminati da 1,5 a un milione di tonnellate e ha azzerato quelle delle bramme (400 mila tonnellate nel 2008). Ha bruciato cassa per 800 milioni e azzerato il patrimonio netto a fine 2012 partendo da 970 milioni nel 2008.
È chiaro a questo punto che siamo nel pieno di una lotta per la sopravvivenza che a settembre, con la fermata del’altoforno, potrebbe sfociare in un dramma sociale, come sottolineano i sindacati. Da qui la loro contrarietà ad ogni soluzione che cancelli l’area a caldo, a partire dalla promessa di un forno elettrico. In tempi lunghi vedono con più favore le soluzioni Corex o Finex. Ma come arrivarci? Occorre prendere tempo ed evitare una chiusura irreversibile dell’altoforno a settembre, senza avere davanti alcuna prospettiva.
Così il sindacato ha insistito sulle sinergie con Taranto. Fornire 500mila tonnellate di bramme all’Ilva significherebbe infatti far marciare l’Afo su un trend di 1,8 milioni di tonnellate contro l’attuale 1,2, recuperando sui costi fissi. E su questo il sottosegretario De Vincenti avrebbe rinnovato l’impegno a convocare in tempi rapidi i due commissari, Nardi e Bondi, per valutare concretamente la fattibilità.
Anche il sindaco Anselmi parla delle necessità di allungare la vita dell’altoforno, riprendendo la produzione di bramme per Taranto. Ma partendo dal dato di fatto che non c’è nessuno che si vuol comprare lo stabilimento così com’è. «Dobbiamo puntare ad uscire dalla crisi attraverso l’innovazione». Del resto quella del Corex o Finex è stata la proposta che Anselmi e Simoncini hanno fatto anche allo staff di Tajani e a Bruxelles.
Servirebbero 48 mesi e circa 350-400 milioni per realizzare un impianto del genere. «Ma del resto – spiega Anselmi – ben diverso sarebbe arrivare alla fermata dell’altoforno senza idee o con un progetto definito». L’altra ipotesi, quella del forno elettrico, non è sostenibile qualora si volesse realizzare nell’attuale capannone dell’acciaieria, fa già presente il sindaco: «Prima vanno verificate tutte le condizioni per mantenere l’area a caldo – sostiene – ma è chiaro che se si dovesse infine ipotizzare un forno elettrico, questa non potrebbe che diventare l’occasione per un ripensamento e la riqualificazione di tutte le aree occupate dallo stabilimento».
Il problema di fondo resta quello della sopravvivenza. Il segretario Fiom Luciano Gabrielli non fa mistero su cosa potrebbe accadere a settembre con la fermata senza prospettive dell’afo: «Sarebbe un dramma sociale». E dunque, a breve, ancora una volta si confida nell’iniziativa del sottosegretario De Vincenti per arrivare ad un accordo tra Lucchini e Ilva. Per oggi alle 15,30 è intanto convocata una riunione del consiglio di fabbrica.
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