domenica 28 luglio 2013

L'addio di De Maria, fra geometria e ottone
Alla Biennale l'ultima magia dell'artista


LAND ART


Il maestro delle sculture astratte è scomparso ieri. A Venezia i suoi 30 cilindri «contro il rumore bianco dell'informazione»

La grande installazione geometrica dell'artista statunitense Walter De Maria alla Biennale (LaPresse)La grandeinstallazione geometrica dell'artista statunitense Walter De Maria alla Biennale (LaPresse)

Trenta cilindri di ottone disposti secondo una sequenza matematica infinita. È il lavoro collocato nell’ultimo spazio delle corderie dell’Arsenale di Venezia, che chiude la mostra della Biennale. È l’opera con la quale l’artista 
Walter De Maria, scomparso ieri a 77 anni (era nato ad Albany nel 1935) sostanzialmente si è congedato. «In contrasto con il rumore bianco dell'era dell'informazione, l’impianto di De Maria – ricorda il curatore della Biennale 2013, Massimiliano Gioni - festeggia la muta, gelida purezza della geometria. Come tutte le opere di questo leggendario artista, questa scultura astratta è il risultato di complessi calcoli numerologici un sistema autonomo in cui le infinite possibilità della fantasia sono ridotti a una sintesi estrema».
De Maria è stato uno dei principali esponenti americani della Land Art, ovvero di quell’approccio nato nel Settecento con la cultura dei giardini in cui l’arte è stata chiamata a dialogare con la Natura attraverso il tramite del paesaggio. A renderlo famoso, tra gli anni Sessanta e Settanta sono state le sue monumentali «Earth sculptures». Nel ’68, disegnò con la calce delle linee parallele all’interno del Mojave Desert, in California che viste dall’alto sembravano strani segni incomprensibili mentre nel 1977 a dOCUMENTA di Kassel (la principale rassegna di arte d’avanguardia d’Europa) collocò un’asta metallica per un chilometro dentro il corpo della terra. Due anni dopo, spezzò questa lancia in segmenti di due metri e realizzò una «partitura spaziale» che chiamò «Broken Kilometer».
«Il campo che luccica», 1977«Il campo che luccica», 1977
Nel ’77 aveva anche ultimato la sua opera più famosa, «The Lightning Field» monumentale installazione nel deserto del New Mexico: una griglia lunga un miglio e larga un chilometro di 400 steli di acciaio, che attirano i fulmini durante i temporali. Era un modo dell’arte per mettersi in relazione con le sue origini di pratica anche votata al controllo e trasformazione della natura. Lo spettacolo di luce aveva un effetto spiazzante, quasi di gioco barocco. Il parafulmine divenne così un elemento di spettacolo, un elemento di arte performativa.

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